Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7422 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO

21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta

e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 610/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/04/2005 r.g.n. 6739/02;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. ZAPPIA Pietro;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, ritualmente notificato, V.M., assunta con contratto a tempo determinato dalla societa’ Poste Italiane s.p.a. dal 2 luglio al 31 agosto 2000 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevava la illegittimita’ dell’apposizione del termine al contratto in questione di talche’, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convenuto in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimita’ del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della societa’ al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 20.3.2002 il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello la lavoratrice lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 26.1.2005, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale, premesso che l’accordo integrativo del 25.9.1997 non prevedeva alcun termine di efficacia, se non quello connesso alla vigenza dell’accordo stesso, collegata al completamento dei processi di ristrutturazione ivi menzionati, rilevava che i cd. accordi attuativi costituivano un mero riconoscimento bilaterale, per il periodo preso in considerazione, della sussistenza delle condizioni oggettive legittimanti il ricorso ai contratti a termine; con la conseguenza che anche al di fuori dei periodi considerati dai suddetti accordi attuativi il ricorso alle assunzioni a termine doveva considerarsi del tutto legittimo. Cio’ in quanto l’effetto “autorizzatorio” alla apposizione del termine scaturiva esclusivamente dall’accordo 25.9.1997 ed era legato all’oggettivo permanere della condizioni di fatto ivi previste, mentre ai successivi accordi attuativi non poteva essere attribuita altra valenza se non quella “ricognitiva” della iniziale volonta’ delle parti quanto alla sussistenza, o persistenza, nel periodo considerato, delle condizioni in questione.

Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione V. M. con quattro motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la societa’ intimata.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente censura la suddetta impostazione della Corte territoriale, e contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi attuativi; contesta in particolare la tesi secondo cui questi ultimi accordi avevano natura meramente ricognitiva.

Con il secondo motivo di gravame contesta l’assunto della Corte territoriale circa la validita’ della clausola collettiva contenuta nell’accordo del 25.9.1997, ed utilizzata nel caso di specie per giustificare l’apposizione del termine al contratto individuale in questione, avuto riguardo tra l’altro alla circostanza che tale clausola non era stata concordata nel CCNL del comparto postelegrafonico del 1994, ma in un accordo di tre anni successivo.

Col terzo motivo di gravame contesta la decisione della predetta Corte di merito in ordine alla validita’ di tale clausola, rilevando che ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 l’individuazione di nuovi casi di apposizione del termine poteva essere operata solo dai contratti collettivi di lavoro, e non da un accordo integrativo, quale quello stipulato il 25.9.1997, caratterizzato da un ambito ben piu’ limitato e specifico, e non sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali che avevano firmato il contratto collettivo.

Col quarto motivo di gravame lamenta motivazione insufficiente e contraddittoria nonche’ violazione delle norme di diritto per avere la Corte territoriale violato il disposto normativo secondo cui incombe al datore di lavoro l’onere di provare l’esistenza obiettiva delle ragioni che giustificavano l’apposizione del termine.

Ritiene il Collegio di dover trattare unitariamente i suddetti motivi in quanto tra loro strettamente connessi.

Il ricorso e’ fondato.

Deve premettersi, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonche’ dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997.

Partendo dal detto principio questa Corte, dopo aver ribadito la legittimita’ della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate quelle decisioni dei giudici di merito nella parte in cui hanno affermato la natura meramente ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui per far fronte alle predette esigenze si potra’ procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr.

accordo del 16 gennaio 1998); cio’, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, e’ precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. sez. lav., 28.8.2003 n. 12245; Cass. sez. lav., 25.8.2003 n. 12453).

La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziche’ in quello per cui non ne avrebbero alcuno;

ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, cosi’ definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (cosi’ testualmente Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866).

La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volonta’ delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioe’ quando il diritto del soggetto si era gia’ perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. sez. lav., 12.3.2004 n. 5141).

Il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano gia’ stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravita’ da esonerare la Corte dal dovere di fedelta’ ai propri precedenti.

La censura relativa alla legittimita’ del termine apposto al contratto de quo deve essere pertanto considerata fondata per le ragioni sin qui esposte, dovendosi considerare assorbiti gli ulteriori argomenti sviluppati nei motivi di ricorso.

In definitiva il ricorso deve essere accolto e per l’effetto la sentenza deve essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, la quale provvedera’ tenendo conto dei principi sopra affermati; il giudice del rinvio provvedera’ altresi’, ex art. 385 c.p.c., sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

Cosi’ deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

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