Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7418 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., P.F.A., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato

BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO, che li rappresenta e difende, giusta

deleghe a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

P.G., T.G., C.M.S.E.;

– intimati –

e sul ricorso n. 17757/2006 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

GENTILE 8, presso lo studio dell’avvocato MARTORIELLO MASSIMO,

rappresentato e difeso dall’avvocato COGO GIOVANNA, giusta delega in

calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 283/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/04/2005 R.G.N. 191/04 + altri;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

25/02/2010 dal Consigliere Dott. NAPOLETANO Giuseppe;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per inammissibilita’ del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che:

il giudice d’appello di Milano, confermando le sentenze di prime cure, ha dichiarato l’illegittimita’ del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati fra i lavoratori indicati in epigrafe e Poste Italiane s.p.a. e la conseguente instaurazione fra le parti di rapporti di lavoro subordinato, ed ha, in parziale riforma di dette sentenze, condannato la societa’ al pagamento delle retribuzioni dalla data della costituzione in mora;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la societa’ Poste Italiane affidato a cinque motivi, i lavoratori, eccezione fatta per T. e C., hanno resistito con controricorso e P.G. ha proposto ricorso incidentale fondato su due censure; la societa’ Poste italiane ha resistito all’impugnazione incidentale;

successivamente e’ stato depositato verbale di conciliazione in sede sindacale, sottoscritto dalla societa’ Poste italiane ed i lavoratori C., T. e P.;

i ricorsi vanno riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza;

Considerato che dal verbale di conciliazione sopra indicato risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale; ad avviso del Collegio il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui e’ proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278);

in definitiva il ricorso principale proposto nei confronti dei suddetti lavoratori e quello incidentale del P. devono essere dichiarati inammissibile per cessazione della materia del contendere;

avuto riguardo al tipo di controversia stimasi compensare integralmente tra le suddette parti le spese del giudizio di cassazione;

con riferimento all’assunzione degli altri lavoratori con contratti a termine stipulati a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane, la Corte territoriale, premesso che l’accordo de quo era disciplinato dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 attribuendo rilievo decisivo al fatto che le parti avevano fissato il limite del 30 aprile 1998 alla possibilita’ di procedere con assunzioni a termine ha ritenuto i contratti a termine in esame illegittimi in quanto, tra l’altro, stipulati in epoca posteriore;

la suddetta impostazione e’ stata ampiamente censurata dalla societa’ ricorrente la quale contesta, in particolare l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla stessa definiti come attuativi, nonche’ l’affermato diritto alla retribuzione in assenza di prestazioni lavorative; le censura sono infondate;

in relazione ai primi tre motivi, numerose sentenze questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione…), dopo il 30 aprile 1998;

premesso, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonche’ dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato; da cio’ deriva che deve escludersi la legittimita’ dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normative – la sopra ricordata giurisprudenza di legittimita’ ha osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate e’ cosi’ evidente e univoco che non necessita di un piu’ diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volonta’ delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, e’ precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453);

ha rilevato altresi’ che tale interpretazione e’ rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziche’ in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facolta’ di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioe’ che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, cosi’ definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (cosi’ testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866);

ha, infine, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volonta’ delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioe’ quando il diritto del soggetto si era gia’ perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione e’ comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141);

il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano gia’ stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravita’ da esonerare la Corte dal dovere di fedelta’ ai propri precedenti;

deve osservarsi in proposito, con riferimento alle decisioni di questa Corte Suprema prima citate nella parte in cui esse si riferiscono all’interpretazione di norme collettive di diritto comune, che le stesse hanno comunque valenza di precedenti, ancorche’ non in senso tecnico atteso che, da un lato, lo stesso controllo di logicita’ del giudizio trova, in parte qua, le proprie coordinate nelle disposizioni di legge in tema di ermeneutica contrattuale le quali, suscettibili di lettura diretta da parte del giudice della nomofilachia, costituiscono obbligato punto di riferimento nella ricerca e nell’identificazione dei punti decisivi per la ricostruzione dell’effettiva volonta’ delle parti stipulanti;

dall’altro, le clausole delle fonti collettive, per la loro naturale riferibilita’ ad una serie indeterminata di destinatari e per il loro carattere sostanzialmente normativo, non sono assimilabili completamente a quelle di un normale contratto o accordo, sicche’, neanche rispetto ad esse e’ trascurabile il fine di assicurare ai potenziali interessati, per quanto possibile e per quanto non influenzato dalle insopprimibili peculiarita’ di ciascuna fattispecie, quella reale parita’ di trattamento che si fonda sulla stabilita’ degli orientamenti giurisprudenziali, specialmente sollecitata quando, come nella specie, assuma icastica evidenza l’identita’ dei percorsi logici seguiti nelle decisioni progressivamente portate all’esame del giudice di legittimita’ e dei contesti difensivi nei quali tali decisioni risultano calate (Cass. 29 luglio 2005 n. 15969);

il motivo,poi, proposto dalla societa’ Poste in relazione alle conseguenze economiche derivanti dalla accertata invalidita’ dell’apposizione del termine e’ del tutto infondato atteso che la soluzione adottata dal giudice di merito e’ conforme all’insegnamento di questa Corte Suprema (cfr. Cass. S.U. 8 ottobre 2002 n. 14381 nonche’, da ultimo, Cass. 13 aprile 2007 n. 8903) che, con riferimento all’analoga ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di piu’ contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimita’ dell’apposizione dei termini, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della L. n. 230 del 1962, ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto puo’ ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilita’ della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla – in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione – qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c.;

la Corte territoriale ha sulla base di una valutazione di merito che non e’ stata adeguatamente censurata in questa sede, individuato il suddetto atto di messa in mora nella formale messa a disposizione da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative;

il ricorso della societa’ Poste va, quindi, respinto;

le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Riuniti i ricorsi,dichiara inammissibile il ricorso della societa’ Poste nei confronti di C., T. e P. ed il ricorso incidentale di quest’ultimo e compensa le spese del giudizio di legittimita’ tra queste parti. Rigetta il ricorso della societa’ Poste italiane nei confronti degli altri lavoratori e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ liquidate in Euro 20,00, oltre Euro 2.000,00 per onorario ed oltre spese, IVA e CPA. Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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