Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7416 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, (ud. 23/01/2017, dep.23/03/2017),  n. 7416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16045-2014 proposto da:

B.M., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO CONTESSA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGEROLA DI M.T. & C SNC, in persona del socio

amministratore sig.ra M.T., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA EMILIA 88, presso lo studio dell’avvocato PAOLA CHIRULLI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO FRANCESCO

BRAGA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 594/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 09/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS Mariella, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato ANTONIO CONTESSA;

udito l’Avvocato CHIARA GEREMIA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 9.5.2013, la Corte d’appello di Brescia, in totale riforma della sentenza di primo grado (che aveva respinto la domanda attrice), accolse la domanda proposta da Agerola di M.T. & C. s.n.c. (di seguito, Agerola), condannando B.M. al pagamento della somma di Euro 8.204,21, oltre interessi. Il credito deriva dal rifiuto del B., commercialista, di riconsegnare alla Agerola l’importo suddetto, pari alla metà delle spese dalla stessa sostenute per l’esecuzione di lavori in una azienda vendutale da una società terza, cliente del B., al quale ultimo era stato consegnato in deposito fiduciario, all’atto della cessione, un assegno di Lire 73.000.000, da utilizzarsi appunto a tale scopo.

Ricorre ora per cassazione B.M., affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso la società Agerola. Entrambi hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, deducendo “Violazione di norma di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n 3); Sulla violazione/falsa applicazione degli artt. 2721 – 2722 e 2724 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. che si traduce in vizio della sentenza impugnata ex art. 161 c.p.c. e ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, si afferma la nullità processuale della sentenza impugnata perchè B.M. era estraneo al contratto di vendita di azienda, dal cui testo risultava che il L.R. della società venditrice (tale C.G.) aveva ricevuto tra l’altro proprio un assegno di Lire 73.000.000. Di conseguenza, la prova orale ammessa sul punto dalla Corte d’appello sarebbe inammissibile, perchè tendente a dimostrare patti aggiunti o contrari al contenuto del documento. Si sostiene inoltre la contraddittorietà intrinseca della deposizione del teste ammesso, rag. U.G., commercialista della società acquirente.

1.2 – Con il secondo motivo, deducendo “Violazione di norma di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); Sulla violazione/falsa applicazione degli artt. 2725 e 2726 c.c.”, si censura la sentenza impugnata perchè l’ammissione della prova per testi è stata disposta in violazione dell’art. 2725 c.c.. Infatti, la circostanza che il contratto di cessione d’azienda deve essere provato per iscritto ex art. 2556 c.c. comporta che il presunto patto fiduciario avrebbe dovuto accedere al contratto stesso nella forma scritta, e non avrebbe potuto quindi essere provato per testi.

1.3 – Con il terzo motivo, deducendo “Vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, si rileva una pretesa contraddittorietà della deposizione testimoniale assunta in appello, essendo incomprensibile che il fiduciario abbia ricevuto l’assegno di Lire 73.000.000 intestato all’acquirente e con firma di traenza del l.r. della cedente, il che priverebbe il contenuto contrattuale di ogni logica.

2.1 – Il primo motivo è infondato.

Infatti, anche a prescindere dalla omessa trascrizione in ricorso della clausola contrattuale n. 5), con cui le parti si accordarono per consegnare fiduciariamente l’assegno al professionista B. (che afferma di non averne saputo nulla e di essere rimasto estraneo all’accordo stesso), è decisivo considerare che la circostanza che il venditore abbia ricevuto anche un assegno di Lire 73.000.000 (come risulta dalle due righe vergate a mano in calce alla scrittura privata e riportate in ricorso (p. 5)), non è di per sè incompatibile con la pattuizione in questione. Anzi, da quanto prospettato dallo stesso B., può dedursi che la prova per testi servisse proprio a chiarire l’apparente incompatibilità tra il contenuto della clausola n. 5) e la quietanza del cedente; pertanto, l’ammissione di detta prova ben può inquadrarsi nell’ambito della giurisprudenza citata dallo stesso giudice d’appello (Cass. n. 16992/07; ma v. più di recente Cass. n. 11757/14), secondo cui “In tema di negozio fiduciario, la prova per testimoni del “pactum fiduciae” è sottratta alle preclusioni stabilite dagli artt. 2721 c.c. e ss. soltanto nel caso in cui detto patto sia volto a creare obblighi connessi e collaterali rispetto al regolamento contrattuale, al fine di realizzare uno scopo ulteriore rispetto a quello naturalmente inerente al tipo di contratto stipulato, ma senza direttamente contraddire il contenuto espresso di tale regolamento; qualora, invece, il patto si ponga in antitesi con quanto risulta altrimenti dal contratto, la mera qualificazione dello stesso come fiduciario non è sufficiente ad impedire l’applicabilità delle disposizioni che vietano la prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento”.

Infine, deve rilevarsi che la pretesa contraddittorietà della deposizione testimoniale del rag. U. non è denunciabile in questa sede, trattandosi di valutazione rimessa al giudice del merito.

3.1 – Il secondo motivo è inammissibile perchè la relativa questione è stata introdotta per la prima volta in questa sede di legittimità.

La società controricorrente, infatti, ha eccepito la novità della questione, perchè mai affrontata nei gradi di merito. Il B., sul punto, nulla osserva in memoria, dilungandosi invece sulla confutazione del difetto di autosufficienza del ricorso, pure eccepito dalla Agerola. Così facendo, però, egli è venuto meno all’onere di dimostrare le condizioni di ammissibilità della censura, tra cui quella concernente la “non novità” della questione in discorso.

4.1 – Anche il terzo motivo è inammissibile.

Il preteso vizio denunciato dal B. ai sensi del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non si fonda in realtà su alcun “fatto” (nell’accezione datane dalla citata Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), ma si incentra sulla pretesa contraddittorietà della deposizione del teste U.: se fosse vero quanto di questi dichiarato, ne deriverebbe, secondo il ricorrente, l’inversione delle parti del rapporto giuridico. Il preteso vizio denunciato, quindi, non essendo un fatto storico il cui esame in ipotesi sia stato omesso dal giudice d’appello, esula del tutto dallo schema di cui alla norma processuale prima citata.

5.1 – In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del magistrato assistente di studio dr. S.S..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 23 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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