Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7414 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 24/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6516/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/05/2005 r.g.n. 91/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/02/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO BALLETTI;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. dinanzi al Tribunale – giudice del lavoro di Napoli O.F. i dipendente della s.p.a. POSTE ITALIANE inquadrato nella “area operativa”, conveniva in giudizio la società datrice di lavoro e, sul presupposto di essere stato illegittimamente escluso dalle selezioni per l’accesso all’area quadri di secondo livello, chiedeva – previo accertamento dell’illegittimità, nullità, inefficacia di ogni atto o comportamento posto in essere dalla convenuta in ordine alla procedura per l’accesso alla qualifica dell’area Quadri, svoltasi in violazione dei principi di correttezza e buona fede – “condannare la società convenuta al risarcimento dei danni da perdita di chances, per l’ingiusta estromissione dalla procedura concorsuale interna, in una somma di denaro da quantificarsi o stabilirsi in via equitativa e, comunque, nella misura di L. 16.500.000”.

Si costituiva in giudizio la s.p.a. POSTE ITALIANE che impugnava integralmente la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.

L’adito Giudice del lavoro, con sentenza in data 15 gennaio 2003, accoglieva parzialmente il ricorso – nel senso che dichiarava l’illegittimità di ogni atto e comportamento posto in essere dalla società datoriale in ordine alla procedura per l’accesso alla “area quadri di secondo livello” e condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 5.681,03 per perdita di chances – e, a seguito di appello principale della s.p.a. POSTE ITALIANE e di appello incidentale di O.F. – la Corte di appello di Napoli, con sentenza del 12 maggio 2005, rigettava entrambi gli appelli con compensazione delle spese del grado.

Per la cassazione di questa sentenza la s.p.a. POSTE ITALIANE propone ricorso assistito da tre motivi.

L’intimato non ha spiegato attività difensiva, ancorchè ritualmente raggiunto dalla notificazione del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente – denunciando “violazione degli artt. 2696 e 1223 cod. civ., nonchè vizi di motivazione” – rileva, a censura della sentenza impugnata, che “il presupposto giuridico di una richiesta risarcitoria, seppure in via equitativa, è la dimostrazione di una situazione che si assume essere stata lesa, ma il giudice, e prima di lui il ricorrente, non documenta in nessun punto quale sia la posizione di fatto e di diritto del ricorrente, tale per cui la condotta aziendale, in modo diretto e con efficienza causale, abbia potuto arrecare loro un danno: orbene, nel nostro caso, la probabilità (rectius, possibilità) avrebbe dovuto ritenersi, diversamente da quanto ha fatto il giudice, marginale e trascurabile, in relazione al numero dei promossi da un lato e degli aspiranti alla promozione dall’altro, ed altresì tenuto adeguatamente conto della circostanza che la valutazione è avvenuta su scala regionale”.

Con il secondo motivo la ricorrente – denunciando “violazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 2697, 1362, 1218 cod. civ., in relazione agli artt. 50 e 51 del c.c.n.l. e della circolare applicativa 35/1995; nonchè vizi di motivazione” – addebita alla Corte di appello di Napoli “di non aver tenuto nella minima considerazione i rilievi effettuati dalla società nel ricorso in appello … essendo, dunque, evidente la svista in cui è incorso il giudice di appello che non ha minimamente preso in considerazione i criteri documentali da Poste ed attuati nell’ambito delle preselezioni”.

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denunciando “violazione dell’art. 1336 cod. civ. e vizi di motivazione” – censura la decisione impugnata in quanto “il giudice di appello fa letteralmente precipitare nel corpo della sentenza l’esistenza di un bando di concorso mai dedotto da alcuno, dall’esistenza del quale discenderebbe una offerta al pubblico in base a cui la qualifica e le relative mansioni sono automaticamente riconosciute al vincitore …

sicchè al momento dell’accettazione delle condizioni da parte del lavoratore e stesse le non sono più modificabili”.

2 – Il ricorso come dianzi proposto deve, anzitutto, essere considerato ammissibile, in quanto (giusta, quanto evidenziato e comprovato dalla difesa della società ricorrente) la data della consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario – ricavata dal timbro apposto sull’atto medesimo attestante il numero cronologico e, nella specie quale ultimo giorno utile per evitare la decadenza dalla proposta impugnativa, la data del 12 maggio 2006 – può ritenersi ritualmente tempestiva atteso che – a seguito delle decisioni della Corte Costituzionale n. 477 del 2002, n. 28 e 97 del 2004 e 154 del 2005 ed in particolare dell’affermarsi del principio della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario – la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna dell’atto ufficiale giudiziario, con la conseguenza che, ove tempestiva, quella consegna evita alla parte la decadenza correlata all’inosservanza del termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata (Cass. n. 2757/2007).

3 – Passando, quindi, alla disamina dei motivi di ricorso, sono da valutarsi (per ovvia priorità logica) anteriormente al primo motivo il secondo ed il terzo motivo – esaminabili congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi -: motivi che si appalesano infondati.

3/a – Infatti la ricorrente, nel riportarsi per extenso al contenuto del ricorso in appello, censura sostanzialmente e quasi esclusivamente la decisione impugnata per vizi di motivazione, nella specie insussistente, poichè la Corte di appello di Napoli, nel respingere l’impugnativa della società, ha esaustivamente motivato nel senso che “l’appellante, dopo avere dato una particolareggiata descrizione della fase preselettiva e di quella selettiva elencando i criteri informatori di esse, ha omesso poi di spiegare il perchè l’ O. era stato escluso dal colloquio, facendo rilevare che, in base all’orientamento giurisprudenziale richiamato, atteso che il bando di concorso in base al quale la qualifica e le relative mansioni sono automaticamente riconosciute al vincitore si configura quale offerta al pubblico, per cui, al momento dell’accettazione delle condizioni da esso proposte da parte del lavoratore non sono più modificabili: sicchè tale situazione attesta l’esistenza di un vero e proprio diritto soggettivo in capo al lavoratore all’effettiva esecuzione delle operazioni di valutazione comparative con il termine di riferimento ai doveri di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., trovano applicazione le regole comuni sulla ripartizione dell’onere della prova con la conseguenza che incombeva al datore di lavoro l’onere di provare l’adempimento dell’obbligo corrispondente a detto diritto soggettivo, per cui la mancanza di detta prova conferma la infondatezza delle doglianze dell’appellante in ordine alla dedotta carenza di interessa a agire e all’assunto comportamento delle Poste in conformità dei principi di buona fede e correttezza”.

Pertanto, in ordine agli asseriti vizi di motivazione – che, secondo la ricorrente, connoterebbero la sentenza impugnata -, vale rimarcare che: -) il difetto di motivazione, nel senso d’ insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, – come per le doglianze mosse nella specie dalla ricorrente quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; -) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l’iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno un insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l’esame di punti decisivi della controversia – irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo non presenta -; -) per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi – come, nella specie, esaustivamente ha fatto la Corte di appello di Napoli – le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

3/b – Circa poi, le censure che investono l’interpretazione degli artt. 50 e 51 del c.c.n.l., le stesse attengono (almeno allo stato della normativa applicabile nel presente giudizio) alla specifica indicazione dei canoni ermeneutici in concreto violati e il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato: per cui la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice e la proposta di una diversa interpretazione investono il merito delle valutazioni del giudice e sono, perciò, inammissibili in sede di legittimità. Pervero, l’interpretazione dei contratti è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, nel giudizio di Cassazione (prima, peraltro, della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione (ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la anzidetta violazione e delle ragioni della obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento di giudice di merito) non potendo -come è, invece, avvenuto per l’impugnativa proposta nella specie dalla ricorrente – le censure risolversi, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (Cass. n. 7740/2003, Cass. n. 11053/2000).

3/c – A conferma della pronuncia di rigetto dei motivi di ricorso in esame vale, altresì, riportarsi al principio di cui alle sentenze di Cass. n. 5149/2001 e, più di recente, di Cass. Sez. Unite n. 14297/2007, in virtù del quale, essendo stata rigettata la principale assorbente ragione di censura, il ricorso deve essere respinto nella sua interezza poichè diventano inammissibili, per difetto di interesse, le ulteriori ragioni di censura.

4 – Anche il primo motivo di ricorso, che viene ora esaminato, deve essere respinto e ciò, essenzialmente, per le ragioni già dianzi sviluppate sub “3/a” e “3/c”.

In particolare, in merito alla specifica doglianza concernente l’asserita inammissibilità dell’azione per danni per la mancata prova di un numero apprezzabile di chances, si osserva – quanto alla prova di tale danno – che il preteso creditore ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta. L’adozione del criterio probabilistico comporta, come rilevato dalla dottrina, che il danno per perdita di chance sia nullo quando la probabilità è pari a zero, e parimenti nullo quando la probabilità è pari al 100%, perchè il danno da perdita di chance viene ad identificarsi con il danno da perdita del risultato.

In realtà, il danno, e la relativa prova, variano da fattispecie a fattispecie, se le lesioni subite (ad esempio) in un incidente stradale non sono sufficienti di per sè a sostenere un danno per perdita di chances lavorative future (Cass. n. 1752 del 2005); se in un concorso per titoli va dimostrato il grado di probabilità di conseguire il risultato favorevole (Cass. n. 852 del 2006; Cass. 1 dicembre 2004, n. 22524); in un concorso per esami, nel quale non rilevi un punteggio di ammissione e nessuno può divinare il risultato finale, è la stessa esclusione illegittima alla partecipazione che comporta l’impossibilità di vittoria, e quindi la perdita della relativa chance.

E’, pertanto, legittima una valutazione equitativa del danno commisurata al grado di probabilità del risultato favorevole o, come nel caso da ultimo citato, alla perdita della chance in sè.

La sentenza impugnata si è attenuta ai cennati principi affermando esattamente – e per questo le censure della ricorrente sono infondate – che “è sufficiente una possibilità non trascurabile di esito favorevole delle operazioni selettive, non essendo necessaria la prova di una probabilità superiore al 50% e rilevando la misura di tale possibilità sotto il diverso profilo della entità del danno, da quantificare avendo come parametro le retribuzioni percipiende, ma con un coefficiente di riduzione che tenga conto della possibilità di conseguirle, ovvero, ove questo o altro criterio risultasse di difficile o incerta liquidazione, ricorrendo alla liquidazione equitativa; provvedendo, in perfetta aderenza a tali principi giurisprudenziali a liquidare il danno all’ O.”.

5 – In definitiva alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto dalla s.p.a. POSTE ITALIANE deve essere respinto.

Non v’è da provvedere sulle spese del giudizio di legittimità nel quale l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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