Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7413 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 24/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.R., D.V., G.G., M.

O., R.D., C.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 59, presso lo studio

dell’avvocato SBARDELLA ANTONIO, rappresentati e difesi dall’avvocato

RUSSO MAURIZIO, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

B.I., B.P., C.W., R.V.,

S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1694/2005 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 18/04/2005 r.g.n. 47699/98;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

24/02/2010 dal Consigliere Dott. ZAPPIA Pietro;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

 

Fatto

Con ricorso al Pretore, giudice del lavoro, di Napoli, notificato in data 20.9.1996, B.I., B.P., C.W., C.F., C.R., D.V., G. G., M.O., R.V., R.D. e S.F., premesso di essere dipendenti dell’Ente Poste Italiane nonche’ in possesso di titolo di laurea, e premesso che l’Ente suddetto aveva attivato una procedura per il passaggio all’Area funzionale (OMISSIS), alla stregua delle previsioni di cui al CCNL 26.11.1994 disponendo con Circolare n. 35 del 7.11.1995 la formazione di cinque categorie di personale (A, B, C, D ed E) con riserva di posti in diversa percentuale in relazione a ciascuna categoria, esponevano che l’Ente datoriale, ponendo in essere una anomala procedura di preselezione, senza il rispetto dei criteri di trasparenza e di obiettivita’ fissati dall’art. 20, comma 2 del contratto collettivo predetto, aveva escluso tutti i ricorrenti dalla possibilita’ di partecipare al colloquio di accertamento professionale. Chiedevano pertanto che venisse dichiarata l’illegittimita’ della graduatoria e della procedura di preselezione, con ammissione di essi ricorrenti alla partecipazione alle prove preselettive e condanna della convenuta al risarcimento del danno per perdita di chance da valutarsi equitativamente ex art. 1226 c.c..

Con sentenza in data 7.10.1998 il giudice adito, in parziale accoglimento della domanda, ritenuta la illegittimita’ del comportamento aziendale, condannava l’Ente Poste al risarcimento del danno per perdita di chances nella misura di L. 11.000.000 per ciascun ricorrente.

Avverso tale sentenza proponeva appello la societa’ Poste Italiane s.p.a. lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo; e proponeva altresi’ appello incidentale parte degli originari ricorrenti chiedendo il riconoscimento in favore di ciascuno di essi della ulteriore somma di Euro 15.000,00.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 2.2.2005, rigettava entrambe le impugnazioni.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la societa’ datoriale con due motivi di impugnazione.

Resistono con controricorso i dipendenti C.F., C. R., D.V., G.G., M.O. e R. D.; gli altri lavoratori non hanno svolto attivita’ difensiva.

La societa’ ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione degli artt. 2697 e 1223 c.c., nonche’ omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

Rileva in particolare che erroneamente il decidente aveva disposto il risarcimento del danno in favore degli originari ricorrenti per perdita di chances sebbene, per come rilevato dalla Corte di Cassazione con la pronuncia a Sezioni Unite n. 6572 del 2.2.2006, in caso di inadempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi discendenti dal contratto, il danno non poteva ritenersi in re ipsa, dovendo essere provato dall’interessato ai sensi dell’art. 2697 c.c.;

e nel caso di specie i ricorrenti non avevano documentato quale fosse la posizione di fatto e di diritto di ciascuno di essi, quale sarebbe stata la posizione soggettiva di cui l’azienda non avrebbe tenuto conto, e quale sarebbe viceversa la situazione deteriore di altri lavoratori illegittimamente promossi.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c., degli artt. 2697, 1362, 1218 c.c. e segg., in relazione agli artt. 50 e 51 del CCNL e della Circolare applicativa n. 35/1995; nonche’ omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

Osserva in particolare che erroneamente i giudici d’appello avevano ritenuto la illegittimita’ delle modalita’ con cui era stata attuata la selezione, sul presupposto che sarebbero stati introdotti criteri di preselezione parzialmente diversi da quelli concordati, e sarebbero stati applicati senza alcuna trasparenza.

Ed invero la posizione giuridica vantata dai lavoratori non era in alcun modo riconducibile all’alveo dei diritti soggettivi, atteso che la procedura di accertamento del potenziale del personale “quadri” non poteva considerarsi una procedura concorsuale e non attribuiva al valutato alcun diritto soggettivo, stante la piena discrezionalita’ del datore di lavoro, avallata dall’accordo con le organizzazioni sindacali. Cio’ in quanto il contratto collettivo del 26.11.1994, all’art. 50, non indicava concretamente i criteri selettivi da adottare per la scelta del personale da inquadrare nelle aree superiori, emergendo da cio’ il preciso intento di riservare all’Ente, per quel che riguarda in particolare il punto D – che interessava i lavoratori in questione – della Circolare n. 35/95, ogni discrezionalita’ in ordine ai criteri di selezione.

Rileva il Collegio che, prima di procedere all’esame dei suddetti motivi di gravame, occorre preliminarmente prendere in considerazione le eccezioni di inammissibilita’ del ricorso sollevate dal lavoratori.

Con una prima eccezione gli stessi hanno rilevato l’inammissibilita’ del gravame per omessa formulazione del quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

L’eccezione e’ infondata atteso che il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27 prevede che le disposizioni del capo 1 del suddetto decreto, ad eccezione di quelle contenute negli artt. 1 e 19, si applicano ai ricorsi per Cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore di tale decreto; e pertanto la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto dall’art. 6 del decreto in questione, non trova applicazione nel caso di specie, versandosi in tema di ricorso per Cassazione avverso sentenza pubblicata in data anteriore (decisione del 2.2.2005 depositata in cancelleria il 18.4.2005) rispetto alla data (2.3.2006) di entrata in vigore del decreto legislativo.

Con una seconda eccezione hanno rilevato la nullita’ o inammissibilita’ del ricorso per cassazione, assumendo la violazione dell’art. 112 c.p.c. concernente la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, avendo la societa’ ricorrente fatto riferimento – chiedendone la cassazione – alla sentenza della Corte d’appello, mentre le statuizioni contestate erano contenute nella sentenza del Tribunale.

Neanche tale eccezione e’ fondata atteso che il ricorso proposto dalla Poste Italiane s.p.a., se pur reca nel frontespizio la indicazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1694 del 18 aprile 2005, non consente di dubitare che trattasi di evidente error calami posto che non puo’ in realta’ sorgere alcun dubbio in ordine al provvedimento impugnato, risultando depositata copia autentica della sentenza impugnata (n. 1694 del 18 aprile 2005 del Tribunale di Napoli), di talche’ non puo’ ravvisarsi alcuna illegittima integrazione, da parte di questa Corte, delle richieste formulate dalla societa’ ricorrente, ma solo una corretta lettura delle stesse.

Posto cio’, esaminando nell’ordine logico le questioni sollevate dalla ricorrente, viene in rilievo innanzi tutto il secondo motivo di gravame.

Il motivo non e’ fondato.

Non puo’ invero dubitarsi che l’attivazione delle procedure di accertamento e valutazione per la copertura delle carenze di posti di quadro di secondo livello, da attribuire attraverso accesso interno, sebbene non costituisca una vera e propria procedura concorsuale, si basa pur sempre su una valutazione comparativa, se pur discrezionale, di determinati requisiti fra i diversi aspiranti, e quindi su una selezione per l’accesso, di talche’ fonda un vero e proprio diritto soggettivo in capo al soggetto interessato al corretto compimento delle operazioni suddette. Cio’ in quanto, anche in caso di procedure selettive caratterizzate da ampia discrezionalita’ in capo al datore di lavoro, lo stesso deve operare, “nel compimento della scelta e cioe’ nel compimento delle operazioni necessarie alla valutazione dei requisiti dei promuovendi secondo i meccanismi procedimentali precostituiti e in ogni caso alla stregua delle regole desumibili dal principio della correttezza” (Cass. sez. lav., 15.3.1996 n. 2167).

Posto pertanto che oggetto della presente controversia e’ la verifica del rispetto o meno, da parte di Poste Italiane, delle regole contrattuali con le quali la societa’, autolimitando il proprio potere di organizzazione e di gestione, ha stabilito i criteri di selezione del personale di Area Operativa da promuovere in Area (OMISSIS), ritiene il Collegio che il giudizio negativo espresso sul punto dai giudici d’appello e’ pienamente condivisibile, ove si osservi che la societa’, obbligatasi all’osservanza di determinate procedure, nella valutazione del personale da promuovere in Area (OMISSIS), e in particolare nella valutazione degli attuali ricorrenti, non si e’ attenuta ai principi di obiettivita’ e di trasparenza fissati dall’art. 50 CCNL, ne’ ai principi generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375) ai quali ciascun contraente deve uniformarsi nell’esecuzione dell’obbligazione.

Ha osservato questa Corte, in analoga controversia, che “un giudizio sui candidati alla selezione rispettoso dei suddetti principi avrebbe richiesto che il soggetto designato a tale operazione rendesse note le ragioni della sua scelta, che era si discrezionale, ma sottoposta a vincoli procedimentali. E’ evidente che una procedura che privilegi l’obiettivita’ e la trasparenza esige che siano manifestate all’esterno le motivazioni che sorreggono la scelta di un candidato piuttosto che un altro e che sia formata una graduatoria dei candidati, anche senza la necessita’ della redazione di verbali delle operazioni di selezione. A nulla rileva che le norme contrattuali non prevedessero espressamente un obbligo di motivazione e la formazione di graduatorie, poiche’ siffatti adempimenti sono implicitamente connessi con l’obbligo di osservare criteri di obiettivita’ e trasparenza e con l’obbligo di osservare i principi di correttezza e buona fede nell’adempimento delle obbligazioni” (Cass. sez. lav., 22.1.2009 n. 1631; in senso conforme, Cass. sez. lav., 2.2.2009 n. 2581).

Questa Corte non ha ragione di discostarsi dai suddetti principi di talche’ deve ritenersi che gli originar” ricorrenti hanno ragione di dolersi del fatto di non essere stati messi in condizione di conoscere le ragioni della loro esclusione per la mancanza di ogni motivazione da parte dell’organo incaricato della selezione.

Ne consegue che le censure che la societa’ ha mosso sul punto all’impugnata sentenza non sono meritevoli di accoglimento, avendo i giudici di merito correttamente e compiutamente esplicitato le ragioni, che questa Corte ritiene del tutto condivisibili, poste a base della loro determinazione.

Del pari infondato e’ l’ulteriore motivo di ricorso.

Ed invero, nell’ipotesi in cui la promozione sia effettuata sulla base di predeterminati criteri di valutazione fra piu’ soggetti potenzialmente idonei (per il possesso dei titoli formalmente necessari) ad essere valutati e scelti (attraverso criteri normativamente previsti), e manchi la motivazione in ordine alla scelta effettuata, sussiste un salto logico, che conferisce all’esercizio del potere datoriale il carattere dell’arbitrarieta’.

L’assenza di motivazione, in quanto inadempimento che non consente alcun – sia pur formale – controllo sull’applicazione dei criteri di valutazione e di scelta, costituisce elemento idoneo a far ritenere che il corretto svolgimento della procedura, desumibile dalla motivazione (nel caso di specie insussistente) avrebbe potuto condurre anche alla scelta del ricorrente. Da cio’, un immanente rapporto causale fra assenza assoluta di motivazione e danno:

l’assenza reca in se’ stessa il danno (cio’, a differenza dell’ipotesi in cui si contesti la violazione di qualche criterio di valutazione, ove diventa conseguentemente necessario provare uno specifico rapporto causale fra violazione ed eventualita’ della scelta).

La scelta (non motivata) assume rilevanza sotto il profilo della perdita di chances per il soggetto pretermesso.

E pertanto, essendo certo l’inadempimento dell’obbligazione datoriale (consistente nell’assenza di motivazione in ordine alla scelta da eseguire sulla base dei criteri normativamente previsti o comunque concordati e del principio di correttezza e buona fede), e’ altresi’ certo il danno quanto all’an debeatur.

Rileva il Collegio, per quel che riguarda l’entita’ del danno per perdita di chances, che non e’ stata proposta specifica impugnazione sul criterio di liquidazione.

Devesi infine evidenziare che non appare conducente il rilievo di parte ricorrente alla stregua del quale il demansionamento del lavoratore, se pur ritenuto illegittimo, non comporta necessariamente un danno di natura patrimoniale, la cui prova incombe pur sempre al lavoratore.

Ed invero nel caso di specie non si verte in tema di demansionamento (che puo’ in effetti non comportare alcun danno di natura patrimoniale laddove la retribuzione venga pur sempre corrisposta con riferimento alle mansioni in precedenza esplicate), bensi’ in tema di mancata promozione, la quale per contro comporta comunque un danno di natura di patrimoniale stante il mancato adeguamento della retribuzione alla qualifica cui l’interessato aspirava.

E’ pertanto da affermare che, anche nella procedura valutativa (ove la promozione si effettua attraverso una selezione con successiva scelta da operarsi sulla base di predeterminati criteri di valutazione), per il principio di correttezza e buona fede, il datore ha l’onere di dare della scelta (come applicazione degli indicati criteri) adeguata motivazione, cui ogni interessato (in quanto formalmente legittimato alla scelta) ha diritto; e l’inadempimento (assenza di motivazione) e’ di per se’ causa di danno sotto il profilo della perdita di chances (Cass. sez. lav., 3.10.2006 n. 21297). Di conseguenza il danno patrimoniale e’ in tal caso comunque ravvisabile.

Neanche sul punto il ricorso puo’ trovare accoglimento.

Il proposto gravame va pertanto rigettato ed a tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento, nei confronti delle controparti costituite ( C.F., C.R., D.V., G.G., M.O. e R.D.) delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo. Nessuna statuizione va adottata nei confronti degli altri controinteressati, non avendo gli stessi svolto alcuna attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione, nei confronti delle controparti costituite, delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida, complessivamente, in Euro 17,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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