Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7413 del 23/03/2017

Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, (ud. 18/01/2017, dep.23/03/2017),  n. 7413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5584-2014 proposto da:

L.R.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SECCHI

ANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato FABIO MASSIMO VENTURA, che

la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RIZZOLI CORRIERE DELLA SERA MEDIA GROUP SPA, MI.PA.,

C.G.;

– intimati –

Nonchè da:

RIZZOLI CORRIERE DELLA SERA MEDIA GROUP SPA in persona del legale

rappresentante, MI.PA., C.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CARLO PASSAGLIA, 11, presso lo studio

dell’avvocato VALENTINO SIRIANNI, rappresentati e difesi

dall’avvocato CATERINA MALAVENDA giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

e contro

L.R.M.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2785/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato FABIO MASSIMO VENTURA;

udito l’Avvocato ANTONIO SIGILLO’ per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2008, L.R.M.C., in arte M.M., convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la giornalista C.G., Mi.Pa., direttore del quotidiano (OMISSIS), e la R.C.S. Quotidiani S.p.a., editrice dello stesso giornale, per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito della pubblicazione sul predetto quotidiano, tra il (OMISSIS), di una serie articoli diffamatori o comunque civilisticamente lesivi dei diritti inviolabili della personalità, dell’identità personale, dell’onore, della reputazione, del decoro, dell’immagine professionale, della dignità di parte attrice, nonchè al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dalla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 12 “Disposizioni sulla stampa”.

In particolare, tali articoli riportavano il testo di un’intercettazione effettuata nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria, nel corso della quale i soggetti intercettati si riferivano a parte attrice con l’epiteto “porcella doc.”

Si costituirono i convenuti, chiedendo il rigetto delle domande attoree. A sostegno della legittimità degli articoli impugnati, dedussero che lo stralcio dell’intercettazione telefonica pubblicata era contenuto nell’ambito di una ordinanza di custodia cautelare per un presunto scambio tra favori sessuali e comparizioni in programmi televisivi; che la notizia era di interesse pubblico e che pertanto ogni fatto e ogni espressione utilizzata dagli indagati durante le loro conversazioni inerenti i rapporti con le donne nominate potevano essere legittimamente utilizzate per favorire una migliore comprensione dei fatti stessi da parte dell’opinione pubblica.

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 10319/2010, riconobbe portata diffamatoria a tutti gli articoli apparsi sul quotidiano “(OMISSIS)”, negando che potesse affermarsene la liceità in forza del diritto di cronaca, considerato che il commento ingiurioso non era essenziale ai fini di una esauriente informazione e che la signora M. era estranea all’indagine giudiziaria nell’ambito della quale era stata acquisita l’intercettazione.

Il Tribunale, pertanto, condannò i convenuti in solido al risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato, tenendo conto della gravità dell’offesa, dello stato dell’attrice (alla data delle pubblicazioni al settimo mese di gravidanza), della reiterazione delle pubblicazioni, dell’evidenza delle notizie, corredate con la fotografia dell’interessata, della diffusione del quotidiano e dell’atteggiamento pertinacemente ostile dimostrato dalla testata, in Euro 100.000; ritenne invece non sufficientemente provato il danno patrimoniale;

condannò inoltre la giornalista C.G. a corrispondere all’attrice, a titolo di sanzione pecuniaria, l’ulteriore importo di Euro 30.000.

2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2785 del 9 luglio 2013.

La Corte di Appello, diversamente dal giudice di primo grado, ha ritenuto il carattere diffamatorio dei soli articoli pubblicati sul quotidiano in data (OMISSIS), per la parte in cui riportano il testo delle intercettazioni indicando il nome dell’appellata; ha rilevato inoltre che la valenza diffamatoria degli articoli pubblicati in data (OMISSIS) risulta attutita dalla circostanza che alla M. era stata offerta la possibilità di replica immediata e che l’articolo che conteneva la suddetta replica, il quale dava conto della carriera della stessa M. e dello scarso successo di pubblico dei programmi televisivi a cui aveva partecipato non appariva eccedere i limiti della legittima critica; ha escluso valenza diffamatoria degli ulteriori articoli del (OMISSIS), ritenendo che tali articoli si limitassero a riferire fatti veri (la reazione della RAI allo scandalo sulle raccomandazioni a luci rosse), dando spazio alle opinioni e alle repliche delle dirette interessate.

La Corte quindi, ridimensionata la valenza offensiva dei fatti illeciti sulla scorta della possibilità di replica immediatamente attribuita alla M. e tenuto conto del contributo dato dalla diretta interessata alla diffusione della notizia, attraverso servizi fotografici e interviste che incentravano l’attenzione del lettore proprio sull’apprezzamento offensivo, ha ridotto il danno non patrimoniale – liquidandolo, secondo i criteri equitativi usualmente utilizzati dalla medesima Corte in ipotesi di diffamazione, in Euro 8.000 già comprensivi di interessi – e la sanzione pecuniaria, determinata in Euro 2.000.

3. Avverso tale decisione, propone ricorso in Cassazione L.R.M.C., sulla base di tre motivi.

3.1. Resistono con controricorso RCS Mediagroup S.p.a., Mi.Pa. e C.G., i quali formulano anche ricorso incidentale basato su di un unico motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, la ricorrente principale deduce “Errore in judicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 595 c.p., e art. 51 c.p., del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2 e 137 degli artt. 2, 3 e 21 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Difetto ed illogicità della motivazione su di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, nella parte in cui la sentenza della Corte di Appello sostiene una attenuazione dell’effetto diffamatorio in riferimento agli articoli apparsi il (OMISSIS).

La Corte di Appello, nell’esaminare il diritto di replica concesso dal quotidiano a parte ricorrente, non avrebbe considerato il contesto in cui detto diritto si era esplicato, che aveva neutralizzato la valenza difensiva delle dichiarazioni rese dalla medesima ricorrente.

Inoltre, la decisione sarebbe illogica perchè la Corte, relativamente all’articolo del (OMISSIS) riconoscerebbe contestualmente la sussistenza della diffamazione e l’esimente del diritto di critica.

4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente principale lamenta la “Errore in judicando – violazione e falsa applicazione degli artt. 595 e 51 c.p., degli artt. 2 e 21 Cost. e D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137, dell’art. 6 Codice dei giornalisti, degli artt. 2, 3 e 11 Cost., nonchè degli artt. 112 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Difetto ed illogicità della motivazione su di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” nella parte in cui la sentenza impugnata ha negato la portata diffamatoria degli articoli del (OMISSIS).

Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, con tali articoli sono state diffuse notizie non vere e diffamatorie, che hanno avuto conseguenze pregiudizievoli per la ricorrente, del tutto ignorate dal giudice di secondo grado.

La decisione della Corte di Appello si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali posti alla base dell’accertamento dell’esimente nell’esercizio della professione giornalistica. Infatti, avendo escluso che tali articoli costituissero diffamazione, la Corte avrebbe dovuto inequivocabilmente riconoscere per tali articoli la sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca e/o di critica.

4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente principale denuncia “Errore in judicando – violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c., dell’art. 185 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Difetto ed illogicità della motivazione su di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” nella parte in cui la Corte ha riconosciuto un danno non patrimoniale di contenuto irrisorio rispetto alla gravità delle offese arrecate dal quotidiano ed alle conseguenze avute dalla ricorrente in termini di lesione della reputazione, dell’immagine e della carriera compromessa.

La Corte di appello avrebbe operato la drastica riduzione degli importi liquidati in primo grado senza indicare i parametri oggettivi utilizzati, che avrebbero giustificato tale ridimensionamento.

Inoltre, il giudice di secondo grado, a differenza del Tribunale, non avrebbe in alcun modo preso in considerazione gli elementi peculiari del caso concreto che avrebbero consentito di determinare il danno patrimoniale in maniera equa, ed in particolare, non avrebbe tenuto conto dell’avanzato stato di gravidanza della ricorrente, che pochi giorni dopo la pubblicazione degli articoli diffamatori era stata ricoverata per minaccia di parto prematuro.

I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono tutti inammissibili.

Innanzitutto, perchè, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione diversi, facenti riferimenti alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali sono quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciato dall’art. 360, c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità, il compito di dare forma e contenuto giuridico alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 19133/2016).

I motivi, inoltre, risultano diretti a sindacare la valutazione di merito effettuata dal giudice di secondo grado.

E’ principio consolidato di questa Corte che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 5206/2016; Cass. 7921/2011).

E ciò anche a non voler tenere conto che, nel caso in esame, la motivazione fornita dal giudice di merito risulta adeguata e tutt’altro che incoerente, avendo fondato la reputata attenuazione dell’effetto diffamatorio degli articoli in esame (in particolare di quello del (OMISSIS) intitolato “(OMISSIS)”) sulla possibilità di replica fornita immediatamente alla ricorrente ed avendo tenuto in adeguata considerazione il contesto ove tale replica è stata inserita, ovvero il diverso articolo del (OMISSIS) intitolato “(OMISSIS)”), ritenendo che tale ultimo articolo, e non invece quello ritenuto diffamatorio, rispettasse i limiti del diritto di critica.

La motivazione della sentenza impugnata risulta ineccepibile, in quanto aderente alle emergenze processuali (in particolare, relativamente alla verità della notizia, la decisione da parte della Rai di estromettere la ricorrente risulta riportata solo nell’articolo del (OMISSIS), ovvero il giorno dopo che l’azienda aveva diffuso il relativo comunicato, come riconosce la stessa ricorrente, cfr. p. 32 ricorso), priva di vizi logici e metodologici ed argomentata in ordine a tutte le questioni sollevate.

Sussiste anche adeguata motivazione sulla liquidazione del danno perchè il giudice dell’appello motiva le ragioni della liquidazione dei danni (pag. 12 e 13 sentenza). Infatti l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, come appunto nel caso di specie.

5.1. Con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti incidentali lamentano la “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 595 e 51 e/o 59 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè difetto e/o illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, nella parte in cui la sentenza di appello non ha riconosciuto la sussistenza della scriminante del legittimo esercizio del diritto di cronaca, quantomeno sotto il profilo putativo, a proposito degli articoli pubblicati il (OMISSIS).

Da un lato, la Corte milanese, per la decisione sul riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca, avrebbe utilizzato il criterio dell’essenzialità dell’informazione, che però appartiene al diverso piano del trattamento dei dati personali.

La Corte così, applicando le norme in tema di trattamento dei dati personali, avrebbe accolto una domanda diversa da quella formulata e recepita dal Tribunale.

Dall’altro lato, la Corte non avrebbe considerato che nell’ordinanza del GIP che conteneva la trascrizione della conversazione riportata dal quotidiano vi erano riferimenti che legittimavano la diffusione anche delle generalità della ricorrente, al fine di fornire una completa panoramica dei fatti.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello, dopo avere condiviso il giudizio espresso dal Tribunale quanto al carattere diffamatorio di una parte degli articoli pubblicati, ha ritenuto inesistenti i requisiti necessari a fondare il legittimo esercizio del diritto di critica, rilevando l’insussistenza dell’interesse pubblico, dal momento che la ricorrente, nell’indagine da cui erano scaturiti i suddetti articoli, non compariva nemmeno come parte offesa.

Al riguardo, è stato affermato che l’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico quale presupposto di liceità della condotta, in assenza del consenso dell’interessato, deve essere inquadrata nel generale parametro della continenza e, dunque, della indispensabile osservanza del limite di contemperamento tra la necessità del diritto di cronaca e la tutela della riservatezza del dato (Cass. pen. Sez. 5, 14/09/2016, n. 42987).

Inoltre, contrariamente a quanto affermano i ricorrenti incidentali, la Corte di Appello ha tenuto conto della circostanza che il nominativo della M. emergeva nell’ambito dell’ordinanza cautelare che conteneva la trascrizione della conversazione riportata dal quotidiano, ritenendo tuttavia che l’eventuale rilevanza dell’indicazione di tale nominativo ai fini della completa motivazione della predetta ordinanza cautelare era questione “estranea a quelle rilevanti al fine del decidere”.

6. Pertanto la Corte dichiara inammissibili i ricorsi quello principale e quello incidentale. Compensa le spese del giudizio in ragione della reciproca soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 18 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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