Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7413 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. I, 07/03/2022, (ud. 16/02/2022, dep. 07/03/2022), n.7413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15925/2021 proposto da:

Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di

Cagliari;

– ricorrente –

nonché contro

Ministero dell’Interno, in persona del ministro pro tempore,

Prefettura di Cagliari, in persona del prefetto pro tempore,

domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

nonché contro

C.S., anche quale madre esercente la responsabilità

genitoriale del minore L.A., domiciliata in Roma, Piazza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dagli avvocati Chinotti Stefano, Latti

Daniela, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Comune di Cagliari, I.A., L.L.;

– intimati –

avverso il provvedimento della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/02/2022 dalla cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Cagliari, con decreto n. cronol. 691/2021, depositato il 28/4/2021, ha respinto il reclamo del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Cagliari avverso il decreto del Tribunale di Cagliari che aveva respinto l’azione del P.M. presso il Tribunale e delle amministrazioni pubbliche di rettificazione, D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95 ritenendo legittima l’annotazione, operata dall’Ufficiale dello stato civile, sull’atto di nascita di L.A., nato a (OMISSIS) (a seguito di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, accessibile in Germania anche alle coppie di persone dello stesso sesso), dell’indicazione, quali genitori, oltre alla madre partoriente, L.L., di C.S., per dichiarazione di quest’ultima di riconoscimento di filiazione naturale.

In particolare, i giudici d’appello hanno, anzitutto, ritenuto l’eccezione, sollevata, per la prima volta in appello, dalla C., di inammissibilità del procedimento D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95 (per essere necessaria un’azione di stato, al fine di eliminare lo status filiationis sussistente per effetto della dichiarazione di riconoscimento da parte della madre intenzionale, ricevuta dall’Ufficiale dello stato civile ed annotata sull’atto di nascita) tardiva, in mancanza di proposizione da detta parte di reclamo incidentale, a fronte dell’implicita statuizione contraria, sul punto, del giudice di primo grado, e comunque infondata, atteso che l’azione in questione mira ad eliminare una difformità tra una situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere secondo la previsione di legge (nella specie, il D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30 ove si prescrive che, negli atti di nascita, devono essere indicati quali genitori la madre partoriente ed il padre biologico), e quella risultante dai registri dello stato civile, anche attraverso la cancellazione di un atto indebitamente registrato, considerato che le annotazioni nel suddetto registro hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva dello status.

Nel merito, la Corte territoriale ha sostenuto che, ferma l’illiceità della pratica ricreativa attuata dalla coppia genitoriale di sesso femminile, ai sensi della disposizione, non costituzionalmente censurabile, di cui alla L. n. 40 del 2004, art. 7 (secondo cui i requisiti soggettivi di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in Italia, presuppongono la diversità di sesso dei componenti la coppia genitoriale), non contraria comunque all’ordine pubblico interno, alla luce di quanto espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 32/2021, dovesse procedersi ad una interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 40 del 2004, art. 8 (in forza del quale i nati a seguito dell’applicazione di P.M.A. (procreazione medicalmente assistita), hanno comunque “lo stato di figli” della coppia che ha espresso il consenso all’utilizzazione delle tecniche medesime), al fine di assicurare piena tutela al minore nato, in Italia, a seguito di un progetto di procreazione condiviso dalla coppia di sesso femminile, stante il preminente interesse dello stesso di essere riconosciuto figlio di entrambe coloro che avevano concorso alla sua nascita, non potendo comunque rilevare la successiva rottura, nel (OMISSIS), della relazione sentimentale tra le componenti della coppia genitoriale, dovendo il progetto di genitorialità condivisa continuare ad essere attuato.

La Corte d’appello, confutando, in espresso dissenso, le motivazioni espresse da questo giudice di legittimità nelle pronunce nn. 7668 e 8029 del 2020, si è richiamata, quanto all’interpretazione costituzionalmente orientata della L. 40 del 2004, art. 8 all’ordinanza della Corte Costituzionalen. 32/2021, di declaratoria di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della L. n. 40 del 2004, artt. 8 e 9 e dell’art. 250 c.c., rilevando che: a) l’illecito ricorso alla P.M.A. della copia omo-affettiva e quindi il superamento del requisito della diversità di sesso stabilito dalla L. n. 40 del 2004, art. 5 per l’accesso a dette tecniche non si pone in contrasto con l'”ordine pubblico interno”, secondo quanto affermato in un passaggio motivazionale della suddetta pronuncia della Consulta, ed inoltre il mancato riconoscimento dello status filiationis al nato a seguito di fecondazione eterologa omo-affettiva, per il solo fatto di essere nato in Italia e non all’estero (essendo, in tale ipotesi, ciò consentito, anche secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, a fronte del diverso parametro dell'”ordine pubblico internazionale”), seppure da coppia omo-affettiva italiana, realizzerebbe comunque un diverso trattamento del preminente interesse del minore a vedersi riconosciuto tale status sulla sola base del fatto, del tutto causale del luogo di nascita, in Italia o all’estero, spesso correlato alle capacità finanziarie della coppia omo-genitoriale; b) l’art. 8, alla luce anche della sentenza n. 162/2014 della Corte Costituzionale, “non subordina il conseguimento dello status filiationis al presupposto che il ricorso alla PMA sia avvenuto nel rispetto dei requisiti oggettivi e soggettivi, di cui alla L. n. 40 del 2004, artt. 1,4 e 5”, facendosi ivi riferimento generale alle tecniche di procreazione medicalmente assistita ed alla coppia; c) anche quando era vigente il divieto assoluto di fecondazione assistita eterologa, L. n. 40 del 2004, art. 4, comma 3, divieto caduto a seguito degli interventi della Corte Costituzionale (sentenze nn. 162/2014 e 221/2019), in caso di patologia che sia causa di sterilità o infertilità irreversibili e di coppie feritili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, il legislatore del 2004 aveva previsto, all’art. 9, il divieto di disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre, a tutela del nato che acquisiva lo stato di figlio ai sensi dell’art. 8, stante l’autonomia o piena scissione del piano della tutela del nato rispetto a quello dell’illiceità della P.M.A. per insussistenza dei requisiti oggettivi, di cui agli artt. 1 e 4 stessa legge, e “a prescindere pertanto dal rapporto biologico con entrambi i genitori, sicuramente insussistente quanto meno per uno di essi”; d) non esiste, oggi, un unico modello di filiazione, quello previsto dal codice civile e dai costituenti, e al concetto di genitorialità biologica si affianca oggi quello di “genitorialità legale, basata su intenzioni, volontà e consenso”, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 32/2021 ed anche nelle sentenze precedenti nn. 127/2020 e 205/2015, oltre che nelle pronunce del giudice di legittimità, civile, nn. 19599/2016, 13000/2019, 8325/2020, e penale, n. 48696/2016.

Avverso la suddetta pronuncia, il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Cagliari propone ricorso per cassazione, notificato il 28/5/2021, affidato ad unico motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in due motivi, notificato l’8/7/2021), di C.S. (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in unico motivo, notificato il 6/7/2021) e di Prefettura di Cagliari, L.L., Avv. I.A., in qualità di curatore speciale del minore L.A., Comune di Cagliari (che non svolgono difese). La ricorrente incidentale C. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente principale Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Cagliari lamenta, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30, art. 269 c.c. e L. n. 40 del 2004, artt. 4,5,8 e 12 rilevando, in particolare, alla luce delle pronunce recenti del giudice di legittimità e dell’ordinanza n. 32/2021 della Corte Costituzionale, che solo il legislatore può rimuovere l’ostacolo normativo rappresentato dalla L. n. 40 del 2004, art. 5 relativo ai requisiti soggettivi per l’accesso alle pratiche di P.M.A. (procreazione medicalmente assistita), e che l’interesse del minore, da valutarsi, peraltro, in termini non astratti ma concreti, deve rappresentare “il punto di approdo non di partenza” del percorso motivazionale, a seguito della previa verifica della sussistenza nel nostro ordinamento “di una norma che attribuisca il diritto alla genitorialità intenzionale”, il che, nella specie, non ricorre; la tutela del minore, nato, in Italia, da P.M.A. illecita praticata all’estero da coppia omo-affettiva, è comunque assicurata attraverso il trattamento giuridico ricollegabile allo status filiationis pacificamente riconosciuto nei confronti del genitore biologico.

2. Il Ministero, ricorrente incidentale, denuncia, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 40 del 2004, artt. 4, 5, 8, 9 e 12 anzitutto per contrasto con le decisioni del giudice di legittimità (pronunce nn. 8029 e 7668 del 2020) e della Corte Costituzionale (pronunce nn. 230/2020, 32 e 33/2021), che hanno chiaramente affermato l’impossibilità che la pretesa del genitore intenzionale di una coppia dello stesso sesso, che ha acconsentito alla fecondazione eterologa illecita del partner, di riconoscere il figlio di cui il partner è genitore biologico, stante l’indispensabilità di un intervento normativo, trovi accoglimento in sede giurisdizionale, senza incorrere, in realtà, in un eccesso di potere giurisdizionale, con conseguente impossibilità, allo stato, della trascrizione negli atti dello stato civile di una piena bigenitorialità omosessuale, nonché rilevando il chiaro limite soggettivo, in Italia, alla possibilità di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, posto dalla L. n. 40 del 2004, art. 5 espressione del principio, presente tuttora nell’ordinamento nazionale, che intende la filiazione quale discendenza da persone di sesso diverso; con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del R.D. n. 12 del 1941, art. 65 e D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 29 e 30 e art. 250 c.c., in relazione al rigetto del quarto motivo di appello, con il quale si era censurata la violazione dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, essendosi il Tribunale discostato da un orientamento del giudice di legittimità, espresso con la sentenza n. 7688/2020, in ordine al fatto che la legge italiana non consente la formazione di un atto di nascita (non essendo in discussione la trascrizione di un atto già validamente formato all’estero) nel quale siano indicati come genitori due madri.

3. La controricorrente C. svolge un motivo di ricorso incidentale, lamentando la violazione/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c., art. 333 c.p.c., art. 345 c.p.c., comma 2, art. 347 c.p.c., D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95, art. 263 c.c., in relazione al capo della decisione della Corte d’appello che ha respinto l’eccezione di inammissibilità dell’azione di rettificazione dell’atto di nascita, ex adverso formulata, al fine di eliminare “lo stato di madre assegnato alla sig.ra C. nei confronti del minore in forza della dichiarazione di riconoscimento di figlio resa nel (OMISSIS) dinanzi all’Ufficiale di stato civile del comune di Cagliari”, sia in punto di ritenuta tardività, considerato che il Tribunale si era pronunciato solo sulla questione della legittimazione ad agire del Ministero dell’Interno e della Prefettura e si tratta comunque di questione rilevabile d’ufficio, sia in punto di sua infondatezza nel merito, essendo indubitabile che sia stata proposta, in realtà, una controversia di stato, per la quale occorreva promuovere un’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, ai sensi dell’art. 263 c.c., anche perché nella specie l’Ufficiale di stato civile non si era opposto ma aveva recepito la dichiarazione di riconoscimento, provvedendo ad annotarla a margine dell’atto di nascita, cosicché lo status di genitore era stato legalmente acquisito, con ogni effetto di pubblicità legale, dalla C..

La stessa parte, dopo avere eccepito l’inammissibilità del ricorso principale, per difetto di specificità, deduce che il ricorso incidentale del Ministero, in quanto tardivamente notificato l’8/7/2021, anziché il 7/7/2021 (avuto riguardo, come dies a quo, quello del 28/5/2021, di notifica del ricorso principale, ad opera del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Cagliari, sia pure presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, in luogo di quella generale), sarebbe di conseguenza inefficace, ai sensi dell’art. 334 c.p.c..

4. Va, anzitutto, respinta l’eccezione, di C.S., di inammissibilità del ricorso principale della Procura Generale.

Invero, l’unico motivo di ricorso, rubricato come violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, offre una specifica critica delle argomentazioni della decisione impugnata, richiamando le disposizioni di legge che sarebbero state violate dalla Corte di merito e svolgendo, in particolare, considerazioni sul divieto di cui alla L. n. 40 del 2004, art. 5 con richiamo alle motivazioni espresse da questa Corte nei precedenti nn. 7668 e 8029/2020, al fine di contestare le critiche motivate della Corte d’appello a tale orientamento del giudice di legittimità.

Tali modalità d’illustrazione del motivo soddisfa i requisiti di contenuto-forma prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto si spiegano le ragioni per cui determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata devono considerarsi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità.

5. Sempre preliminarmente, va esaminato il motivo del ricorso incidentale della controricorrente C., in punto di inammissibilità dell’azione proposta, in primo grado, dal Ministero e dalla Prefettura D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95 cui aveva aderito il PM, titolare della legittimazione attiva ex lege. Assume la ricorrente incidentale che avrebbe dovuto, invece, essere proposta un’azione di stato, di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del genitore intenzionale, ormai annotato dall’Ufficiale dello stato civile sull’atto di nascita e pienamente efficace, ai sensi dell’art. 263 c.p.c..

5.1. La censura è infondata.

5.2. Anzitutto, l’eccezione è stata ritenuta dalla Corte d’appello inammissibile perché tardivamente sollevata solo nella fase di reclamo, avendo la Corte rilevato che il Tribunale, nel risolvere, respingendola, l’eccezione di difetto di legittimazione ad agire delle amministrazioni pubbliche, aveva implicitamente riconosciuto la proponibilità dell’azione D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95 da parte del PM, cosicché, al fine di evitare la formazione del giudicato interno, la C. avrebbe dovuto proporre reclamo incidentale.

Tale ragionamento non può essere condiviso, non potendo, in effetti, ritenersi che si fosse formato, quanto al primo grado, il giudicato interno sull’ammissibilità della domanda D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95 con preclusione assoluta al relativo rilievo officioso, nella fase di reclamo, di una simile inammissibilità. Invero, il Tribunale, nel ritenere che il giudizio di rettificazione dell’atto di stato civile fosse stato comunque proposto dal PM, titolare della legittimazione attiva ex lege in tali azioni, costituitosi in giudizio, con riproposizione alla cognizione del Tribunale della vicenda già oggetto dell’atto introduttivo delle amministrazioni, con conseguente rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione ad agire di queste ultime, non può anche avere implicitamente risolto la questione, diversa, di rito, di ammissibilità dell’azione di rettificazione; la causa è stata poi decisa con rigetto, nel merito, della domanda.

Ora, l’esame, in sede di impugnazione, di questioni pregiudiziali o preliminari, rilevabili d’ufficio, resta precluso per effetto del giudicato interno formatosi sulla pronuncia che abbia esplicitamente risolto tali questioni, ovvero sulla pronuncia che, nel provvedere su alcuni capi della domanda, abbia necessariamente statuito per implicito sulle medesime, onde tale preclusione non si verifica quando il capo della sentenza comportante, con una decisione di merito, la definizione implicita di questioni pregiudiziali o preliminari sia investito dalla impugnazione, ancorché limitatamente alla detta pronuncia di merito (Cass. 3929/2001; Cass. 7879/2001; Cass. SU 6632/2003; Cass. 8204/2004; Cass. 11318/2005; Cass. 25906/2017; Cass. SU. 7925/19; Cass. 7941/2020).

In sostanza, la statuizione di ammissibilità della domanda, mentre è necessariamente implicita nella pronuncia di accoglimento, non lo è nella pronuncia di rigetto nel merito, la quale, come sopra evidenziato, potrebbe essere stata adottata semplicemente trascurando la questione dell’ammissibilità della domanda stessa, o ritenendo erroneamente che nei rapporti tra questioni di rito e questioni di merito possa trovare applicazione il criterio della ragione più liquida (cfr. Cass. 7941/2020).

5.3. Nel merito, comunque la censura è infondata.

Secondo un costante orientamento di questa Corte, il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, disciplinato originariamente dal R.D. n. 1238 del 1929 (ordinamento dello stato civile) e oggi dal D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e ss. è ammissibile soltanto nelle ipotesi in cui esso sia diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quale risulta dall’atto dello stato civile, per un vizio, comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell’atto stesso; e giammai allorquando a fondamento della domanda di rettificazione venga, in realtà, dedotta una controversia di “stato”, dovendo tale questione essere risolta in un giudizio, contenzioso, nelle forme del rito ordinario di cognizione, con la partecipazione di tutti i soggetti interessati a contraddire alla domanda, a fronte della natura non contenziosa del procedimento di rettificazione ((cfr. Cass. nn. 12746/1998, 2776 del 1996, 10519 del 1990, 7530 del 1986, 1204 del 1984). Invero, “i registri dello stato civile, quali fonte delle certificazioni anagrafiche, devono contenere atti esattamente corrispondenti alla situazione quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione della legge…” (cfr. Cass. n. 7530 del 1986, in motivazione).

Peraltro, la rettificazione degli atti di stato civile è stata sempre ritenuta “non limitata alla sola correzione degli errori materiali che siano commessi nella formazione degli Atti di stato civile”, dovendo l’espressione “rettificazione richiesta dall’interesse pubblico” “essere riferita in senso ampio alla tenuta dei registri dello stato civile nel loro complesso e può ricomprendere la cancellazione di un atto compilato o trascritto per errore, la formazione di un atto omesso, ed anche la cancellazione di un atto irregolarmente iscritto o trascritto” (Cass. 1204/1984; Cass. 16567/2021).

Il principio è stato ribadito in riferimento alla disciplina vigente, dettata dal D.P.R. n. 396 del 2000 e all’art. 95 (Cass. 21094/2009 e, di recente, Cass. 13100/2019).

Questa Corte, infine, con altra successiva ordinanza n. 23319/2021, ha ulteriormente chiarito, proprio nell’ambito di un giudizio che, come il presente, non traeva origine dall’impugnazione da parte di un interessato del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile alla richiesta di trascrizione dell’atto di nascita, ma dalla domanda, proposta dal Pubblico Ministero, ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95, comma 2, di “cancellazione” della trascrizione già effettuata, in quanto fondata sull’allegazione della contrarietà della trascrizione alla disciplina dettata di disposizioni nazionali, che tale domanda trae origine da una “difformità tra la situazione di fatto, quale dovrebbe essere nella realtà secondo la predetta disposizione, e quella annotata nel registro degli atti di nascita, causata da un errore asseritamente compiuto in sede di trascrizione, e non dà pertanto luogo ad una controversia di stato”, ma proprio ad una delle controversie previste dal D.P.R. n. 396, art. 95 (cfr. Cass., Sez. I, 2/10/2009, n. 21094; 27/03/ 1996, n. 2776; 30/10/1990, n. 10519).

Applicando tali principi alla presente fattispecie, pertanto, deve ritenersi che l’unico strumento utilizzabile, ai fini della contestazione della legittimità della annotazione sull’atto di nascita operata dall’Ufficiale di stato civile, dev’essere individuato nel procedimento di rettificazione, la cui funzione, collegata a quella pubblicitaria propria dei registri dello stato civile ed alla natura dichiarativa propria delle annotazioni in essi contenute, aventi l’efficacia probatoria privilegiata prevista dall’art. 451 c.c., ma non costitutive dello status cui i fatti da esse risultanti si riferiscono, esclude peraltro l’idoneità della decisione ad acquistare efficacia di giudicato in ordine alla sussistenza del rapporto giuridico di filiazione.

Peraltro, nella specie, oggetto dell’annotazione contestata da parte dell’Ufficiale dello stato civile è la dichiarazione di riconoscimento effettuata dalla madre intenzionale. Ora, il riconoscimento, ai sensi dell’art. 254 c.c., va effettuato in forma pubblica e quindi annotato sull’atto di nascita nei registri di stato civile, ma l’efficacia giuridica dell’annotazione è di norma quella di pubblicità-notizia o di pubblicità dichiarativa, ai fini dell’opponibilità a terzi, vale a dire l’efficacia probatoria privilegiata prevista dall’art. 451 c.c., non anche quella costitutiva dello status (cfr. Cass. SU 12193/2019).

Quindi l’erronea annotazione sull’atto operata dall’Ufficiale di stato civile, laddove si deduca la non corrispondenza tra la situazione di fatto reale, quale avrebbe dovuto essere, secondo la previsione di legge, e quella risultante dall’atto dello stato civile (nella specie, la nascita del figlio da due madri, la madre biologica e quella intenzionale, per effetto del successivo riconoscimento da parte di quest’ultima), può essere eliminata con l’azione di rettificazione, in quanto si assume che l’atto dello stato civile, che indichi anche la madre intenzionale, è difforme dalla situazione quale è secondo la previsione delle norme vigenti, essendo, anche in questo caso, affetto da un vizio che ne ha alterato il procedimento di formazione.

5.4. Ancora deve rilevarsi che la doglianza risulta anche inammissibile, per carenza di interesse, risolvendosi in una censura sul rito (camerale anziché a cognizione ordinaria).

Nella specie, il procedimento, pur essendo stato trattato con il rito camerale prescritto dal D.P.R. n. 396 cit., art. 96, comma 3, è stato promosso nei confronti di tutti i soggetti legittimati, avendovi preso parte, oltre al Ministero dell’interno, in qualità di Amministrazione centrale, la Prefettura di Cagliari e non solo il minore ed il genitore biologico, ma anche il Pubblico Ministero, cui l’art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3, riconosce la posizione di litisconsorte necessario nelle cause riguardanti lo stato delle persone.

Ora, l’errata individuazione del rito applicabile non può ritenersi sufficiente a giustificare la cassazione del decreto impugnato, non essendo stato dedotto né dimostrato che l’adozione del rito camerale, in luogo di quello ordinario, abbia pregiudicato l’esercizio del diritto di difesa da parte del ricorrente, il quale non ha pertanto interesse a far valere il predetto vizio (cfr. Cass., Sez. I, 21/02/ 2008, n. 4435; 22/07/2004, n. 13662; Cass., Sez. II, 22/01/2007, n. 1279). Inoltre, nella specie, non risulta allegato né si può ipotizzare una violazione del principio del contraddittorio (cfr. Cass. SU 36596/2021).

6. Il secondo motivo del ricorso, incidentale, del Ministero e della Prefettura è infondato. Con esso si denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale, sostenendo che, nel ritenere legittimo il riconoscimento effettuato dalla madre intenzionale, nonostante la mancanza di un legame biologico tra la stessa ed il minore, e la conseguente annotazione operata dall’Ufficiale di stato civile sull’atto di nascita del minore, il decreto impugnato ha avallato la formazione di un atto dello stato civile atipico, in assenza di una norma di legge che lo preveda, in tal modo invadendo la sfera di discrezionalità politica spettante al legislatore.

Come chiarito, di recente da questa Corte (Cass. 23320/2021), la figura dell’eccesso di potere giurisdizionale, per invasione della sfera di discrezionalità riservata al legislatore, è un “vizio ipotizzabile soltanto a condizione di poter distinguere l’attività di produzione normativa indebitamente esercitata dal giudice dall’attività interpretativa, la quale in realtà non ha una funzione meramente euristica, ma si sostanzia in un’opera creativa della volontà della legge nel caso concreto” (cfr. Cass., Sez. Un., 27/06/2018, n. 16974; 12/12/2012, n. 22784; 28/01/2011, n. 2068).

L’eccesso di potere giurisdizionale, come sopra chiarito, non è configurabile neppure in relazione alla mancata proposizione della questione di legittimità costituzionale, non essendo il giudice tenuto senz’altro a promuoverla nel caso in cui ritenga che l’interpretazione corrente delle norme di legge applicabili alla fattispecie sottoposta al suo esame sia contraria alla Costituzione, ma dovendo, anzi, prima di rimettere gli atti alla Corte costituzionale, sperimentare la possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, la cui mancata ricerca, a fronte di una pluralità di plausibili interpretazioni ed in assenza di un indirizzo interpretativo qualificabile come diritto vivente, può anzi costituire causa d’inammissibilità della questione.

7. Il ricorso principale della Procura Generale ed il primo motivo del ricorso incidentale del Ministero sono, invece, fondati.

7.1. I ricorrenti deducono che la Corte di merito, nel ritenere consentita la genitorialità intenzionale omosessuale, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle predette disposizioni, non ha tenuto conto del divieto della procreazione medicalmente assistita, dalle stesse imposto alle coppie omosessuali, laddove la valorizzazione di una genitorialità condivisa apre il varco ad una concezione del tutto svincolata dalle regole biologiche, facendo dipendere esclusivamente dalla volontà la sua attuazione e spostando su un piano meramente potestativo l’attribuzione dello status filiationis, finora pacificamente ritenuto sottratto alla disponibilità delle parti. Invece, anche a seguito della parziale dichiarazione d’illegittimità costituzionale della L. n. 40 del 2004, l’ampliamento delle ipotesi di filiazione, derivante dall’introduzione della disciplina della procreazione medicalmente assistita, resta finalizzato esclusivamente a consentire la filiazione a coppie che, in astratto, potrebbero procreare ma che, in concreto, ne sono impedite, mentre per le coppie omosessuali l’impedimento deriva invece da un limite naturale, che rende impossibile la generazione di figli se non attraverso il ricorso a pratiche mediche richiedenti la cooperazione di terzi; i ricorrenti evidenziano che la materia della filiazione e dell’adozione non ha trovato spazio neppure nella L. 20 maggio 2016, n. 76, la quale, nell’ammettere le unioni civili fra individui dello stesso sesso, ha escluso l’applicabilità delle relative disposizioni al di fuori dell’ambito espressamente previsto.

7.2. Questioni del tutto analoghe a quelle oggetto del presente giudizio sono state risolte da questa Corte in due recenti pronunce, nn. 23320 e 23321 del 2021, che, nel ribadire il principio di diritto espresso nelle pronunce nn. 7668 e 8029/2020 (oggetto di specifica contestazione critica nella decisione di merito qui impugnata, in dichiarato dissenso da tale orientamento), secondo cui il riconoscimento di un minore concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata in unione civile con quella che lo ha partorito, ma non avente alcun legame biologico con il minore, si pone in contrasto con la L. n. 40 del 2004, art. 4, comma 3, e con l’esclusione del ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto, hanno così ulteriormente argomentato: a) nel caso di minore, concepito all’estero ma nato in Italia da cittadina italiana, la fattispecie è interamente regolata, L. n. 218 del 1995, ex art. 33 dalla legge italiana, non presentando alcun elemento di estraneità all’ordinamento italiano, tale da giustificare il ricorso alla nozione di ordine pubblico internazionale; b) la L. n. 40 del 2004, artt. 4 e 5, i quali escludono il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, assoggettando l’accesso alle altre tecniche al possesso di determinati requisiti soggettivi ed oggettivi, costituiscono espressione delle scelte di fondo sottese alla disciplina in questione, consistenti nella configurazione delle predette tecniche “come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimuovibile e nell’intento di garantire che il nucleo familiare scaturente dalla loro applicazione riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre” e tali coordinate sono rimaste inalterate anche a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 162 del 2014 e n. 96 del 2015, che hanno comportato un ampliamento del novero dei soggetti abilitati ad accedere alla procreazione medicalmente assistita; c) la perdurante operatività delle linee guida sottese alla disciplina dettata dalla L. n. 40 del 2004 impedisce di desumere dalla stessa la configurabilità, anche al di fuori dei casi da essa previsti, di un rapporto genitoriale tra il nato ed il coniuge o il convivente del genitore che non abbia fornito alcun apporto biologico alla procreazione, in ossequio alla preminenza dell’interesse del minore al mantenimento di uno status filiationis corrispondente al progetto genitoriale concretizzatosi nella prestazione del consenso alla procreazione medicalmente assistita, non essendo possibile, in particolare, “astrarre il disposto dell’art. 9 dal contesto in cui è inserito”; d) non può essere condivisa la scissione tra il piano dei requisiti oggettivi e soggettivi per l’accesso alle tecniche di P.M.A. e quello della tutela del nato, “in contrasto con l’unitarietà della disciplina in esame, volta ad adattare le modalità di costituzione del rapporto di filiazione alla diversa realtà determinata dalla procreazione medicalmente assistita, nei limiti in cui il ricorso alla stessa risulta consentito, al fine di porre rimedio a forme patologiche di sterilità o infertilità o di evitare la trasmissione di malattie genetiche”; e) i suddetti principi sono stati ribaditi, di recente, dalla Corte Costituzionale nelle pronunce nn. 230/2020 e n. 33/2021; f) quanto, infine, all’interesse del minore, la prevalenza da accordarsi allo stesso non legittima l’automatica estensione delle disposizioni dettate per la procreazione medicalmente assistita anche ad ipotesi estranee al loro ambito di applicazione, non potendo questa Corte sostituirsi al legislatore, cui spetta, nell’esercizio della propria discrezionalità, l’individuazione degli strumenti giuridici più opportuni per la realizzazione del predetto interesse, compatibilmente con il rispetto dei principi sottesi alla L. n. 40 del 2004.

7.3. A tali considerazioni, che vanno riaffermate anche nella presente controversia, va aggiunto che la Corte Costituzionale: a) con la sentenza n. 221 del 2019, nel respingere le censure di illegittimità costituzionale rivolte al predetto art. 5 e all’art. 12, commi 2, 9 e 10, nonché alla L. n. 40 del 2004, art. 1, commi 1 e 2, e art. 4 ha, tra l’altro, precisato che l’esclusione dalla P.M.A. delle coppie formate da due donne “non è (…) fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale”; b) in altra pronuncia, la n. 32/2021, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale proprio della L. 19 febbraio 2004, n. 40, artt. 8 e 9 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e art. 250 c.c., sollevate da Tribunale di Padova, che aveva, per l’appunto ritenuto impraticabile la possibilità di un’interpretazione della L. n. 40 del 2004, artt. 8 e 9 che consentisse di assicurare la tutela dei nati, in Italia, a seguito del ricorso a tecniche di P.M.A. eterologa da parte di due donne, effettuato all’estero, riconoscendo loro lo status di figli di entrambe, alla luce di un’interpretazione sistematica e logica, poiché “allo stato della legislazione, il requisito soggettivo della diversità di sesso per accedere alla procreazione medicalmente assistita”, prescritto dalla L. n. 40 del 2004, art. 5 anche letto in relazione alle norme del codice civile sulla filiazione, esclude tale opzione ermeneutica.

In particolare, la Consulta, in tale ultima pronuncia (sulla cui motivazione si è specificamente soffermata la decisione qui impugnata della Corte d’appello di Cagliari), ha affermato che, seppure “l’elusione del limite stabilito dalla L. n. 40 del 2004, art. 5 non evoca scenari di contrasto con principi e valori costituzionali”, in difetto di un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, spetta alla discrezionalità del legislatore la relativa disciplina. La Corte Costituzionale ha ritenuto, quindi, di non potere porre, allo stato, rimedio al grave vuoto di tutela, anche al fine di evitare “disarmonie nel sistema complessivamente considerato”, rivolgendo un monito alla sensibilità del legislatore (affermando che “non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa”).

E l’urgenza di un intervento legislativo è stato evidenziato anche nella pronuncia gemella n. 33 della stessa Corte Costituzionale.

7.4. Orbene, l’atto di nascita, oggetto della controversia in esame e del procedimento di rettificazione, riguarda un bambino nato in Italia da donna di nazionalità italiana, cosicché resta interamente assoggettato alla legge nazionale.

La Corte d’appello afferma che la pratica di una P.M.A. illecita, per violazione pacifica della L. n. 40 del 2004, art. 5 sotto il profilo del requisito soggettivo di accesso, non comporta anche contrasto con l'”ordine pubblico interno”, dato solo da precetti di rilievo costituzionale, sulla base anche della motivazione, al riguardo, espressa dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2021.

Tuttavia, quando non si pone una questione di applicabilità di una norma straniera, richiamata da norme di conflitto, o di riconoscibilità di una sentenza straniera e la fattispecie è totalmente interna all’ordinamento nazionale, non si pone neppure una questione di “limite dell’ordine pubblico interno”.

La Corte territoriale ha, in effetti, inteso dire che, nel riconoscere, ferma l’illiceità del ricorso alla P.M.A. per violazione della L. n. 40 del 2004, art. 5 la tutela al nato da coppia di due donne, ai sensi della L. n. 40 del 2004, art. 8), come interpretato, secondo una lettura estensiva, costituzionalmente orientata, e nel ritenere non viziata l’annotazione nell’atto di nascita della dichiarazione di riconoscimento da parte della madre intenzionale che aveva condiviso il progetto di procreazione medicalmente assistita, non si è incorsi nella violazione di precetti costituzionali.

Ma, proprio alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 32/2021, la L. n. 40 del 2004, artt. 8 e 9 (tutela del nato e suo stato giuridico) non possono, allo stato, prescindere dal complessivo impianto regolatore della suddetta legge, in particolare dalle disposizioni che individuano i requisiti per l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente (assistita artt. 4 e 5), e dagli originari principi ispiratori della legge. La scelta del legislatore (L. n. 40 del 2004, artt. 4 e 5) è nel senso di limitare l’accesso alle tecniche di P.M.A. per rimuovere cause impeditive della procreazione circoscritte ai casi di sterilità o di infertilità accertate e certificate da atto medico. E quindi a situazioni di infertilità patologica, alle quali, come precisato dalla Corte costituzionale, non è omologabile la condizione di infertilità della coppia omosessuale (v. C. Cost. n. 221 del 2019). Il limite soggettivo (coppia di sesso diverso) posto dalla L. n. 40 del 2004, art. 5 all’accesso alle tecniche di PMA non è stato, sinora, caducato da un intervento della Corte Costituzionale.

Come rilevato da questa Corte, nella recente pronuncia n. 6383/2022, “l’esegesi costituzionalmente orientata è praticabile dinanzi a un’alternativa che veda il risultato di quella difforme in contrasto con norme o principi costituzionali”, ma, nel caso concreto, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 32 del 2021, affrontando, proprio, la questione di legittimità della L. n. 40 del 2004, artt. 8 e 9 oltre che dell’art. 250 c.c., disposizioni che, in quanto, sistematicamente interpretate, non consentirebbero al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale che abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore, ha dichiarato inammissibile la questione medesima perché involgente scelte discrezionali del legislatore. Il che significa che una diversa interpretazione delle norme in esame, involgenti la sola questione della formazione dell’atto di nascita, “non è affatto imposta dalla necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela”, implicando pur sempre il suddetto vuoto, in materia, quale questa, eticamente sensibile, “scelte legislative di riscontro in base all’equilibrio di diversi valori costituzionali – tutti coinvolti e tutti in gioco -“, a fronte delle quali scelte “non sarebbe ammissibile, perché potenzialmente finanche arbitraria, una qualsivoglia attività di supplenza in termini solo giurisprudenziali” (Cass. 6383/2022).

Ne consegue che la soluzione interpretativa estensiva della L. n. 40 del 2004, art. 8 fatta propria dalla Corte d’appello di Cagliari, non risulta conforme a diritto.

8. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso principale della Procura Generale e del primo motivo del ricorso incidentale del Ministero, respinto il secondo motivo e il ricorso incidentale della C., va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale del Ministero, respinto il secondo motivo e il ricorso incidentale della C., cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale C., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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