Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7410 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 23/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresentata e difende,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., gia’ elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato SANTORO LUCIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SINGETTA ALESSANDRO e da ultimo

domiciliato d’ufficio presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 698/2005 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 12/10/2005 R.G.N. 561/05;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

23/02/2010 dal Consigliere Dott. MELIADO’ Giuseppe;

udito l’Avvocato GENTILE GIUSEPPE GIOVANNI per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 29.9/12.10.2005 la Corte di appello di Potenza confermava la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede il 25.3.2005, impugnata dalle Poste Italiane, nonche’, in via incidentale, da M.F., che dichiarava illegittimo il licenziamento a quest’ultimo intimato, per difetto di immediatezza.

Osservava la corte territoriale che, nella fattispecie, correttamente era stata ritenuta la violazione del principio di tempestivita’ della contestazione degli addebiti, tenuto conto che il datore di lavoro aveva avuto, all’esito degli accertamenti ispettivi, adeguata cognizione dei fatti, che ben poteva svolgere ulteriori accertamenti, e che, in ogni caso, il lasso di tempo trascorso fra l’accadimento dei fatti (collocabili fra il 1989 ed il 1995) e la loro contestazione (in data 6.11.2001), a seguito del rinvio a giudizio disposto il 17.5.2001, risultava oggettivamente eccessivo e tale da ledere il diritto di difesa del dipendente, esponendolo sine die all’iniziativa disciplinare del datore di lavoro.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con un unico motivo, illustrato con memoria. Resiste con controricorso M.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo la societa’ ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 osservando che, nella fattispecie, era stato osservato il principio della immediatezza della contestazione, avendo il datore di lavoro reagito con assoluta tempestivita’ alla scoperta dei fatti illeciti posti in essere dal dipendente (che per la loro gravita’ erano senz’altro idonei a ledere il rapporto fiduciario), dando inizio alle necessarie verifiche ispettive ed applicando la sanzione non appena venuto a conoscenza delle irregolarita’ commesse. Il ricorso e’ infondato.

Basterebbe, al riguardo, sol osservare che la societa’ ricorrente (pur avendo la sentenza impugnata accertato che la contestazione dei fatti addebitati segui’ a distanza di oltre sei anni la conclusione degli accertamenti ispettivi che avevano evidenziato le irregolarita’ successivamente addebitate al dipendente) prospetti nel ricorso che “non appena venuta a conoscenza delle irregolarita’ commesse da controparte…(aveva) provveduto a disporre immediatamente nei confronti del ricorrente la contestazione dell’illecito disciplinare”. Cosi’ formulando una censura carente di specificita’, se non proprio priva di puntuale riferibilita’ alla decisione impugnata.

Ma a non diverse conclusioni si dovrebbe pervenire anche a ritenere che la immediatezza della contestazione sia riferita dalla societa’ ricorrente al tempo trascorso dall’avvenuta conoscenza del rinvio a giudizio del dipendente. Giova, al riguardo, premettere, con riferimento ai requisiti che qualificano la tempestivita’ della contestazione e della sanzione disciplinare, come questa Suprema Corte abbia piu’ volte ribadito che il principio tanto dell’immediatezza della contestazione dell’addebito, quanto della tempestivita’ del recesso, la cui rado riflette l’esigenza del rispetto della regola della buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, oltre che dei principi di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento del lavoratore incolpato, deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessita’ dell’organizzazione del datore di lavoro, ad una adeguata valutazione della gravita’ dell’addebito mosso al dipendente e delle giustificazioni da lui fornite.

Piu’ in particolare, si e’ affermato che, nel valutare l’immediatezza della contestazione ai fini dell’intimazione del licenziamento disciplinare, occorre tener conto dei contrapposti interessi del datore di lavoro a non avviare procedimenti senza aver acquisito i dati essenziali della vicenda e del lavoratore a vedersi contestati i fatti in un ragionevole lasso di tempo dalla loro commissione; con la conseguenza che l’aver presentato a carico di un lavoratore denuncia per un fatto penalmente rilevante connesso con la prestazione di lavoro non consente al datore di lavoro di attendere gli esiti del procedimento penale prima di procedere alla contestazione dell’addebito, dovendosi valutare la tempestivita’ di tale contestazione in relazione al momento in cui i fatti a carico del lavoratore medesimo appaiono ragionevolmente sussistenti (v. ad es.

Cass. n. 1101/2007; Cass. n. 4502/2008).

Il che, se conferma la relativita’ che riveste il criterio di immediatezza e il rilievo che assume, al riguardo, il sindacato del giudice di merito, porta, al tempo stesso, a riconoscere che un bilanciamento coerente degli interessi sottesi al procedimento di disciplina non consente di individuare nella potenziale rilevanza penale dei fatti accertati e nella conseguente denuncia all’autorita’ requirente circostanze di per se’ sole esonerative dall’obbligo di immediata contestazione, in considerazione della rilevanza che tale obbligo assume rispetto alla tutela dell’affidamento e del diritto di difesa del lavoratore incolpato, sempre che i fatti riscontrati facciano emergere, in termini di ragionevole certezza, significativi elementi di responsabilita’ a carico del lavoratore. E quindi, in altri termini, solo se l’intervallo di tempo trascorso sia giustificato non dalla necessita’ di un accertamento integrale e compiuto del fatto, ma dall’esigenza per il datore di lavoro di acquisire conoscenza della riferibilita’ del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo.

Tali conclusioni trovano conferma, del resto, nell’autonomia e distinzione che il procedimento disciplinare riveste rispetto al procedimento penale, sol che si consideri che la presunzione di non colpevolezza stabilita nell’art. 27 Cost. riguarda solo il potere punitivo pubblico e non puo’ estendersi analogicamente ai rapporti fra i privati, e che l’irrilevanza penale del fatto addebitato non determina di per se’ l’assenza di analogo disvalore secondo la legge del contratto, fermo restando la rilevanza che la sussistenza del reato ( e la sua qualificazione ad opera del giudice penale) possono assumere, anche nell’impiego privato, ove costituiscano presupposto per la configurazione dell’illecito disciplinare e per l’applicazione conseguente della sanzione.

L’obbligo di contestazione, peraltro, in quanto atto eminentemente garantistico, non determina alcuna “valutazione anticipata di responsabilita’”, ma risulta, in realta’, essenzialmente funzionale alla puntualizzazione dell’addebito e alla sua ricostruzione e valutazione in contraddittorio con l’interessato, ne’ preclude al datore di lavoro di sospendere il procedimento disciplinare in pendenza dell’accertamento penale, ove in tal senso consigliano le necessita’ dell’istruttoria gia’ avviata.

Facolta’ che e’ riflesso essa stessa dell’autonomia della valutazione disciplinare e che – giova soggiungere – realizza un adeguato contemperamento dei reciprochi interessi, del lavoratore a conoscere e ricostruire in tempi ragionevoli l’addebito, del datore di lavoro a garantire le esigenze di certezza della situazione giuridica della controparte, senza rinunciare, peraltro, alla possibilita’ (applicando la sanzione) di assegnare ai fatti addebitati un immediato connotato di disvalore, a prescindere dall’accertamento del loro rilievo penale, e, quindi, dai tempi di definizione del relativo procedimento.

Ne discende ancora che – per effetto della rilevanza che va riconosciuta, nei limiti indicati, all’obbligo del datore di lavoro di ricostruire i fatti e la loro imputabilita’ – deve ritenersi che gravi su quest’ultimo l’onere di provare, con puntualita’, le circostanze che, sulla base del caso concreto, giustificano il tempo trascorso fra l’accadimento dei fatti rilevanti e la loro contestazione, e che, quindi, evidenzino in concreto la tempestivita’ dell’esercizio del potere disciplinare (v. sul punto anche Cass. n. 1101/2007; Cass. n. 2023/2006), senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denuncia di tali fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha accertato che la societa’ ricorrente ebbe “l’immediata percezione” dei fatti (poi) addebitati gia’ all’esito del rapporto dell’ispettorato del novembre 1995 e che, nondimeno, non provvide ne’ a contestare i fatti, ne’ a sospendere dal servizio il dipendente, ne’ a svolgere ulteriori indagini, attraverso i propri organi ispettivi interni.

E tale accertamento, che risulta coerente con i principi interpretativi richiamati, non rinviene alcuna effettiva contestazione da parte della societa’ ricorrente, la quale, per giustificare il ritardo di svariati anni realizzatosi fra gli accertamenti ispettivi e la contestazione, si e’ limitata essenzialmente a prospettare che la procedura disciplinare e’ stata iniziata non appena la societa’ ricorrente era venuta a conoscenza del rinvio a giudizio, ma senza in alcun modo provare che, in esito agli accertamenti ispettivi dalla stessa gia’ disposti, risultasse impossibile una verifica e ricostruzione dei fatti, idonea a sorreggere una immediata e plausibile contestazione delle circostanze poi addebitate.

Il ricorso va, pertanto, rigettato con conseguente assorbimento di ogni ulteriore censura.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 10,00 per esborsi ed in Euro 2000,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Cosi’ deciso in Roma, il 23 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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