Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7406 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 23/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.R., selettivamente domiciliata in Roma, Via Conca D’Oro n

184/190 Palazzo D, presso lo studio dell’Avv. Discepolo Maurizio, che

la rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.p.A., in persona del Dott. I.G., in

qualita’ di Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante pro tempore in virtu’ di nomina deliberata

dall’Assemblea ordinaria dei soci in data 29.05.2008 e dal Consiglio

di Ammininstrazione in data 9.06.2008, elettivamente domiciliata in

Roma, Viale Mazzini n. 134, presso lo studio dell’Avv. Fiorillo

Luigi, che la rappresenta e difende per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 694/08 della Corte di Appello di

Bologna del 30.10.2008/13.01.2009 nella causa iscritta al n. 518 del

R.G. anno 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

23.02.2010 dal Cons. Dott. De Renzis Alessandro;

udito l’Avv. G.G. Gentile, per delega Avv. Luigi Fiorillo, per la

controricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. PIVETTI Marco,

che ha concluso per inammissibilita’ del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 623 del 2000 il Tribunale di Ancona accoglieva la domanda di riassunzione in servizio da parte delle Poste Italiane proposta da T.R., dopo che la stessa aveva ottenuto dal Consiglio di Stato l’annullamento del provvedimento di decadenza per non idoneita’ perche’ invalida.; respingeva le ulteriori richieste della lavoratrice con riguardo alle retribuzioni e al risarcimento del danno, non ravvisando profili di colpevolezza nel comportamento delle Poste.

Tale decisione, appellata dalla stessa T., veniva riformata dalla Corte di Appello di Ancona con sentenza non definitiva n. 129 del 2001, che condannava la stessa societa’ al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite dalla ricorrente, entro i limiti della prescrizione quinquennale, con conferma nel resto.

A seguito di ricorso principale delle Poste Italiane e ricorso incidentale della T. la Corte di Cassazione con sentenza n. 17816 del 2003, cassava la decisione di appello con riferimento al primo motivo del ricorso incidentale, con il quale la lavoratrice aveva censurato tale decisione per averle negato il diritto alla nomina – fin dalla data (1 marzo 1988) del relativo decreto ministeriale, sebbene l’accertamento della propria idoneita’ tisica, che aveva dato luogo al decreto di decadenza poi annullato dal Consiglio di Stato, ne fosse mera condizione di efficacia e benche’ lo stesso Consiglio di Stato avesse annullato non gia’ la nomina con effetto ex tunc ma la decadenza dalla nomina con effetto ex nunc, trascurando anche che il giudice di primo grado aveva riconosciuto la nomina a decorrere dal 1.3.1988, agli effetti giuridici.

Il rinvio veniva disposto per l’accertamento consequenziale – omesso dal giudice di appello- circa la decorrenza degli effetti economici dell’annullamento giurisdizionale del detto provvedimento di decadenza, da effettuarsi senza trascurare che “l’obbligo di reintegrare la posizione del dipendente – ai fini economici e giuridici -, onde eliminare le conseguenze negative del provvedimento illegittimo di decadenza – presuppone che la prestazione lavorativa sia mancata per causa esclusivamente imputabile al datore di lavoro e che ad esso possa interamente ascriversi la compromissione del sinallagma contrattuale”. A seguito della riassunzione chiesta dalla T., la Corte di Appello di Bologna quale giudice di rinvio con sentenza n. 694 del 2008, disposta ed espletata consulenza contabile, cosi’ ha provveduto a) ha condannato le Poste Italiane S.p.A. al pagamento a favore della lavoratrice della somma di Euro 137.464,18, comprensiva di rivalutazione ed interessi legali al 31.05.2008, oltre l’ulteriore rivalutazione ed interessi da tale ultima data su Euro 34.918,01; b) ha condannato la societa’ a regolarizzare la posizione contributiva della T. per il periodo 1. 03.1988 al 31.05.1998; c) ha condannato la stessa societa’ alle spese,ivi comprese, quelle di consulenza tecnica di ufficio. In particolare la Corte bolognese non ha accolto le richieste della T. per il ristoro del danno da mancata progressione in carriera e del danno biologico: il primo perche’ tardivamente – e quindi inammissibilmente – corredato da specifiche allegazioni solo in fase di rinvio; il secondo, perche’ del tutto indimostrato, in quanto le prove articolate in proposito dalla T. nel ricorso introduttivo dinnanzi al Pretore di Ancona erano inammissibili perche’ generiche e comunque comportanti giudizi non consentiti ai testi.

Contro tale ultima sentenza ricorre per cassazione la T. con cinque motivi.

Le Poste Italiane resistono con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2043, 2087 c.c. e dell’art. 32 Cost., in relazione al mancato ristoro del danno biologico (art. 360 c.p.c., n. 3).

Al riguardo la T. sostiene che la Corte bolognese ha erroneamente respinto la domanda del ristoro del danno biologico, per essere stato prodotto nel corso del giudizio di primo grado certificato medico attestante le condizioni psicofisiche di essa ricorrente, ribadite in ordine al loro aggravamento dalla relazione medica depositata in sede di riassunzione. Il motivo e’ infondato.

Va osservato al riguardo che in primo grado non risulta provata la malattia, essendo stato prodotto un certificato medico, da solo non sufficiente a documentare il richiesto danno alla salute e la sua riconducibilita’ alla condotta tenuta dal datore di lavoro. Sotto diverso profilo va peraltro ritenuto non decisivo il richiamo a detto certificato, non essendo stato riportato e trascritto.

2. Con il secondo motivo la T. lamenta error in procedendo e violazione degli artt. 416 e 437 c.p.c. e del principio di cui all’art. 345 c.p.c., rilevando che il giudice di rinvio non ha preso nella dovuta considerazione la richiamata relazione medica attestante le condizioni neurologiche e psicopatologiche della ricorrente, in particolare le crisi epilettiche generalizzate e ricorrenti, notevolmente aumentate in conseguenza dell’illegittimo allontanamento dall’ambiente del lavoro.

Il motivo e’ privo di pregio e va disatteso, risultando prodotta la relazione medica solo in sede di riassunzione ed in ogni caso non essendo decisivo il suo richiamo in questa sede, non essendo stata trascritta e quindi non potendosi verificare – contrariamente all’assunto della ricorrente – se la stessa sia esplicativa del peggioramento dello stato di salute durante gli anni di forzata disoccupazione.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta error in procedendo e violazione dell’art. 420 c.p.c., per essere stata negata l’ammissione delle prove testimoniali articolate, tendenti a dimostrare in punto di fatto l’esistenza della patologia lamentata e le sue conseguenti manifestazioni cliniche.

La censura e’ inammissibile, giacche’ la ricorrente non dice quando le richiamate prove siano state proposte e non riproduce i relativi capitoli, contravvenendo in tal modo al principio di autosufficienza, caratterizzante il ricorso per Cassazione.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia error in procedendo e violazione dell’art. 61 c.p.c., sostenendo che la mancata ammissione da parte del giudice di rinvio della consulenza tecnica di ufficio e’ illegittima ed immotivata. 11 rilievo e’ infondato. La scelta della consulenza tecnica di ufficio e’ rimessa al potere discrezionale del giudice, il quale non puo’ sostituirsi – utilizzando lo strumenti della consulenza tecnica – alla parte, cui incombe l’onere di provare i fatti costituitivi della domanda ( in tal senso Cass. n. 14306 del 2005; Cass. n. 7097 del 2005). L’impugnata sentenza e’ in linea con il richiamato orientamento giurisprudenziale, poiche’ la Corte bolognese correttamente non ha dato seguito alla richiesta di consulenza medica di ufficio, sollecitata dalla T., non avendo costei adempiuto all’onere della prova circa i fatti costitutivi del preteso danno biologico e non potendo quindi la consulenza supplire alle evidenziate carenze probatorie.

5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia error in procedendo e violazione dell’art. 421 c.p.c., per non avere disposto il giudice, avviandosi dei suoi poteri ex officio, l’ammissione delle prove.

Anche questa censura non merita accoglimento, in quanto il potere del giudice del lavoro di ammettere d’ufficio qualsiasi mezzo istruttorio – fuori dei limiti stabiliti dal codice civile per la prova testimoniale – e i mezzi di prova ritenuti indispensabili rappresenta soltanto l’esercizio di un potere discrezionale, che si sottrae al sindacato di legittimita’ (cfr. Cass. n. 7011 del 2005; Cass. n. 10658 del 1999).

6. In conclusione il ricorso e’ destituito di fondamento e va rigettato.

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione, in considerazione della particolarita’ della vicenda, la cui definizione ha richiesto un travagliato e lungo iter processuale.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 23 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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