Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7403 del 23/03/2017

Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, (ud. 19/12/2016, dep.23/03/2017),  n. 7403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2967/2015 proposto da:

C.F., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dallì’avvocato BERNARDINO PASANISI, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.T., SA.RO., SA.FR., elettivamente

domiciliati in ROMA, V. APPIANO 8, presso lo studio dell’avvocato

ORAZIO CASTELLANA, rappresentati e difesi dall’avvocato TOMMASO

SAVITO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

A.C., U.A., sa.ro.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 2305/2014 del TRIBUNALE di TARANTO, depositata

il 11/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Taranto ha rigettato l’opposizione agli atti esecutivi proposta, con ricorso del 23 dicembre 2009 e con atto di riassunzione del giudizio di merito dell’8 giugno 2010, personalmente dal debitore esecutato C.F., dopo la cessazione dello stato di interdizione legale, per espiazione della pena, in data 3 giugno 2009, nei confronti dei creditori avv. S.T., nonchè sa.ro., Sa.Fr., Sa.An. e Sa.Ro., in proprio e quali coeredi di Sa.St., defunto, A.C., defunta, e U.A., defunta, nella procedura esecutiva per espropriazione immobiliare n. (OMISSIS) R.G.E., iniziata con atto di pignoramento notificato in data (OMISSIS). Il Tribunale ha ritenuto che la nullità della notificazione del pignoramento, effettuata nei confronti del debitore C.F. in proprio, piuttosto che nei confronti del tutore nominato a seguito dell’interdizione legale del C. per condanna penale definitiva, si fosse sanata. Richiamando il precedente della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 9217/10, ha affermato che, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2 e art. 75 c.p.c., il difetto di capacità processuale della parte è sanabile e non solo per intervento del giudice, ma anche per comportamento concludente della parte. Dopo aver rilevato che il principio del contraddittorio nel processo esecutivo ha “valenza e consistenza” diverse che nel processo di cognizione, ha dato conto del fatto che il C. si fosse costituito in proprio, già in data 30 novembre 2007, assistito da difensore abilitato, provvisto di mandato, e che nulla avesse eccepito riguardo allo stato di interdizione legale; ha perciò ritenuto che il debitore avesse così dimostrato che la notificazione dell’atto di pignoramento, pur irrituale, aveva raggiunto lo scopo, dal momento che era stato messo in grado di essere sentito personalmente dal giudice nella procedura esecutiva e di avvalersi della propria capacità naturale di agire, nonchè della difesa tecnica, per il tramite dell’avvocato nominato difensore nel processo esecutivo. Il Tribunale ha compensato tra le parti le spese di lite.

2. Avverso la sentenza, pubblicata l’11 luglio 2014, C.F., nuovamente interdetto a seguito di altra condanna penale, e perciò rappresentato dal tutore Ca.Ma.Te., nominata il 30 settembre 2011, propone ricorso straordinario per Cassazione con due motivi.

L’avv. S.T., in proprio, e Sa.Fr. e Sa.Ro., in proprio e quali coeredi del padre Sa.St., si difendono con controricorso.

Gli altri intimati non si difendono.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Col primo motivo del ricorso si denuncia “violazione di legge ex art. 360, n. 3, e nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c. , n. 4, in relazione agli artt. 75, 156, 162, 182, 101, 555, 569, 479 c.p.c. e art. 32 c.p.”.

Il ricorrente torna a sostenere, così come già fatto dinanzi al giudice dell’esecuzione ed al giudice del giudizio di merito sull’opposizione, la nullità della notificazione sia del precetto che del pignoramento, e quindi dei successivi atti del processo esecutivo, perchè sia il precetto che il pignoramento sono stati notificati al debitore esecutato, interdetto legale ai sensi dell’art. 32 c.p. (per condanna penale inflitta con sentenza passata in giudicato il 15 dicembre 1999), piuttosto che al tutore, quale suo legale rappresentante.

Aggiunge, con motivo che non risulta proposto col ricorso introduttivo dell’opposizione (integralmente riprodotto alle pagg. 1-4 del ricorso), che l’intera procedura esecutiva sarebbe comunque nulla perchè non preceduta dalla notificazione del titolo esecutivo, anch’essa eseguita direttamente nei confronti del C., quando era legalmente interdetto.

Sostiene che la sua costituzione nel processo esecutivo, con l’assistenza del difensore, quando ancora non era cessato lo stato di interdizione legale, sarebbe atto assolutamente insuscettibile di spiegare efficacia sanante della nullità del pignoramento. Il giudice, ritenendo che vi sia stata questa sanatoria, avrebbe violato prosegue il ricorrente – gli artt. 75 e 156 c.p.c., in quanto la sanatoria per raggiungimento dello scopo si sarebbe potuta avere soltanto se la costituzione fosse avvenuta in persona del tutore; avrebbe, inoltre, violato l’art. 101 c.p.c., per violazione del principio del contraddittorio che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, nel processo esecutivo ha la medesima portata che nel processo di cognizione.

3.1.- Il motivo è infondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata necessita di essere corretta, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 c.p.c., secondo quanto appresso.

E’ giusto prendere le mosse, così come ha fatto il Tribunale, dalla sentenza di questa Corte n. 9217/2010, con la quale le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sulla portata dell’art. 182 c.p.c., nel testo antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, ma con affermazioni vieppiù valide a seguito di queste modifiche, hanno stabilito, per quanto qui rileva: a) che l’art. 182 c.p.c., comma 2 (nel testo applicabile ratione temporis), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione può assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, deve essere interpretato, anche alla luce delle modifiche successive, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del processo, indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto; b) che le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono infatti essere sanate anche di propria iniziativa dalle parti medesime, con la regolarizzazione della costituzione in giudizio della parte cui l’invalidità si riferisce; c) che la sanatoria ha efficacia ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali; d) che tali affermazioni attengono al caso di invalida costituzione di persona incapace, ma non a quello in cui il difetto di capacità processuale della parte evocata in causa determina una nullità della stessa citazione, piuttosto che un’invalidità della sola costituzione dell’incapace; e) che in tale eventualità occorre fare riferimento al disposto dell’art. 164 c.p.c., che prevede un meccanismo di sanatoria, di matrice officiosa, operativo pur sempre ex tunc e applicabile anche nel giudizio d’appello, non essendo prevista la nullità della citazione tra i casi di rimessione della causa al giudice di primo grado (cfr. Cass. civ. sez. un. 19 aprile 2010, n. 9217).

3.2.- Sulla base di tale ricostruzione dell’assetto normativo di riferimento questa Corte si è pronunciata con altra decisione, con la quale si sono affrontate, pur se in relazione al processo di cognizione e non al processo esecutivo, le medesime questioni poste dal presente ricorso.

Il precedente costituito dalla sentenza n. 12714 del 19 giugno 2015 è rilevante, oltre che per quanto affermato in diritto, anche perchè relativo al giudizio di merito – intercorso tra le stesse parti della presente controversia- nel quale si è formato il titolo esecutivo azionato col precetto e col pignoramento opposti da C.F.. Questi, infatti, già riconosciuto responsabile del delitto di omicidio ai danni di Sa.St. e per tale ragione condannato, con sentenza passata in giudicato il 15 dicembre 1999, a 17 anni di reclusione, è stato condannato, in sede civile, a risarcire i danni sofferti dai prossimi congiunti della vittima, e cioè dalla moglie, A.C., in proprio e quale esercente la potestà sui figli minori Sa.Fr., An. e Ro., nonchè dalla madre e dalla sorella del defunto, U.A. e sa.ro.. In particolare, il C., che all’epoca della citazione in sede civile era già in stato di interdizione legale, venne convenuto personalmente nel giudizio, che in primo grado lo vide soccombente. Proposto appello per il tramite del tutore e, dopo aver riacquistato la capacità processuale (per espiazione della pena), anche personalmente, sia con separato atto di gravame che con intervento nel giudizio di appello già pendente, eccepì l’invalidità di tutta la pregressa attività processuale per averlo gli attori citato in proprio, nonostante l’intervenuta interdizione legale, ex art. 32 c.p., e la conseguente nomina del tutore, rappresentando espressamente all’uopo di non voler ratificare l’attività processuale in precedenza svolta, sia in primo grado, che in appello.

A seguito del rigetto dell’appello e della proposizione del ricorso per cassazione da parte dello stesso C., questa Corte Suprema, con la citata sentenza n. 12714/15, ha rigettato il ricorso, enunciando il seguente principio di diritto:” Nell’ipotesi in cui sia convenuto in giudizio, in proprio, un soggetto privo di capacità processuale (per essere stato interdetto legalmente ex art. 32 c.p.), il riacquisto della capacità in fase di gravame determina la sanatoria della nullità della sua costituzione in giudizio, con efficacia “ex tunc” – ai sensi dell’art. 182 c.p.c. – idonea ad escludere l’invalidità della domanda proposta nei suoi confronti, ma non anche del giudizio svolto in violazione del principio del contraddittorio, sicchè il giudice d’appello è tenuto a pronunciarsi su di essa, previa declaratoria della nullità della sentenza di primo grado, senza rimettere la causa al primo giudice”.

4.- Le questioni di diritto poste dal ricorso vanno risolte, tenendo conto sia di quest’ultimo principio di diritto che della ricostruzione sistematica delle Sezioni Unite, in base alla quale, come si legge nella motivazione della sentenza, assume rilevanza la distinzione tra il caso in cui il difetto di capacità processuale della parte determini solo un’invalidità della sua costituzione in giudizio e il caso in cui determini una nullità della stessa citazione della parte incapace, non costituitasi in giudizio.

Le conclusioni raggiunte vanno poi adeguate al processo esecutivo, in generale, ed alle vicende del processo esecutivo, in concreto, svoltosi nei confronti della parte qui ricorrente.

4.1.- Quanto al primo profilo, dai precedenti su citati è possibile trarre il seguente ragionamento:

– la costituzione del convenuto incapace perchè in stato di interdizione legale, che sia stato chiamato in giudizio personalmente, anzichè in persona del tutore, comporta la sanatoria della nullità della citazione ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3 e art. 164 c.p.c., comma 3, purchè la costituzione, a sua volta, sia validamente effettuata: quindi, se al momento della costituzione, lo stato di incapacità sia cessato, la nullità è sanata dalla costituzione effettuata personalmente; se, invece, si trovi ancora in stato di incapacità processuale, perchè si abbia la sanatoria, il convenuto deve costituirsi in persona del legale rappresentante;

– infatti, poichè il difetto di capacità processuale della parte determina un’invalidità della costituzione in giudizio fatta personalmente, che impedisce la sanatoria, questa potrà essere conseguita solo se e quando si costituisce la persona alla quale spetta la rappresentanza (o l’assistenza), ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2;

– al difetto di rappresentanza può essere posto rimedio anche mediante iniziativa spontanea della parte e/o del suo legale rappresentante;

– effetto equipollente a quest’ultimo rimedio si ha nel caso in cui venga meno, in corso di causa, lo stato di incapacità processuale, che determini la regolarizzazione della costituzione personale del soggetto incapace;

– la sanatoria, in tutti i casi di cui sopra, riguarda la validità della domanda introduttiva del giudizio, ma non anche gli atti di questo, che, compiuti in violazione del contraddittorio, sono nulli.

Corollario di tutto quanto sopra è dato dal principio di diritto, già espresso da Cass. n. 12714/15 (in riferimento al giudizio di gravame), che qui va precisato, affermandosi (anche con riferimento al giudizio di primo grado) che nell’ipotesi in cui sia stato convenuto e si sia costituito in giudizio, in proprio, un soggetto privo di capacità processuale perchè in stato di interdizione legale, il riacquisto della capacità in corso di causa determina la sanatoria della nullità della citazione e della sua costituzione in giudizio, con efficacia “ex tunc” – ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 3 e dell’art. 182 c.p.c., comma 2, idonea ad escludere l’invalidità della domanda proposta nei suoi confronti, ma non anche del giudizio svolto in violazione del principio del contraddittorio.

4.2.- Si tratta, a questo punto, di delibare l’applicabilità al processo esecutivo del principio di diritto appena enunciato.

L’equipollenza dell’atto di pignoramento, quale atto introduttivo del processo esecutivo, alla domanda giudiziale, atto introduttivo del processo di cognizione, affermata da questa Corte, sia pure a fini diversi (cfr. già Cass. n. 5368/03 ed altre successive), consente di pervenire alla decisione, mediante il ragionamento che segue:

– l’atto di pignoramento notificato nei confronti del debitore, che sia interdetto legale, in proprio piuttosto che in persona del tutore, che ne ha la rappresentanza legale, è nullo perchè destinato a soggetto privo di capacità processuale;

– la nullità è sanabile, in applicazione analogica degli artt. 164 e 156 c.p.c., mediante la costituzione nel processo esecutivo del debitore, in persona del legale rappresentante;

– la nullità non viene sanata con la costituzione del debitore, in proprio, se al momento della costituzione sia ancora privo della capacità processuale;

– tuttavia, se nel corso del processo esecutivo, il debitore esecutato, che vi sia costituito con l’assistenza del difensore, riacquista la capacità processuale, questa situazione determina la sanatoria della nullità del pignoramento;

– la sanatoria produce effetti ex tunc impedendo l’invalidità dell’atto di pignoramento come atto di inizio dell’espropriazione forzata, ma non anche degli atti esecutivi del processo svolto in violazione del principio del contraddittorio.

In merito a quest’ultimo giova precisare, che pur essendo affermazione tramandata quella secondo cui il principio del contraddittorio ha una portata ridotta nel processo esecutivo, rispetto a quella che è ad esso riconosciuta nel processo di cognizione (cfr. Cass. n. 1618/05 e n. 16731/09), questa posizione è stata rivisitata dalla più recente giurisprudenza di questa Corte. Infatti, costituisce dato oramai acquisito quello secondo cui, a seguito dell’introduzione del principio del giusto processo con la modifica dell’art. 111 Cost., anche il processo esecutivo debba svolgersi osservando il principio del contraddittorio, che va rispettato ed attuato nei casi e nelle fasi in cui si debba decidere di diritto sostanziali o di posizioni giuridicamente protette (Cass. n. 12122/03, n. 24532/09, n. 6459/12). Pur essendo tuttora controverse le conseguenze applicative di questa ripetuta affermazione, è sufficiente qui osservare che il contraddittorio va garantito anche nel processo esecutivo mediante la partecipazione dell’esecutato alle attività processuali per le quali è espressamente prevista l’audizione delle parti ai sensi dell’art. 485 c.p.c. e che perciò sono nulli tutti gli atti esecutivi compiuti in un’espropriazione forzata iniziata con pignoramento nullo perchè notificato personalmente al debitore, privo di capacità processuale.

Tuttavia, così come nel processo di cognizione la nullità degli atti del processo e della sentenza può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie dei mezzi di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, nel processo esecutivo la nullità degli atti esecutivi può essere fatta valere soltanto nei termini e secondo le regole proprie dell’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c..

Ne consegue che, una volta che la nullità dell’atto di pignoramento, determinata dalla notificazione, in proprio, nei confronti di debitore interdetto legale, sia stata sanata con efficacia ex tunc, la nullità degli atti del processo compiuti prima della sanatoria può essere fatta valere soltanto proponendo opposizione agli atti esecutivi nel termine di venti giorni decorrente dalla data dell’atto che ha dato luogo a detta sanatoria: quindi, nel caso in cui il debitore sia già costituito in giudizio, in proprio, dalla data in cui è cessata la causa di incapacità di agire. Questa conclusione non vale però qualora il debitore esecutato non si sia mai costituito, poichè, in tale eventualità, non è sufficiente al decorso del termine ex art. 617 c.p.c., il riacquisto della capacità processuale, ma è necessario che egli si costituisca in proprio nel processo esecutivo, dimostrando così di avere conoscenza degli atti ivi compiuti.

In sintesi, va affermato che è affetto da nullità sanabile l’atto di pignoramento notificato personalmente al debitore esecutato privo di capacità processuale, perchè in stato di interdizione legale.

Qualora il debitore interdetto sia già costituito in proprio, e non in persona del tutore, legale rappresentante, detta nullità è sanabile, con efficacia ex tunc, a seguito del riacquisto della capacità processuale in pendenza di processo esecutivo e la sanatoria è idonea ad escludere l’invalidità dell’atto di pignoramento, ma non anche degli atti del processo esecutivo svolto in violazione del principio del contraddittorio, che va fatta valere con opposizione agli atti esecutivi da proporsi nel termine di venti giorni dalla data di cessazione dello stato di incapacità processuale.

4.3.- Venendo alle vicende del processo esecutivo nel quale è stata proposta l’opposizione decisa con la sentenza impugnata, si osserva che quest’ultima non è corretta laddove ha affermato che la nullità dell’atto di pignoramento sarebbe stata sanata ed il principio del contraddittorio sarebbe stato garantito per la costituzione nel processo esecutivo dell’interdetto legale, in proprio, pur se assistito da difensore, munito di mandato.

Tuttavia, l’affermazione dell’avvenuta sanatoria della nullità del pignoramento ed il dispositivo di rigetto dell’opposizione con riferimento al motivo concernente questa nullità sono conformi a diritto, poichè coerenti con i principi di diritto sopra enunciati.

In particolare, sia in sentenza che in ricorso si dà atto che, in pendenza di processo esecutivo, in data 3 giugno 2009, è stata chiusa la tutela del debitore esecutato, per intervenuta espiazione della pena.

Essendo il debitore esecutato già costituito in giudizio, con la difesa tecnica, il riacquisto della capacità processuale ha determinato la sanatoria della nullità dell’atto di pignoramento, per quanto detto sopra.

Quanto alla nullità degli atti esecutivi compiuti nelle more, l’invalidità avrebbe dovuto essere fatta valere nel termine di venti giorni dalla data della cessazione dello stato di incapacità. Il ricorso in opposizione agli atti esecutivi è stato depositato il 23 dicembre 2009 (ed è riferito all’ordinanza di vendita disposta il 19 febbraio 2009, non seguita da altro atto del g.e., poichè la vendita era stata fissata per l’11 febbraio 2010), decorsi quindi più di sei mesi dalla data di chiusura della tutela (3 giugno 2009). Pertanto, la mancata tempestiva opposizione ha comportato la sanatoria degli atti esecutivi compiuti, con esclusione della necessità della loro rinnovazione da parte del giudice dell’esecuzione.

Giova solo precisare che questa conclusione è utile ad escludere la rilevabilità della nullità per invalida notificazione del titolo esecutivo (questione, peraltro, inammissibile poichè posta per la prima volta col ricorso per cassazione in quanto, come detto, non risulta aver costituito motivo di opposizione dinanzi al g.e.), nonchè per invalida notificazione dell’atto di precetto (di cui si dirà anche trattando del secondo motivo).

Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato.

5. Col secondo motivo si denuncia “violazione di legge ex art. 360, n. 3 e nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., all’art. 132c.p.c. ed all’art. 118 disp. att. c.p.c.”.

Il ricorrente lamenta che il giudice avrebbe omesso di pronunciarsi o comunque avrebbe omesso ogni motivazione sul motivo di opposizione agli atti esecutivi col quale era stata dedotta la nullità dell’atto di precetto per la stessa invalidità della notificazione già denunciata per l’atto di pignoramento, nonchè sul motivo di opposizione col quale era stata dedotta la nullità dell’ordinanza di vendita perchè emessa in violazione del principio del contraddittorio, prima che il debitore esecutato avesse riacquistato la capacità processuale (in data 19 febbraio 2009).

5.1.- Il motivo non merita di essere accolto.

Come detto sopra, la sanatoria si è prodotta soltanto dopo il riacquisto della capacità processuale dell’esecutato. Pertanto, richiamati i principi di diritto sopra enunciati, l’opposizione agli atti esecutivi sia avverso il precetto che avverso l’ordinanza di vendita emessa il 19 febbraio 2009, proposta dal debitore esecutato con ricorso depositato il 23 dicembre 2009, a seguito di riacquisto della capacità processuale il 3 giugno 2009, sarebbe stata tardiva rispetto al termine dell’art. 617 c.p.c.. Quindi il giudice avrebbe dovuto dichiararla inammissibile.

Trattasi di inammissibilità che – in difetto di giudicato interno – può essere rilevata anche da questa Corte, poichè la causa non avrebbe potuto essere proposta ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c. (cfr. già Cass. n. 3045/99, n. 3404/04, nonchè, da ultimo, Cass. n. 16780/15). Sotto questo profilo, perciò, il motivo è inammissibile per carenza di interesse.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei resistenti, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nell’importo complessivo di Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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