Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7402 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. II, 16/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 16/03/2021), n.7402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24362-2019 proposto da:

P.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato AMERIGA

PETRUCCI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

RIONERO in VULTURE (PZ), VIA G. MARCONI 76;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. 21/2019 della CORTE d’APPELLO di POTENZA,

depositata il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.A. proponeva appello avverso l’ordinanza del 4.2.2018 con la quale il Tribunale di Potenza rigettava il ricorso avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) e di avere studiato 6 anni alla scuola primaria; che dopo la morte del padre non aveva chi potesse pagare le rate scolastiche; che aveva deciso di imparare il mestiere di carpentiere, ma non aveva soldi per fare un contratto; che era il primogenito di 7 fratelli e che non avevano soldi per mangiare; che decideva di fuggire dal suo Paese giungendo in Libia e poi in Italia; in caso di rimpatrio si sarebbe vergognato con la sua famiglia per non potersi prendere cura di loro. Nel corso del libero interrogatorio dinanzi al Tribunale, il ricorrente aveva ribadito le precarie condizioni di vita in cui versava in (OMISSIS), allegando circostanze a sostegno della grave situazione economica e igienica in cui la sua famiglia era costretta a sopravvivere e aveva riferito di conflitti tra forze governative e gruppi di ribelli che si contendevano il controllo di depositi petroliferi esistenti in una zona vicina al villaggio dove egli abitava, precisando che a volte i ribelli avevano saccheggiato il villaggio e usato violenza nei confronti dei suoi abitanti pretendendo che i giovani si aggregassero a loro e uccidendo coloro che si rifiutavano.

Con sentenza n. 21/2019, depositata in data 22.1.2019, la Corte d’Appello di Potenza rigettava l’appello, ritenendo di condividere la valutazione del Tribunale secondo la quale le ragioni della fuga dal Paese d’origine erano riconducibili esclusivamente alle precarie condizioni economiche vissute in (OMISSIS) e come tali non riguardassero la normativa relativa alla protezione internazionale, mentre solo nel corso dell’audizione giudiziale il richiedente riferiva di conflitti tra forze governative e gruppi di ribelli, che perpetravano violenze in danno degli abitanti del suo villaggio, ma che tali dichiarazioni fossero indeterminate e poco circostanziate, tali da non rispettare i rigorosi parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione P.A. in base a due motivi. L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta il “Diniego della protezione sussidiaria-Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, e 5”.

1.2. – Con il secondo motivo, il richiedente contesta il “Diniego della protezione umanitaria-Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3, 4 e 5”.

1.3. – Data la loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente; essi sono inammissibili.

2. – La censura cumula frammentarie denunce di nullità del provvedimento impugnato, di omesso esame di un fatto decisivo e controverso e una violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Al riguardo questa Corte ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi di fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 7628 del 2020; Cass. n. 11222 del 2018; Cass. n. 27458 del 2017); o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro.

Nel caso in esame, il ricorrente sottopone all’esame di questa Corte una serie di aspetti diversi, alcuni prospettati in diritto, altri in fatto, alcuni riguardanti la protezione sussidiaria, altri la protezione umanitaria con riferimento a profili differenti; con la inevitabile conseguenza di riversare nel ricorso l’intero contenuto delle fasi di merito, devolvendo al sindacato della Corte di cassazione l’individuazione degli eventuali vizi invalidanti la decisione impugnata.

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa, mira (del tutto inevitabilmente ed impropriamente) a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inevitabilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018).

2.1. – Sotto altro profilo, poi, va rilevato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 26110 del 2016; Cass. n. 195 del 2016). Sicchè, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola indicazione delle norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una circostanziata criticai delle soluzioni concrete adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (ex plurimis, Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 2831 del 2009; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 828 del 2007).

2.2. – Quanto poi alle censure riferite alla violazione del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (peraltro erroneamente evocato con riferimento alla asserita omissione del procedimento ermeneutico; ovvero al difetto di motivazione), costituisce principio consolidato che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’è alcuna idonea e specifica indicazione.

2.3. – Peraltro, è principio altrettanto consolidato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre” non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie, che appare congrua e coerentemente supportata) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

2.4. – Va dunque sottolineato come il controllo affidato a questa Corte non equivalga alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche da Cass. n. 25332 del 2014). Sicchè, in ultima analisi, tale motivo si connoterebbe quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimità, di doglianze di merito che attengono all’apprezzamento motivatamente svolto dalla Corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).

Viceversa, ricorrenti mostra di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e le vicende processuali, quanto gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi, e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). Ma compito della Cassazione non è, infatti, quello di condividere o non condividere la ricostruzione degli accadimenti contenuti nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (Cass. n. 3267 del 2008); dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che appunto, nel caso di specie, è dato riscontrare (Cass. n. 9275 del 2018).

3. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, intimato e che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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