Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7401 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. II, 16/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 16/03/2021), n.7401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23051-2019 proposto da:

E.A.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato LUCA

SILETTI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in BIELLA

(BI), VIA XX SETTEMBRE 10;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 4527/2019 del TRIBUNALE di TORINO, depositato

in data 3/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

E.A.A. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS); di essere stato adottato in giovane età; che la famiglia lo faceva lavorare nella stalla, sicchè egli si sentiva “un lavoratore e non un figlio per loro”; che, all’età di 12 anni, trovandosi dalla nonna in montagna, sarebbe stato violentato da un cugino; tornato a casa, avrebbe raccontato il fatto alla madre che gli avrebbe intimato il silenzio; dopo la morte del padre per polmonite nel (OMISSIS), avrebbe ancora lavorato e poi, venuto a conoscenza di essere stato adottato, avrebbe lasciato la casa familiare nel 2009; si recava ad Agadir a lavorare e poi, nel 2016, partiva per giungere in Italia.

Con decreto n. 4527/2019, depositato in data 3.7.2019, il Tribunale di Torino rigettava il ricorso, ritenendo infondata la domanda di concessione della protezione umanitaria. Il ricorrente non aveva allegato situazioni afferenti beni primari della persona, all’uopo non essendo sufficiente il certificato del 4.4.2019 attestante un trattamento con medicinale per “tensione nervosa con discontrollo degli impulsi”, senza peraltro evidenziare alcuna patologia cronica. Nè la documentata integrazione sociale poteva ritenersi, di per sè, ragione sufficientemente idonea al riconoscimento dell’invocata forma di protezione: tale dato avrebbe potuto assumere rilevanza unicamente a fronte di un’acclarata situazione di vulnerabilità del richiedente. E neppure procedendo alla “valutazione comparativa” tra la situazione che il ricorrente ha in Italia e quella che egli aveva vissuto prima della partenza e in cui si sarebbe trovato a vivere in caso di rientro – considerato il periodo lavorativo ad Agadir – risultava un’effettiva e incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione E.A.A. sulla base di un motivo. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”, per avere il Tribunale omesso di effettuare la necessaria valutazione comparativa tra il grado di integrazione raggiunto dal richiedente asilo e le ragioni del proprio allontanamento (sia soggettive che oggettive), nonchè per avere disapplicato i criteri di cui a Cass. n. 4455 del 2018.

1.1. – Il motivo è fondato.

1.2. – Infatti, secondo il ricorrente, il rigetto della domanda solo apparentemente effettua la prescritta valutazione comparativa tra l’effettivo grado di integrazione sociale raggiunto e la situazione in cui si verrebbe a trovare il ricorrente in caso di rimpatrio. Sicchè il Tribunale, oltre a non aver evidenziato l’integrazione raggiunta (non rilevando che in Italia il richiedente abbia frequentato numerosi corsi di formazione professionale e che lavora presso un ristorante con mansioni di lavapiatti con un reddito mensile di Euro 500/700, mentre ad Agadir guadagnava solo Euro 200 mensili, nè che parla fluentemente l’italiano e abbia concluso un ciclo di istruzione scolastica), avrebbe totalmente omesso di svolgere alcun apprezzamento riguardante (prima ancora delle ragioni dell’allontanamento, sia soggettive che oggettive), nonchè le condizioni oggettive del (OMISSIS), con particolare riferimento al minore rispetto dei diritti umani, alle condizioni di vita del tutto precarie, sia sotto il profilo della salute che dell’alimentazione, che il ricorrente dovrebbe affrontare in caso di rimpatrio. A ciò non affiancandosi, sempre secondo il ricorrente, un preciso scrutinio delle condizioni di vulnerabilità che avrebbero potuto determinare il riconoscimento delle ragioni umanitarie, giacchè il Tribunale si è limitato ad una generica negazione della sussistenza dei loro presupposti.

1.3. – Ritiene, peraltro, questo Collegio che, rispetto a tali considerazioni, risulti prima ancora dirimente la contraddizione di fondo tra l’assunto da cui muove il ragionamento del Tribunale (secondo il quale l’integrazione sociale “non può ritenersi di per sè ragione sufficientemente idonea al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria: (giacchè) tale dato potrebbe invero assumere rilevanza unicamente a fronte di una acclarata situazione di vulnerabilità del soggetto richiedente”); e quanto affermato da questa Corte (Cass. n. 4455 del 2018) (per la quale ” il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che merita di essere tutelata attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello eventualmente presente nel Paese d’origine, idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili”).

2. – Il ricorso, pertanto, va accolto; va cassato il decreto impugnato, con rinvio del processo al Tribunale di Torino, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la pronuncia impugnata e rinvia il giudizio al Tribunale di Torino, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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