Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7399 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 07/03/2022, (ud. 28/10/2021, dep. 07/03/2022), n.7399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26600-2019 proposto da:

D.F.S., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati

in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato

SERGIO MASSIMILIANO BOLOGNA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

ALMAVIVA CONTACT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 66,

presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO FALASCA, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3024/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/07/2019 R.G.N. 4190/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/10/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva a sua volta rigettato le domande avanzate dai lavoratori, in epigrafe indicati, che avevano chiesto che si accertasse l’illegittimità dei licenziamenti loro intimati da Almaviva Contact s.p.a. con lettera del 22 dicembre 2006.

2. Il giudice di appello, esaminando i primi due motivi di reclamo, ha ritenuto congrua rispetto ai motivi dell’opposizione la motivazione del provvedimento impugnato osservando che si era dato conto della completezza della comunicazione di apertura della procedura di licenziamento ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3. Si erano puntualizzate le ragioni per le quali il repechage non trovava applicazione ai licenziamenti collettivi. Si era verificata la legittimità della scelta di delimitare la platea di lavoratori da licenziare. Inoltre, ha ritenuto che la produzione dei bilanci non era dirimente e che la richiesta di acquisizione di altri dati a supporto delle affermazioni datoriali era generica. Ha poi rammentato, con riguardo alla denuncia contenuta nel terzo motivo con il quale si era evidenziato che la società aveva arbitrariamente scelto il sito presso il quale cessare la propria attività lavorativa senza alcuna comparazione tra tutte le sedi, che nell’ambito delle procedure di licenziamento collettivo il sindacato del giudice può investire solo la legittimità della procedura e non può risolversi nella prospettazione di diverse scelte imprenditoriali ovvero nella prospettazione di assetti organizzativi differenti. Ha rammentato che la comunicazione di apertura della procedura – che deve indicare i motivi dell’eccedenza e le ragioni per le quali non è possibile evitare la mobilità. Deve precisare il numero di lavoratori coinvolti, i profili del personale eccedente, i tempi di attuazione del programma ed eventuali misure per fronteggiarne gli effetti sul piano sociale – è finalizzata ad offrire alle organizzazioni sindacali il supporto informativo per il confronto ed a garantire la trasparenza della procedura. Ha quindi verificato in concreto che la comunicazione di apertura della procedura era allineata con le indicazioni sopra riportate e che le organizzazioni sindacali erano state compiutamente rese edotte delle ragioni che l’avevano determinata e delle modalità con le quali si sarebbe svolta. Ha escluso una violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 1 e art. 5, oggetto del quarto motivo di reclamo, evidenziando che le parti sociali avevano concordato i criteri di scelta dei lavoratori, ha escluso che si dovesse procedere ad una comparazione dei lavoratori addetti alle sedi di Roma e di Napoli, ha ritenuto legittima la delimitazione della platea all’ambito investito dalla riorganizzazione a causa della crisi, ha analizzato ed escluso che ai licenziamenti si potesse ovviare con trasferimenti a sedi collocate a rilevante distanza dove erano state convogliate le commesse evidenziando che peraltro la proposta, in un’ottica conciliativa, era stata fatta ma non era stata accettata dai reclamanti.

3. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso i lavoratori in epigrafe indicati affidato a tre motivi. AlmavivA Contact s.p.a. ha resistito con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la falsa applicazione della L. n. 223 del 1991 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Sostengono i ricorrenti che la Corte solo in apparenza avrebbe risposto al primo motivo di reclamo che invece, trattato insieme al secondo, era stato sostanzialmente eluso.

5. Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono ancora della violazione dell’art. 112 c.p.c. ed inoltre della falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.1. Con la censura si deduce che la Corte di appello avrebbe solo in apparenza risposto alle censure mosse alla decisione nel secondo motivo di reclamo laddove invece dalla motivazione traspare che la Corte da un canto avrebbe ritenuto, contrariamente a quanto risulta dagli atti, non contestati i presupposti del licenziamento. Inoltre, non avrebbe tenuto conto delle ripetute richieste di ordinare ex art. 310 c.p.c. la produzione di documenti e della mancata prova dei presupposti del licenziamento, invertendone l’onere posto a carico dei lavoratori. Sostengono che in tal modo la Corte sarebbe incorsa nel vizio di motivazione denunciato e ciò anche con riguardo al terzo motivo di reclamo con riguardo alla legittimità della scelta di chiudere un sito produttivo senza che ne siano state esplicitate le ragioni nella comunicazione di avvio della procedura.

6. Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione degli art. 116 c.p.c. e la falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, n. 3, oltre che la mancata applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6.1. Sostengono i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe sostanzialmente eluso il quarto motivo di reclamo con il quale si denunciava il mancato rispetto dei criteri legali di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, grazie all’esistenza dell’accordo della legge citata, ex art. 4, comma 3.

7. Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

7.1. In primo luogo sono inammissibili le censure con le quali si deduce che la Corte del reclamo, in violazione dell’art. 112 c.p.c., avrebbe trascurato di rispondere ai motivi con i quali era stato evidenziato che il giudice dell’opposizione, incorrendo nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, era venuto meno al dovere di assumere una decisione in piena autonomia di giudizio e previa autonoma valutazione delle tesi difensive senza tenere affatto conto delle ripetute richieste istruttorie formulate.

7.2. Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo nel quale l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (cfr. Cass. 14/10/2021 n. 28072).

7.3. I ricorrenti hanno del tutto trascurato di riprodurre il contenuto della decisione adottata all’esito dell’opposizione e di riferire specificatamente qual’era stato il contenuto del ricorso in opposizione e più specificatamente in che maniera la sentenza resa all’esito dello stesso era stata specificatamente oggetto delle censure nel reclamo.

7.4. Rileva infatti il Collegio che la Corte di appello ha espressamente esaminato le doglianze formulate e dalla lettura dell’odierno ricorso non si comprende affatto in base a quali considerazioni ci si duole della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

7.5. Peraltro, il secondo motivo di ricorso denunciando la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, il che rende già di per sé non chiaro il contenuto della censura che tuttavia, al di là della sua formulazione, si risolve nella sostanza in una diversa ricostruzione dei fatti allegati nel giudizio.

7.6. Sono ben noti i limiti entro i quali, per effetto della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione il vizio di motivazione. Questo infatti può essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e deve essere specificatamente indicato, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche con riguardo al “come” ed al “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti ed alla sua “decisività”. Resta fermo tuttavia che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053). Come è stato chiarito infatti il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale” sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. ult. cit.).

7.7. Nessuna di queste ipotesi ricorre nel caso in esame. In realtà lo Corte ha ben chiarito perché non era necessario ordinare produzione di documenti e tanto meno di bilanci. Ha evidenziato una sostanziale genericità della censura formulata in appello ed ha dato compiutamente conto del ragionamento seguito per addivenire al suo rigetto.

7.8. L’ultimo motivo di ricorso è infine infondato. Anche a voler trascurare i profili di inammissibilità della censura, che promiscuamente propone censure di violazione di legge e di vizio di motivazione, il che già basterebbe, in ogni caso la Corte territoriale si è attenuta a principi ripetutamente affermati da questa Corte di legittimità che si è più volte pronunciata sullo specifico contenzioso del licenziamento collettivo che ha visto coinvolti gli odierni ricorrenti confermando la correttezza di quella procedura anche per gli aspetti relativi alla scelta dei lavoratori da licenziare (cfr. tra le tante Cass. 06/05/2021 n. 12040 e molte altre successi (ndr: testo originale non comprensibile).

8. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 9.600,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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