Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7397 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. II, 16/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 16/03/2021), n.7397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23335-2019 proposto da:

M.S., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MARIA DE

GIORGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI LECCE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 668/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 27/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2020 dal Presidente Dott. MANNA FELICE.

 

Fatto

IN FATTO

M.S., cittadino (OMISSIS), nato nel (OMISSIS), adiva il Tribunale di Lecce in seguito al rigetto, da parte della locale Commissione territoriale, della sua domanda di protezione internazionale o, in subordine, umanitaria. A sostegno, deduceva di aver abbandonato il suo Paese nel 2014 per sottrarsi alle lotte sorte per la reggenza del villaggio nel quale viveva, e nel quale sarebbe stato mal visto per la sua professione della fede (OMISSIS). Aggiungeva di essere stato ingiustamente accusato del rapimento di alcuni anziani, sol perchè contrario ai sacrifici umani praticati dagli appartenenti al culto tradizionale, e di temere le relative conseguenze (processo, tortura, condanna capitale ecc.).

Il Tribunale rigettava la domanda.

L’impugnazione proposta era respinta dalla Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 668/19 del 27.6.2019. Osservava la Cote distrettuale che quanto narrato corrispondeva a ciò che era avvenuto in una località dell'(OMISSIS), denominata (OMISSIS), ma presentava significativi elementi di contrasto circa i protagonisti della vicenda. In particolare, il richiedente aveva indicato un nome diverso del legittimo successore alla carica di re del villaggio, quale si desumeva dalla fonte internazionale che riportava la notizia, così da giustificare dubbi sul reale coinvolgimento del richiedente stesso nelle vicende narrate. Inoltre, innanzi alla commissione questi aveva dichiarato di provenire da (OMISSIS), per poi mutare versione e indicare il luogo di provenienza in (OMISSIS), quasi a voler rendere credibile il proprio racconto. Il quale ultimo, pertanto, doveva ritenersi non verosimile, nel senso che per il tramite di una fonte internazionale il richiedente aveva avuto contezza del fatto, senza tuttavia prendervi parte alcuna. Quanto alle ipotesi della protezione sussidiaria derivante da violenza indiscriminata e della protezione umanitaria, la Corte riteneva che la non veridicità del racconto impediva anche soltanto di accertare la reale provenienza del rifugiato.

Avverso detta sentenza il richiedente propone ricorso affidato ad un motivo, articolato in quattro censure.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis. l c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 la nullità del decreto “relativamente all’evidente violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) ed h), art. 3, comma 3, lett. c) e comma 5, 4, e art. 19 e per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″.

1.1. – Quanto alla violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, si sostiene che le dichiarazioni del richiedente appaiono coerenti, plausibili, precise e non in contrasto con le informazioni generali, sicchè per il principio di attenuazione dell’onere probatorio la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenerle attendibili.

1.2. – In ordine alla violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e art. 4 la censura deduce che la Corte distrettuale avrebbe travisato il racconto del richiedente, non avendo valutato la situazione individuale ed il credo religioso di lui. La Nigeria, prosegue il motivo, soffre della crescente violazione dei diritti umani e di un largo uso della violenza, esercitato da vere e proprie organizzazioni terroristiche e da numerose sette segrete (i c.d. culti), che agiscono nella più completa impunità grazie al livello di corruzione nelle forze dell’ordine.

1.3. – La violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19 è allegata con riguardo al fatto che, malgrado il richiedente avesse evidenziato le gravissime circostanze su cui basava la propria richiesta di protezione, la Corte d’appello avrebbe respinto la domanda in maniera apodittica, senza una valutazione personale del richiedente, così come prescritto da detta norma.

1.4. – Infine, quanto alla violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. G (e h) parte ricorrente sostiene che, corretta l’esatta indicazione della zona di provenienza, per mera svista inizialmente designata come (OMISSIS) invece di (OMISSIS), detta area si caratterizza per la crescente violazione dei diritti umani, per gli attentati terroristici di gruppi paramilitari, per la corruzione e per gravi fatti di sangue. Il ritorno a casa del richiedente, di fede (OMISSIS), in un momento in cui le violenze ai danni dei fedeli si moltiplicano e l’intolleranza religiosa dilaga, rappresenta una motivazione più che sufficiente per configurare un pericolo di vita e, con esso, giustificare la protezione richiesta.

2. – Tutte le suddette censure, da esaminare congiuntamente per il loro carattere ripetitivo, sono manifestamente infondate (in disparte la loro comune e atecnica riconduzione sotto la categoria della -nullità”, questa essendo altro – v. art. 360 c.p.c., n. 4 – rispetto alla dedotta violazione di legge).

Tutte e ciascuna si basano: a) sul carattere asseritamente apodittico del giudizio di non credibilità del racconto del richiedente, contrapponendo altrettanto apoditticamente un giudizio di verosimiglianza; e b) sulla pretesa omessa considerazione della situazione personale del richiedente, contraddittoriamente desunta dalla situazione generale della (OMISSIS), come se questa valesse ex se a illustrare quella.

Per contro, va osservato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (n. 21142/19).

Inoltre, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, cosicchè qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (n. 16925/20).

Ne deriva che, una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente asilo alla luce di riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca – che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito – poichè tale controllo assolverebbe alla funzione meramente teorica di accreditare la mera possibilità astratta di eventi non provati riferiti in modo assolutamente non convincente dal richiedente (n. 24575/20).

Nella specie il giudizio negativo di credibilità operato dalla Corte distrettuale è da ritenere tutt’altro che apodittico, in quanto basato su contraddizioni non trascurabili (l’ignoranza del nome di uno dei protagonisti della vicenda narrata e il non spiegato mutamento del luogo di provenienza inizialmente dichiarato), tali da condurre i giudici di merito a ritenere che il richiedente avesse esposto fatti realmente accaduti, ma cui egli era del tutto estraneo.

Tale motivato giudizio d’incoerenza, non solo non viola la norma sopra citata, restituendo così un accertamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, ma altresì rende del tutto inutile la cooperazione istruttoria volta a ricostruire la generale situazione di pericolo e di violenza esistente nel Paese d’origine del richiedente.

3. – In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1 c.p.c., come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

4. – Nulla per le spese, in quanto il controricorso del Ministero, per la sua aspecificità non è neppure chiaramente riferibile alla vicenda in esame, e dunque non presenta i requisiti minimi di cui all’art. 370 c.p.c.

5. – Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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