Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7397 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 07/03/2022, (ud. 08/07/2021, dep. 07/03/2022), n.7397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19029-2020 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DI

PIETRA PAPA, 21, presso lo studio dell’avvocato DANIEL DEL MONTE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA ANTONIO

SISTI;

– ricorrente –

contro

WIND TRE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IN ARCIONE 71, presso lo

studio dell’avvocato STEFANO D’ERCOLE, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21539/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

l’08/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA

FIECCONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con atto notificato il 10/7/2020, D.M. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 21539/2019 del Tribunale di Roma, pubblicata in data 8/11/2019. Con controricorso notificato il 17/9/2020 resiste la Wind Tre s.p.a.

2. Per quanto ancora rileva, D.M. conveniva in giudizio la S.p.a. Wind Telecomunicazioni (ora Wind Tre s.p.a.) per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non, derivanti dall’inadempimento contrattuale della società convenuta, consistente nel malfunzionamento e/o disservizio della sua linea telefonica mobile; nonché, al pagamento dell’indennizzo per la mancata risposta al reclamo, inviato in data 7/7/2014 e rimasto privo di riscontro. Il Giudice di Pace rigettava la domanda attorea.

3. Avverso la sentenza, il sig. D. ha proposto gravame dinanzi al Tribunale di Roma che, con la pronuncia in questa sede impugnata ha accolto l’appello incidentale della società convenuta circa la carenza dell’interesse ad agire e di legittimazione dell’attore e rigettato l’appello principale. In particolare, ha rilevato che l’attore non aveva provato la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio e, in ogni caso, l’appello era comunque infondato sia in relazione alla domanda di risarcimento del danno che in relazione alla domanda di indennizzo: quanto alla prima, ha rilevato che essa era sfornita di allegazione e prova circa la natura e l’entità del danno asserita mente subito; quanto alla seconda, ha ritenuto che la lettera raccomandata inviata dal difensore dell’attore alla società convenuta non costituiva reclamo ai sensi della Delib. n. 73 del 2011 CONS, Allegato A, ex art. 22, ma una lettera di diffida al risarcimento del danno; inoltre, l’appellata – pur non avendo risposto singolarmente all’appellante – aveva dato ampia pubblicità del disservizio della rete tramite socia) network e quotidiani.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” nella parte in cui la Corte territoriale ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva in capo all’attore. Invero, il giudice non avrebbe considerato la pluralità di elementi indiziari tesi a dimostrare la titolarità dell’utenza mobile in capo all’appellante; vieppiù, la stessa Wind Tre s.p.a. avrebbe prodotto l’estratto di dettaglio telefonico relativo all’utenza intestata all’attore. Inoltre, il ricorrente avrebbe prodotto in giudizio anche la richiesta di ricevere la copia del contratto inviata a mezzo raccomandata alla società convenuta e rimasta priva di riscontro.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Anzitutto, occorre rilevare che il motivo non integra il paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto non adduce una specifica circostanza di fatto, ma una serie di “elementi presuntivi” e documenti che, ad avviso del ricorrente, dimostrerebbero la titolarità dell’utenza telefonica. Inoltre, tali elementi non vengono ben individuati, ma si riporta solo il riferimento al dettaglio telefonico e alla raccomandata asseritamente inviata per ottenere la copia del contratto che, in ogni caso, non vengono né riprodotti nel ricorso, né tantomeno localizzati.

1.3. Il motivo, pertanto, difetta di specificità, giusta il principio di diritto secondo cui “In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità.” (per tutte, Cass., Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).

2. Con il secondo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione della Delib. n. 73/11/CONS, Allegato A, art. 11, del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 2, lett. e, e della Delib. n. 347/18/CONS, Allegato A, art. 1, lett. j), (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” là dove la Corte d’Appello ha rigettato la domanda di indennizzo ritenendo che la società avesse fornito adeguata pubblicità del malfunzionamento. Tuttavia, le forme di pubblicità impiegate dalle compagnie telefoniche non le esonererebbero dal rispetto delle norme di legge che, in tali casi, prescrivono l’obbligo di rispondere al reclamo per iscritto.

2.1. Il motivo è assorbito.

2.2. La successiva parte della motivazione riguarda il merito della controversia che è stato affrontato dal giudice ad abundantiam, nonostante si fosse spogliato della potestas decidendi, ritenendo fondata l’eccezione preliminare di carenza di prova della legittimazione ad agire dell’attore. Il rigetto di detto motivo, pertanto, esaurirebbe il dovere decisorio di questa Corte perché, alla stregua del principio espresso ella sentenza Cass., Sez. Un. 3840 del 2007, la ratio decidendi enunciata nel merito non sarebbe impugnabile se il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, posto che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare detta statuizione, rendendosi conseguentemente ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale e, viceversa, inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata.

2.3. In ogni caso anche le censure contenute nel secondo motivo, relative all’appello principale, sarebbero inammissibili per le seguenti succinte ragioni.

2.4. In primo luogo, esse si pongono in difetto di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto totalmente carente degli opportuni riferimenti agli atti e ai documenti del giudizio.

2.5. In secondo luogo, il mezzo di ricorso non è idoneo a inficiare il provvedimento impugnato in quanto non si confronta con la ratio decidendi assunta dalla Corte a fondamento del rigetto: la Corte di merito ha rigettato la domanda di indennizzo in quanto la lettera raccomandata inviata dal difensore dell’attore non costituiva reclamo volto ad ottenere il ripristino della linea ai sensi della Delib. n. 73/2011 CONS, All. A, ex art. 11, avendo il contenuto proprio di una lettera di diffida al risarcimento del danno. Ad abundantiam, poi, ha rilevato che in ogni caso l’appellata, pur non avendo fornito risposta singolarmente all’appellante, aveva dato ampia pubblicità del disservizio.

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con spese poste a carico della parte ricorrente sulla base delle tariffe vigenti, e raddoppio del Contributo Unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 400,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie e ulteriori oneri di legge, in favore della controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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