Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7396 del 17/03/2020

Cassazione civile sez. I, 17/03/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 17/03/2020), n.7396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2356/2015 proposto da:

Incos Ingegneria e Costruzioni s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, quale mandataria dell’associazione

temporanea di imprese fra la medesima e la Cores Costruzioni e

Restauri di P.A.M., elettivamente domiciliata in Roma

Via Tangorra 12, presso lo studio dell’avvocato Francesco

Catricalà, e rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Ranieri,

in forza di procura speciale su foglio separato allegato al ricorso;

– ricorrente –

contro

Città Metropolitana di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore

elettivamente domiciliata in Roma C.so d’Italia 102, presso lo

studio dell’avvocato Giovanni Pasquale Mosca, e rappresentato e

difeso dall’avvocato Stefania Gualtieri;

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 953/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 27/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 23/9/2009 la Incos Ingegneria e Costruzioni s.r.l. (di seguito, semplicemente: Incos), quale mandataria dell’associazione temporanea di imprese (a.t.i.) costituita con la Cores Costruzioni e Restauri di P.A.M., convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze la Provincia di Firenze per sentirla dichiarare inadempiente al contratto di appalto stipulato il 20/11/2001 a fronte dell’aggiudicazione definitiva a favore della predetta a.t.i. dei lavori di completamento della palestra dell’istituto di istruzione superiore (OMISSIS), per l’importo complessivo in Euro 574.164,40.

I lavori appaltati erano stati consegnati all’impresa il 23/1/2002 e avrebbero dovuto essere terminati entro il 18/12/2002, salvo una proroga, concessa dall’Amministrazione, di 30 giorni che ne spostava la scadenza al 17/1/2003, a causa dell’approvazione di una perizia di variante, che aveva fatto levitare il costo complessivo dell’opera a Euro 602.872,62.

L’ultimazione delle opere era invece avvenuta il 1/10/2003 e la contabilità finale era stata chiusa il 15/2/2006 con un debito dell’a.t.i. di Euro 77.297,53 in conseguenza dell’applicazione della penale per il ritardo nella misura del 10% dell’importo contrattuale (Euro 60.287,26) e di detrazioni per Euro 18.350,40 per lavori non eseguiti, o non correttamente eseguiti.

La Incos appose riserve per presunte difformità dello stato dei luoghi e per presunti maggiori oneri per prolungamento lavori, respinte dalla Direzione lavori.

Prima dell’udienza di comparizione l’a.t.i. instaurò altresì dinanzi al Tribunale di Firenze un procedimento di accertamento tecnico preventivo, poi convertito in consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi ex art. 696 bis c.p.c., contestata nei suoi presupposti di ammissibilità dalla Provincia, ma ammessa dal Giudice adito.

Si costituì in giudizio la Provincia di Firenze, chiedendo il rigetto della domanda dell’attrice e proponendo domanda riconvenzionale, relativamente alla penale per il ritardo e alle detrazioni per lavori non eseguiti, o non correttamente eseguiti.

Il Tribunale di Firenze con sentenza del 28/11/2012 accolse la domanda dell’a.t.i. condannando l’Amministrazione a pagare a suo favore la somma di Euro 211.354,54, oltre accessori, e rigettò la domanda riconvenzionale, ponendo le spese di causa a carico della Provincia.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado propose appello la Provincia di Firenze, a cui resistette l’appellata Incos.

La Corte di appello di Firenze con sentenza del 4/6/2014, emendata da un errore materiale che la inficiava in data 29/12/2014, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto il credito della Incos a soli Euro 72.950,45, oltre accessori, condannando la Incos a restituire quanto percepito in eccedenza nelle more e alla rifusione delle spese del grado.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 14/1/2015 ha proposto ricorso per cassazione la Incos, svolgendo quattro motivi, il primo dei quali articolato con una duplice censura.

Con atto notificato il 23/2/2015 ha proposto controricorso e ricorso incidentale la Città Metropolitana di Firenze, succeduta alla Provincia di Firenze a far data dal 1/1/2015 ai sensi della L. n. 56 del 2014, art. 1, comma 16, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di un motivo, per la cassazione della sentenza di secondo grado.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denominato A, di ricorso principale, articolato in due sub-censure, la Incos critica le motivazioni addotte dalla Corte fiorentina a supporto della decisione di modifica della sentenza di primo grado in punto ritardo nella ultimazione dei lavori.

1.1. Con il primo sub-motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., perchè la Corte di appello non aveva considerato le risultanze istruttorie in punto di calcolo del ritardo nella consegna dell’opera e in particolare con riferimento alla mancata considerazione delle accertate difformità dello stato dei luoghi al momento della consegna all’impresa.

Il Consulente tecnico aveva suddiviso la responsabilità dei 256 giorni di ritardo accertati, attribuendola per giorni 169 alla Provincia (dal 23/1/2002 al 11/7/2002), ossia fino alla data di concreto inizio dei lavori contrattuali, ritardati dalle tre perizie di variante e affidamenti a trattativa privata imposti dall’Ente per eliminare le difformità fra lo stato di fatto reale e quello di progetto, e giorni 87 imputati all’a.t.i..

La Corte di appello, nel ritenere l’impossibilità di accertare le asserite difformità dello stato dei luoghi, aveva posto in essere una vera e propria distorsione della realtà processuale, poichè il Consulente tecnico, pur non avendo potuto accertare le predette difformità, ormai cancellate dall’avvenuta esecuzione dei lavori, ne aveva provato l’esistenza elencando tutte le modifiche apportate all’appalto dall’Ente sulla base delle perizie di variata distribuzione di spesa e della seconda consegna lavori.

L’affermazione della Corte di appello secondo cui l’impresa avrebbe potuto iniziare i lavori quanto meno dalla data del 23/4/2002 (data del verbale di concordamento dei nuovi prezzi della prima perizia di variante) era contra legem poichè tale approvazione non consentiva all’impresa di operare in difetto dell’espletamento dell’iter di cui al D.P.R. n. 554 del 1999, art. 134, con le debite approvazioni della perizia di variante.

Inoltre, come risultava dalla relazione di consulenza, trascurata dalla Corte di appello, la presa visione dei luoghi da parte dell’impresa era avvenuta a una certa distanza temporale dalla data di effettiva consegna del cantiere (indicativamente. 16/3/2001-23/1/2002).

La Provincia di Firenze aveva bandito una gara di appalto, dando per eseguite opere che non lo erano, con falsa attestazione, che non poteva essere ritenuta normale.

Era poi provata la circostanza che l’Ente aveva affidato all’a.t.i. una serie di lavori extra-contratto propedeutici a quelli contrattuali di finitura, attestando ancora una volta la modifica dell’oggetto di appalto rispetto a quello originario.

La Stazione appaltante aveva invece rassicurato l’Impresa che la precedente appaltatrice, fallita, avrebbe completato i lavori, come risultava dalla riserva n. 1, cosa che non era stata mai contestata dall’Ente; inoltre risultava che la consegna dei lavori fosse avvenuta 14 mesi dopo l’aggiudicazione della gara.

Il fatto, riconosciuto dalla Corte territoriale, dell’elaborazione di una perizia di variata distribuzione di spesa a parità di costo dell’appalto, dimostrava che i lavori del progetto originario di importo pari a quelli di variante erano stati eliminati dalla Provincia (per oltre il 40% dell’importo contrattuale).

1.2. Il motivo, a parte la notazione relativa alla violazione del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 134, che però anticipa e si sovrappone al secondo motivo di ricorso, che tratta specificamente tale tema, appare inammissibile.

Le recriminazioni sviluppate dalla ricorrente, lungi dal proporre la dichiarata censura di violazione o falsa applicazione di legge, mascherano sostanzialmente l’espressione di dissenso circa la valutazione delle prove effettuata dal giudice del merito circa le ragioni e la responsabilità del ritardo nell’esecuzione dei lavori appaltati, sorretta da una motivazione esistente e non apparente, satisfattiva dello standard del “minimo costituzionale” attualmente censurabile con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

1.3. E’ d’uopo ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi, riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. Analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c., è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “della valutazione delle prove” (Sez. 3, 28/02/2017, n. 5009; Sez. 2, 14/03/2018, n. 6231).

Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, 28/02/2019, n. 5809; Sez. 3, 21/06/2018, n. 16315).

Per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., da parte del giudice del merito è necessario denunciare che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma. Ciò significa che per realizzare la violazione dell’art. 115 c.p.c., il giudice deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte, invece, di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.). Detta violazione non può, quindi, ravvisarsi nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., rubricato valutazione delle prove (Sez. 3, 05/03/2019, n. 6330; Sez. 6, 23/10/2018, n. 26769; Sez. 2, 14/03/2018, n. 6231; Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940; Sez. 6, del 27/12/2016, n. 27000; Sez. 2, del 30/11/2016, n. 24434; Sez. 6, del 07/01/2014, n. 91).

Infine la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Sez. 6, 23/10/2018, n. 26769; Sez. 3, n. 13395 del 29/05/2018, Rv. 649038-01; Sez. 3, n. 15107 del 17/06/2013, Rv. 626907-01).

1.4. La pretesa avversaria non contestazione circa l’assicurazione fornita dalla stazione appaltante circa il completamento dei lavori da parte del precedente appaltatore risulta dedotta in modo estremamente labile e generico.

In virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione con riferimento a una condotta processuale tale da espungere il fatto dall’ambito del controverso e da escludere il bisogno di prova ex art. 115 c.p.c., non può prescindere dalla trascrizione degli atti processuali che ne integrerebbero i presupposti, perchè l’onere di specifica contestazione, a opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (Sez. 3, 05/03/2019, n. 6303).

E ciò tanto nel caso in cui il ricorrente lamenti l’erronea qualificazione da parte del giudice del merito di un fatto come non contestato, sia perchè effettivamente e specificamente contestato da parte sua, sia perchè non allegato in modo specifico dalla controparte, quanto nel caso, che ricorre nella presente fattispecie, in cui il ricorrente lamenti la mancata qualificazione del fatto come non contestato da parte del Giudice del merito, benchè fosse stato specificamente allegato e la controparte non lo avesse specificamente contestato.

Inoltre la non contestazione deve essere rapportata a fatti storici precisi oggetto di allegazione nel processo e non può essere riferita genericamente a una domanda giudiziale, per altro contestata ex adverso.

1.5. Con il secondo sub-motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia manifesta carenza della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha omesso qualsiasi valutazione sulla inammissibilità delle perizie di variata distribuzione superiori al 5%, L. n. 109 del 1994, ex art. 25, comma 3 e successive modifiche e integrazioni.

Le tre perizie di variante superando il 5% dell’importo contrattuale erano inammissibili sia della L. n. 109 del 1994, ex art. 25, comma 3, sia perchè effetto della colpa grave dell’Amministrazione, con illegittimo stravolgimento dell’appalto e conseguente responsabilità della Provincia, profilo questo completamente pretermesso dalla Corte di appello.

1.6. La censura è inammissibile perchè non deduce un fatto storico decisivo il cui esame sia stato omesso dal Giudice e in sostanza denuncia una violazione di legge nella disposizione di tre perizie di variante illegittime perchè il loro importo ammontava a più del 40% dei lavori appaltati, la seconda perizia comportava un aumento dell’importo di contratto di Euro 28.707,22, non vi era alcun ordine di servizio della Direzione lavori e nei verbali di concordamento dei nuovi prezzi mancava il riferimento alla L. n. 109 del 1994, art. 25 comma 3.

La ricorrente tuttavia, come non manca di osservare la controricorrente, non indica quando e come nel processo abbia dedotto l’assunto della illegittimità o dell’inammissibilità delle perizie di variante e tanto meno quando e come l’avesse riproposto in appello.

Il che è sufficiente a inficiare di aspecificità la censura.

2. Con il secondo motivo, denominato B, di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e si lamenta del fatto che la Corte di appello non abbia considerato le risultanze istruttorie con riferimento all’applicazione del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 134.

2.1. La Corte di appello, secondo la ricorrente, aveva ignorato la necessità dell’approvazione della perizia di variante da parte degli organi della stazione appaltante, affermando contra legem che l’impresa avrebbe dovuto iniziare i lavori il 23/4/2002 per effetto della sola approvazione del verbale di concordamento dei nuovi prezzi.

Solo in data 6/8/2002 era stato sottoscritto l’atto di sottomissione alla 1 perizia di variante con un ritardo di giorni 196, sicchè l’a.t.i. non era affatto obbligata a iniziare i nuovi lavori prima di tale data.

2.2. La censura, già anticipata nel corpo del primo motivo, è diretta contro la fondamentale ratio decidendi sulla base della quale la Corte fiorentina ha ritenuto di modificare, in pregiudizio della Incos il riparto di attribuzione di responsabilità nei ritardi fra Ente committente e l’a.t.i. appaltatrice, effettuato dal Tribunale.

La Corte di appello, a pag. 7, dopo aver puntualizzato che in data 23/4/2002 con apposito verbale erano stati concordati i nuovi prezzi e che in data 6/8/2002 l’a.t.i. aveva sottoscritto l’atto di sottomissione con cui si impegnava a eseguire senza eccezione alcuna i lavori di variante, ha affermato nel terzo capoverso che era “del tutto ingiustificato il ritardo nell’inizio dei lavori dopo il 23/4/2002, dopo infatti il concordamento dei nuovi prezzi e delle opere da ultimare non aveva più senso l’inerzia dell’appaltatore visto che le attrezzature e le maestranze già dovevano essere in cantiere dal 23/1/2002”.

2.2. Appare evidente l’errore di diritto sotteso a tale valutazione che inficia di falsa applicazione di legge la decisione.

Come osserva esattamente la ricorrente, il D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 134, recante il Regolamento di attuazione della Legge Quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni, disponeva che nessuna variazione o addizione al progetto approvato potesse essere introdotta dall’appaltatore se non disposta dal direttore dei lavori e preventivamente approvata dalla stazione appaltante nel rispetto delle condizioni e dei limiti indicati alla L. n. 109 del 1994, art. 134; che il mancato rispetto di tale disposizione non desse titolo al pagamento dei lavori non autorizzati e comportasse la rimessa in pristino, a carico dell’appaltatore, dei lavori e delle opere nella situazione originaria secondo le disposizioni del direttore dei lavori; che qualora, nei casi previsti dalla legge, fosse necessario introdurre nel corso dell’esecuzione variazioni o addizioni non previste nel contratto, il direttore dei lavori, sentiti il responsabile del procedimento ed il progettista, promuovesse la redazione di una perizia suppletiva e di variante, indicandone i motivi nell’apposita relazione da inviare alla stazione appaltante; che l’appaltatore avesse l’obbligo di eseguire tutte le variazioni ritenute opportune dalla stazione appaltante e che il direttore lavori gli abbia ordinato purchè non mutassero sostanzialmente la natura dei lavori compresi nell’appalto; che le perizie di variante, corredate dai pareri e dalle autorizzazioni richiesti, dovessero essere approvate dall’organo decisionale della stazione appaltante su parere dell’organo che ha approvato il progetto, qualora comportassero la necessità di ulteriore spesa rispetto a quella prevista nel quadro economico del progetto approvato; negli altri casi, le perizie di variante dovessero essere approvate dal responsabile del procedimento, sempre che non alterassero la sostanza del progetto.

2.3. La Corte territoriale ha quindi errato nell’attribuire alla impresa appaltatrice l’obbligo di eseguire i lavori di cui alla perizia di variante quando ancora non erano stati approvati dalla stazione appaltante, per il solo fatto che fossero stati concordati i nuovi prezzi, con l’iter amministrativo ancora incompleto e facendo così decorrere l’operatività del dovere dell’appaltatrice di procedere all’esecuzione dei lavori della variante dal 23/4/2002 e non dal 6/8/2002, data in cui fu sottoscritto dall’a.t.i. e dal responsabile unico di procedimento l’atto di sottomissione.

Nè la Corte di appello ha individuato lavori diversi concretamente anticipabili e indipendenti dall’iter amministrativo in corso.

2.4. Le obiezioni sollevate dalla controricorrente non possono ribaltare l’efficacia della censura ed anzi si rivelano oggettivamente controproducenti, laddove evidenziano che nel verbale di concordamento nuovi prezzi era stato espressamente specificato che lo stesso era vincolante per l’impresa e non per l’Ente sino ad intervenuta superiore approvazione.

Nè pare convincente l’ulteriore argomentazione sviluppata dalla Città Metropolitana che rimprovera alla ricorrente di aver invocato una regola (quella della necessità dell’approvazione della perizia di variante per dare inizio ai lavori) sottaciuta in precedenza, sol perchè il Tribunale le aveva assicurato un maggior riconoscimento economico attribuendo alla provincia la responsabilità del mancato inizio dei lavori per oltre 5 mesi.

In effetti poichè il Giudice di primo grado non aveva affatto imputato alla a.t.i. la responsabilità per non aver iniziato i lavori fra il 23/4/2002 e il 6/8/2002, ossia dopo il verbale di concordamento nuovi prezzi e prima della firma dell’atto di sottomissione, non vi era alcuna esigenza per l’attuale ricorrente di invocare una norma di legge mal applicata dalla Corte di appello e invece rispettata dal Tribunale.

3. Con il terzo motivo, denominato C, di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., perchè la Corte di appello aveva computato e distribuito erroneamente, in contrasto con la documentazione in atti e le risultanze istruttorie, la misura del risarcimento all’impresa e alla stazione appaltante.

3.1. Secondo la ricorrente, la Corte di appello era incorsa in ulteriore errore per aver considerato come data di ultimazione dei lavori quella prevista nella seconda perizia suppletiva (17/1/2003), che riguardava i lavori non previsti in contratto, i cui prezzi erano stati concordati il 6/3/2003 con proroga di 30 giorni; tali lavori non potevano essere avviati prima del 6/3/2003 in cui il nuovo termine prorogato era però già superato di 47 giorni; stesso discorso valeva per la terza perizia di variante il cui atto di sottomissione era stato sottoscritto il 31/7/2004, quando termine contrattuale era già scaduto da sei mesi e mezzo.

Infine la Corte di appello nel calcolo aveva asserito che il C.t.u. aveva attribuito all’impresa giorni 166 di ritardo, che invece era stato indicato in giorni 87, mentre 169 erano invece i giorni di ritardo imputabili alla Provincia.

3.3. La ricorrente non indica dove la sentenza impugnata abbia commesso gli “errori a cascata” nel calcolo complessivo del ritardo e nell’individuazione della data di ultimazione dei lavori, non tenendo conto di una serie di circostanze.

Ed in effetti nella sentenza impugnata non v’è traccia della determinazione della data finale prevista al netto delle proroghe per l’ultimazione dei lavori, perchè la Corte di appello si è limitata a correggere l’attribuzione della responsabilità per il ritardo di un certo periodo temporale, quello dal 23/4/2002 al 6/8/2003, spostandola a carico dell’a.t.i. mentre il Tribunale l’aveva posta a carico della Provincia.

Non a caso, infatti, la ricorrente argomenta direttamente sulla base delle evidenze probatorie, incitando questa Corte a riconsiderarle, senza però confrontarsi con i passaggi della sentenza impugnata che avrebbero commesso l’errore denunciato.

Il preteso errore risale quindi all’impianto della decisione di primo grado, contro la quale l’attuale ricorrente non aveva interposto appello incidentale, come sarebbe stato necessario, per sovvertirne le statuizioni sulla oggettiva determinazione complessiva del ritardo nell’ultimazione dei lavori rispetto agli accordi contrattuali.

4. Con il quarto motivo, denominato D, di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 554 del 1999, art. 165 e D.M. n. 145 del 2000, art. 31.

4.1. Quanto alla seconda riserva, secondo la ricorrente, la Corte di appello aveva completamente trascurato di considerare che a causa delle festività natalizie incombenti al 23/12/2002 e della preannunciata assenza dei tecnici della Provincia, non essendo disponibile il registro di contabilità, l’a.t.i. era stata costretta a inviare l’esplicitazione della riserva con lettera raccomandata del 3/1/2003 (doc. D7 di parte attrice) in tempo utile, riservandosi la successiva iscrizione nel registro di contabilità, ossia il 15/4/2003, data nella quale, in occasione della sottoscrizione del 5 SAL, la Direzione lavori esibì all’a.t.i. il registro di contabilità.

La ricorrente precisa inoltre che la seconda riserva costituiva solo la prosecuzione della prima ed era stata trattata dal Consulente in modo unitario con riferimento alla prima riserva, che conteneva quantitativamente anche le pretese relative alla seconda.

4.2. La censura è fondata e accoglibile.

Le circostanze di fatto esposte dalla ricorrente trovano riscontro non solo nella relazione di consulenza tecnica ma nella stessa sentenza impugnata (pag. 8, 6 e 7 capoverso), che ha considerato però ininfluente l’invio della lettera raccomandata del 3/1/2003, il cui valore sarebbe stato quello di una “anticipazione”, perchè l’esplicazione necessaria della riserva era stata trascritta nel registro di contabilità solo il 15/4/2003, quindi tardivamente dopo il decorso dei 15 giorni previsto dal D.M. n. 145 del 2000, art. 21, che sul punto rinvia all’art. 165, comma 3 del regolamento. Di conseguenza, secondo la Corte di Firenze, la riserva apposta il 15/4/2003 aveva un valore meramente iterativo della precedente, non tempestivamente esplicata, e pertanto sarebbe inammissibile.

4.3. Così ragionando, la Corte di appello è incorsa in falsa applicazione di legge.

Il D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 165, comma 3, applicabile ratione temporis, in tema di “eccezioni e riserve dell’appaltatore sul registro di contabilità” prevedeva che se l’appaltatore aveva firmato il registro con riserva, doveva a pena di decadenza, nel termine di quindici giorni, esplicare le sue riserve, scrivendo e firmando nel registro le corrispondenti domande di indennità e indicando con precisione le cifre di compenso cui credeva aver diritto, e le ragioni di ciascuna domanda.

Il comma 5 dello stesso articolo prevedeva che nel caso in cui l’appaltatore aveva firmato il registro con riserva, ma senza esplicare le sue riserve nel modo e nel termine sopraindicati, i fatti registrati dovevano intendersi definitivamente accertati, e l’appaltatore decadeva dal diritto di far valere in qualunque termine e modo le riserve o le domande che ad essi si riferivano.

Il D.M. 19 aprile 2000, n. 145, recante il Regolamento recante il capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici, ai sensi della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 3, comma 5 e successive modificazioni, anch’esso applicabile ratione temporis, in tema di “Forma e contenuto delle riserve”, ribadiva, dapprima, che le riserve dovevano essere iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’appaltatore e, in ogni caso, sempre a pena di decadenza, dovevano essere iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole, mentre le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono abbandonate.

Quindi al comma 3, dopo aver ricordato che le riserve dovevano essere formulate in modo specifico ed indicare con precisione le ragioni sulle quali esse si fondano e contenere a pena di inammissibilità la precisa quantificazione delle somme ritenute dovute, disponeva che qualora l’esplicazione e la quantificazione non fossero possibili al momento della formulazione della riserva, l’appaltatore aveva l’onere di provvedervi, sempre a pena di decadenza, entro il termine di quindici giorni fissato dall’art. 165, comma 3, del regolamento.

4.4. La legge non contempla espressamente il caso della materiale indisponibilità del registro di contabilità in tempo utile per consentire all’appaltatore l’esplicazione della riserva tempestivamente anticipata.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che in tema di appalti di opere pubbliche, la materiale indisponibilità del registro di contabilità non esonera l’appaltatore, che abbia formulato una riserva generica, dall’obbligo di esplicitarla nel termine di legge mediante tempestiva comunicazione all’Amministrazione con apposito atto scritto (Sez. 1, n. 8242 del 24/05/2012, Rv. 622612-01; conformi, sia pur molto più sinteticamente, Sez. 1, 5/5/1998 n. 4502, Sez. 1, 16/09/1986 n. 5624).

In tale decisione la Corte ha osservato, sia pur a proposito dell’analoga disciplina contenuta nella legge fondamentale sui lavori pubblici, che dal combinato disposto del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 54 e 64 e del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 26, si ricava che l’appaltatore di opera pubblica, ove voglia – non soltanto contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’amministrazione, bensì anche soltanto – avanzare pretese comunque idonee a incidere sul compenso complessivo spettantegli, è tenuto a iscrivere tempestivamente apposita riserva nel registro di contabilità, oppure anche in altri appositi documenti contabili; a esporre, poi, nel modo e nei termini indicati dalla legge, gli elementi idonei a individuare la sua pretesa nel titolo e nella somma; e a confermare, infine, la riserva all’atto della sottoscrizione del conto finale; che la ratio legis, che è al fondamento della descritta disciplina, è costituita dall’esigenza che l’Amministrazione committente conosca, tempestivamente e costantemente, tutti i fattori che possono aggravare il costo dell’opera; che tale ratio opera uniformemente in tutti i casi sopra indicati, indipendentemente dal fatto che la riserva sia stata iscritta nel registro di contabilità o in altri documenti; che l’onere della riserva ha infatti la sua ragione d’essere nella tutela della P.A. che, nell’esercizio della sua attività discrezionale, deve essere posta in grado di svolgere prontamente ogni necessaria verifica e deve, inoltre, poter valutare, in ogni momento, l’opportunità del mantenimento ovvero del recesso dal rapporto di appalto, in relazione ai fini di interesse pubblico (Cass. 21 luglio 2004 n. 13500); che la riserva generica, che sia stata iscritta in un documento diverso dal registro di contabilità, come nel caso del verbale di ripresa dei lavori, soggiace dunque alla medesima regola dettata per quella iscritta nel registro di contabilità, perchè questa possa assolvere la funzione sua propria, già indicata; che anche in tal caso l’esplicitazione della riserva è soggetta al termine indicato nel R.D. n. 350 del 1895, art. 54, trascorso il quale opera la decadenza ivi prevista; che da tali considerazioni discende che la materiale indisponibilità del registro di contabilità, che è custodito dalla direzione dei lavori, non esonera l’appaltatore, che abbia formulato un riserva generica, dall’onere di esplicitarla nel termine di legge, se del caso con atto scritto di data certa anche diverso dal registro di contabilità, giacchè proprio l’indisponibilità di questo ha indotto la corte a chiarire che la successiva esplicazione della riserva, se di fatto non può essere eseguita nel registro di contabilità, perchè la sua compilazione è rimessa all’iniziativa dell’appaltante, deve aver luogo mediante tempestiva comunicazione all’Amministrazione con apposito atto scritto.

Recentemente è stato confermato che la materiale indisponibilità del registro di contabilità non esonera l’appaltatore, che abbia formulato una riserva generica, dall’obbligo di esplicitarla nel termine di legge mediante tempestiva comunicazione all’Amministrazione con apposito atto scritto; deve ritenersi al riguardo sufficiente l’allegazione di fogli dattiloscritti al registro formato in via telematica. (Sez. 1, n. 30102 del 21/11/2018, Rv. 651874-01).

Questa Corte ha anche affermato che dal combinato disposto del R.D. n. 350 del 1895, artt 16, 54 e 64 e D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 26, si ricava che l’appaltatore di opera pubblica, ove voglia contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’amministrazione e/o avanzare pretese comunque idonee a incidere sul compenso complessivo a esso spettante, è tenuto a iscrivere tempestivamente apposita riserva nel registro di contabilità o in altri appositi documenti contabili. Tale onere è, peraltro, subordinato dalla legge, non alla disponibilità da parte dell’imprenditore del registro di contabilità ovvero dell’invito da parte del committente a sottoscriverlo, bensì alla obiettiva insorgenza di fatti ritenuti per lo stesso lesivi, con la conseguenza che non cessa neppure nell’ipotesi di indisponibilità, seppure momentanea, del registro di contabilità. In siffatta ipotesi, l’imprenditore deve, invero, iscrivere la riserva in documenti contabili equivalenti, come il verbale di sospensione o ripresa dei lavori, ovvero quelli contenenti gli stati di avanzamento, od ordini di servizio, o anche mediante tempestiva comunicazione all’amministrazione con apposito atto scritto (Sez. 1, 09/02/2016, n. 2537).

4.5. E’ evidente la correttezza di tale soluzione interpretativa che, per un verso, appare conforme al principio ad impossibilia nemo tenetur, poichè non accolla all’impresa appaltatrice un onere inesigibile imponendole la forma inderogabile dell’annotazione dell’esplicazione della riserva sul registro di contabilità, di cui non ha la materiale disponibilità, per altro verso soddisfa la necessità della forma scritta ad substantiam e della certezza della data, richieste dalla legge, ed infine soddisfa la ratio fondante della disciplina.

Questa infatti, come sopra ricordato, mira a garantire che l’Amministrazione committente conosca, tempestivamente e costantemente, tutti i fattori che possono aggravare il costo dell’opera sì da poter svolgere prontamente ogni necessaria verifica e valutare, in ogni momento, l’opportunità del mantenimento ovvero del recesso dal rapporto di appalto, in relazione ai fini di interesse pubblico.

5. Con il motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la Città metropolitana ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 336 e 91 c.p.c..

5.1. La ricorrente incidentale si duole del fatto che la Corte di appello abbia mantenuto la regolazione delle spese del giudizio di primo grado, omettendo di valutare in modo unitario e globale la soccombenza di causa, cosa che avrebbe imposto la rinnovazione della regolamentazione delle spese di lite da parte del giudice di appello in relazione all’esito finale impresso alla lite e alle domande delle parti.

5.2. Il motivo resta assorbito per effetto dell’accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso principale, che imporranno comunque all’esito del giudizio di rinvio la regolazione complessiva delle spese di lite.

6. L’accoglimento del secondo e quarto motivo del ricorso principale, inammissibili il primo e il terzo, e assorbito il motivo di ricorso incidentale, comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e il rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso principale, inammissibili il primo e il terzo, e assorbito il motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2020

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