Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7395 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. II, 16/03/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 16/03/2021), n.7395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24282-2019 proposto da:

I.Z., rappresentato e difeso dall’avvocato SIMONA MAGGIOLINI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 205/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 01/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Torino rigettò l’impugnazione proposta da I.Z. avverso la decisione di primo grado, che aveva confermato quello della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con la quale era stata disattesa la domanda di protezione internazionale dal medesimo avanzata;

ritenuto che l’appellato ricorre avverso la decisione della Corte territoriale sulla base di quattro motivi e che il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo, con il quale il ricorrente denunzia violazione degli artt. 16 direttiva UE n. 32/2013, art. 2729 c.c., nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, assumendo che la Corte locale era venuta meno al dovere di approfondire la verifica a riguardo dell’attendibilità della vicenda individuale narrata, essendosi limitata a riportare la motivazione del Tribunale, che, a sua volta, si era rifatta al provvedimento amministrativo, che aveva enfatizzato l’errore nell’indicazione della data della descritta alluvione, è inammissibile, valendo le osservazioni che seguono:

a) le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto del vigente art. 360 c.p.c., n. 5 difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse il ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento;

b) sul piano della narrazione soggettiva, l’inattendibilità della stessa risulta sorretta da argomenti che non possono in alcun modo considerarsi mero simulacro;

c) il giudizio d’inattendibilità investe l’intera narrazione (il richiedente aveva raccontato di provenire dal (OMISSIS), (OMISSIS) Regione di (OMISSIS), Città di (OMISSIS) – perchè a causa d’un alluvione aveva perso tutto, soggiungendo di temere per il rientro perchè aveva rifiutato di trasportare esplosivi per conto di un terrorista, di avere lasciato moglie e figli dai suoceri, i quali esigevano compenso economico, che era stato quattro anni in Guinea a lavorare e che si opponeva al rientro perchè “noi siamo poveri”), la quale fa apparire evidente (a fronte di giustificazioni risultate inattendibili l’alluvione era avvenuto in ben altra data da quella indicata e la vicenda della minaccia terroristica, sommamente generica e priva di riscontri, oltre che inverosimile), l’unica e vera ragione dell’emigrazione: la povertà, la quale” in sè, non dà diritto alla protezione internazionale; nè risultavano ipotizzabili ulteriori attività istruttorie;

considerato che il secondo motivo, con il quale il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, non potendosi condividere il giudizio espresso dalla Corte locale in ordine alla situazione interna del Paese, che, secondo il ricorrente, era dominata da violenza diffusa e incontrollata è inammissibile, valendo quanto segue:

a) la sentenza impugnata alle pagg. 6 e 7 precisa che nella zona di provenienza non sussiste la situazione d’allarme descritta dall’appellante, sulla base delle consultate COI, non potendosi assimilare a essa la commissione di attentati terroristici, che hanno interessato svariate parti del mondo, anche le più sviluppate;

b) le informazioni riportate in ricorso, in particolare l’EASO del 2018 non disconfermano quanto rilevato dalla sentenza;

ritenuto che con il terzo motivo viene prospettata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in quanto la decisione impugnata aveva sconfessato il diritto alla protezione umanitaria negando il processo d’integrazione in Italia dell’immigrato, senza tenere nel debito conto le prodotte buste paga;

considerato che il motivo deve essere rigettato e, tuttavia, la motivazione della sentenza della Corte di Torino deve essere corretta per come appresso:

a) la decisione, dopo avere chiarito che il ricorrente non aveva esposto alcun motivo di specifica vulnerabilità, mancando, inoltre, “un quadro di serie contraddizioni al rimpatrio”, afferma che “la maggiore o minore integrazione dello straniero in Italia e le attività svolte nel periodo di accoglienza non costituiscono affatto prova di una particolare condizione di vulnerabilità da proteggere e non hanno rilevanza alcuna ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”, soggiungendo che il D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 22, “consente lo svolgimento da pare del richiedente asilo di attività di istruzione o lavorative, ma esclude anche espressamente che esse costituiscano causa di riconoscimento di protezione”;

b) indi, soggiunge che l’appellante stava svolgendo un’attività lavorativa non qualificata a termine e non aveva “formulato specifica censura” alla motivazione di primo grado, la quale aveva evidenziato proprio le richiamate caratteristiche dell’attività lavorativa;

c) il D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 22 intitolato “Lavoro e formazione professionale”, dispone: “1. Il permesso di soggiorno per richiesta asilo di cui all’art. 4 consente di svolgere attività lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda, se il procedimento di esame della domanda non è concluso ed il ritardo non può essere attribuito al richiedente. 2. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. 3. I richiedenti, che usufruiscono delle misure di accoglienza erogate ai sensi dell’art. 14, possono frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dal programma dell’ente locale dedicato all’accoglienza del richiedente”; è evidente che trattasi di disposizione, ai fini che qui interessano, dalla valenza del tutto neutra, avendo lo scopo di favorire l’accoglienza del richiedente la protezione internazionale, nel caso in cui la procedura si protragga nel tempo, non per colpa dell’immigrato;

d) non può, di conseguenza, predicarsi, come erroneamente fa la Corte di Torino, la non valutabilità per “tabulas”, in ordine al giudizio d’integrazione, del lavoro e delle attività formative e d’istruzione svolte dall’interessato approfittando di una tale possibilità, anche se, per contro, non può affermarsi, in senso contrario, che tali attività, sempre e comunque siano significative allo scopo in discorso;

e) pertanto, nel senso sopra detto la motivazione della sentenza d’appello merita di essere emendata;

f) il motivo, tuttavia, come si è anticipato, è infondato, poichè invoca una revisione del giudizio di merito in questa sede non consentita, senza precipuamente contrastare la motivazione nella parte in cui ha escluso trattarsi d’una attività lavorativa tale da rendere economicamente indipendente l’immigrato, dilungandosi, invece, in una irrilevante rassegna di pronunce giurisprudenziali;

considerato che il quarto motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 6 e 13 Convenzione EDU, art. 47 Carta Fondamentale dell’UE, art. 46 direttiva UE n. 32/2013 e art. 111 Cost., nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, è inammissibile, trattandosi, nella sostanza di un riepilogo del primo motivo;

considerato che il soccombente ricorrente deve essere condannato al rimborso delle spese in favore del costituito Ministero nella misura di cui in dispositivo, tenuto conto della qualità della causa, del suo valore e delle attività svolte;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del Ministero controricorrente, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese anticipate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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