Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7394 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. II, 16/03/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 16/03/2021), n.7394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23528-2019 proposto da:

K.A., elettivamente domiciliato in FRASCATI (ROMA), PIAZZA

BAMBOCCI 9, presso lo studio dell’avvocato MARIA GIOVANNA RIGATELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA CARACCIOLO, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, PROCURA DELLA REPUBBLICA DI LECCE;

– intimati –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 2108/2019 del TRIBUNALE di

LECCE, depositato il 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 01/12/2020 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

K.A., cittadino del (OMISSIS), nato nel (OMISSIS), proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Lecce, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, avverso la decisione della locale Commissione territoriale, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essere fuggito dal suo Paese per paura di essere arrestato a seguito di un litigio avuto con il fratellastro, “e non volendo avere a che fare con la Polizia (OMISSIS)” (così a pag. 2 del ricorso).

Il Tribunale rigettava la domanda, con decreto n. 2108/19 del 19.6.2019. Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, il Tribunale riteneva che i fatti narrati dal richiedente non attenessero a profili di persecuzione legittimanti il riconoscimento dello status di rifugiato; e che il racconto di lui fosse alquanto contraddittorio, inverosimile e non circostanziato quanto alle ragioni poste a base della scelta di emigrare. Quanto alla protezione umanitaria, i giudici di merito osservavano che non si rinvenivano fattori soggettivi di vulnerabilità e che il richiedente non aveva prospettato particolari situazioni di deprivazione dei diritti umani, oltre il nucleo irrinunciabile dello statuto della dignità umana.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1. c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione “ed errata applicazione” del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Richiamato il testo della norma e del correlato D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 il motivo cita il precedente di Cass. n. 4455/18, secondo cui il giudice deve valutare l’assenza del pericolo di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, “con particolare riferimento alla condizione personale del richiedente, rapportata al contesto territoriale in cui il richiedente è immerso, ma senza esaurire l’indagine alla mera descrizione dell’assenza di scontri armati nel Paese, bensì confrontando la vicenda personale (profilo interno) con il quadro di origine prospettato (profilo esterno), onde verificare l’insussistenza di pericoli personali in caso di rimpatrio” (così, a pag. 6 del ricorso). Quindi, riporta uno stralcio della motivazione del provvedimento impugnato sul punto.

1.1. – Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato, per la duplice ragione che a) esso non chiarisce in cosa consisterebbe la denunciata violazione di legge, che si limita ad enunciare, quasi che la mera scansione normativa renda autoevidente il vizio di legittimità del provvedimento impugnato; con il che parte ricorrente non assolve l’onere di specificare e dimostrare la violazione, richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex pluribus, nn. 17570/20, 635/15 e 828/07); e b) nel richiamare le non favorevoli condizioni generali del Paese di provenienza del richiedente, la censura non considera che la vulnerabilità idonea a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (v. n. 9304/19).

2. – Col secondo motivo parte ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 “l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” (così, testualmente, a pag. 6 del ricorso), perchè il Tribunale di Lecce non avrebbe preso in considerazione la situazione di violazione dei diritti umani esistente in (OMISSIS), tenuta, invece, in considerazione in altri casi dallo stesso Tribunale. Con il che, si sarebbe determinata una disparità di giudizio e prodotto un vulnus al principio di certezza del diritto.

2.1. – La censura non ha pregio, anche in tal caso per una duplice ragione. In primis, perchè suppone ancora esistente il controllo sulla sufficienza motivazionale previsto dal testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012; in secondo luogo, in quanto il giudice di merito non è tenuto ad uniformare – proprio per il carattere individualizzato della protezione umanitaria -l’esito decisorio del ricorso in base alla complessiva valutazione che in altri casi abbia dato del Paese di provenienza del richiedente, sicchè è legittimo pervenire a soluzioni differenti a fronte di narrazioni personali per loro stessa natura non sovrapponibili le une alle altre.

3. – Il terzo motivo espone, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione o errata applicazione” del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b). Si sostiene che il ricorrente si sia allontanato dal suo Paese temendo di essere arrestato e, quindi, di essere sottoposto a quei trattamenti inumani e degradanti che le fonti internazionali attribuiscono al (OMISSIS).

3.1. – Il motivo è inammissibile, perchè elude la regio decidendi del provvedimento impugnato. In quest’ultimo la protezione sussidiaria è stata esclusa non già per la ritenuta assenza di ipotetiche situazioni di danno grave, ma per la semplice ragione che il racconto del richiedente appariva contraddittorio, inverosimile e non circostanziato quanto alle ragioni poste a base della scelta di emigrare. Ciò comporta che non è configurabile alcuna violazione della norma denunciata senza prima allegare e dimostrare (cosa che il motivo non opera) l’illegittimità, a stregua delle norme che regolano gli indici di genuinità del racconto (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5), delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.

4. – Il quarto mezzo deduce, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione ed “errata applicazione” del T.U. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 per la mancata considerazione della situazione personale del richiedente; in particolare, l’integrazione sociale in Italia, maturata tramite lo svolgimento di attività lavorative e di volontariato e di formazione linguistica.

4.1. – Il motivo è infondato.

Lo svolgimento di attività lavorativa non costituisce, da sola, una ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sia perchè tale permesso è misura temporanea, laddove lo svolgimento dell’attività lavorativa (in particolare, a tempo indeterminato) legittimerebbe un permesso di soggiorno sine die, sia perchè la vulnerabilità, richiesta dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (v. n. 24679/20).

Nello specifico, il decreto impugnato mostra di aver fatto corretta applicazione di tale principio lì dove, nell’esaminare la dedotta attività lavorativa, è pervenuto alla conclusione che l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato e di tipo stagionale non possa avere attitudine decisiva ai fini della protezione umanitaria.

Privi di decisività, e dunque inidonei a configurare un omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (che pur non essendo esplicitato sembra desumibile dal senso complessivo della censura), l’attività di volontariato e quella di partecipazione a corsi di formazione linguistica, entrambe rivelatrici dell’intenzione di radicarsi, ma non per questo dimostrative d’un radicamento ormai perfetto.

5. – In conclusione, il ricorso va giudicato inammissibile a stregua dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

6. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

7. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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