Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7392 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 07/03/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 07/03/2022), n.7392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18912-2019 proposto da:

G.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI n. 123, presso lo studio dell’avvocato LORENZO DI BACCO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI n.

22, presso lo STUDIO MARESCA & ASSOCIATI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ARTURO MARESCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1811/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/04/2019 R.G.N. 4164/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2022 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MUCCI ROBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LORENZO DI BACCO;

udito l’Avvocato ALESSANDRO GIOVANNINI per delega verbale Avvocato

ARTURO MARESCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, con la pronuncia n. 3043/2017, ha confermato la decisione del giudice di prime cure che aveva respinto l’opposizione proposta da G.P. avverso l’ordinanza con la quale, all’esito della fase sommaria, aveva ritenuto non fondata l’impugnativa del licenziamento intimatole, per assenza ingiustificata dal lavoro, dalla Poste Italiane spa il 15.2.2016.

2. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32607/2018, in accoglimento del primo, del terzo e dell’ultimo motivo del ricorso, ritenendo assorbiti gli altri, ha cassato la pronuncia di seconda istanza demandando alla stessa Corte territoriale, in diversa composizione, un nuovo esame del caso.

3. Riassunto tempestivamente il giudizio dalla G., la Corte di appello di Roma, con la decisione n. 1811/2019, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro a decorrere dalla data del licenziamento e ha condannato la società al risarcimento del danno mediante pagamento di una indennità risarcitoria pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto quantificata in Euro 1897,05 mensili.

4. I giudici di rinvio, premesso che il licenziamento era stato intimato alla G., previa contestazione disciplinare in data 29.1.2016 per assenza ingiustificata dal lavoro non avendo la suddetta lavoratrice preso possesso presso il CMP (Centro Meccanizzazione Postale) di Torino presso cui era stata trasferita a decorrere dall’8.8.2015, hanno rilevato, in estrema sintesi, attenendosi ai principi statuiti in sede di legittimità, che il licenziamento doveva considerarsi illegittimo, con applicazione della tutela indennitaria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6 stante la natura meramente procedurale della violazione, perché l’avere considerato il datore di lavoro tardive le giustificazioni del dipendente, scritte in realtà tempestivamente ma pervenute oltre i cinque giorni, equivaleva in sostanza a negare al lavoratore il suo diritto di difesa e al contraddittorio, con violazione del procedimento sancito dalla L. n. 300 del 1970, art. 7 non dissimile dalla violazione che si verifica quando il lavoratore stesso abbia chiesto invano di essere ascoltato di persona; hanno ritenuto assorbita la questione relativa alla erronea individuazione della fattispecie applicabile (rifiuto del trasferimento anziché assenza ingiustificata) e hanno considerato non applicabile la maggiore tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5; hanno reputato coperto da giudicato interno il profilo della tardività della contestazione e, comunque, non meritevole di accoglimento, nel merito, la relativa eccezione, nonché fondato l’addebito disciplinare.

5. Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione G.P. affidato a sei motivi cui ha resistito con controricorso Poste Italiane spa.

6. La società ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2 e art. 18, comma 1, nn. 4 e 6 per avere la Corte territoriale annullato il licenziamento disciplinare con risoluzione del rapporto di lavoro, in applicazione del comma 6 e non con reintegra nel posto, in applicazione del comma 1 o, in subordine, del comma 4, non considerando che la omissione del contraddittorio in un procedimento disciplinare rendeva la sanzione ed il procedimento stesso illegittimo, come qualificato dalla Corte di legittimità nella sentenza di rimessione n. 32607/18, e non inefficace come disciplinato dal successivo comma 6.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 5, lett. e) del CCNL del 14.4.2011, per avere ritenuto la Corte territoriale che la diversità della contestazione (assenza ingiustificata o rifiuto di trasferimento) comportassero solo il riconoscimento o meno del preavviso, comunque nella fattispecie riconosciuto, e non invece la nullità della sanzione espulsiva con conseguente ripristino del rapporto L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 4.

4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole: a) della violazione degli artt. 132 e 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., per avere ritenuto la Corte territoriale essere intervenuto il giudicato interno sulla contestazione relativa alla tardività della contestazione disciplinare, contrariamente alle risultanze processuali; b) la violazione degli artt. 132 e 112 c.p.c., per il mancato esame delle censure avanzate da essa lavoratrice in ordine alla tardività della contestazione di addebito; c) la violazione dell’art. 54, n. 5, lett. c), del CCNL del 2011, per avere ritenuto la Corte territoriale comunque non tardiva la contestazione di addebito con riguardo alla assenza ingiustificata protrattasi oltre 60 giorni e non invece al rifiuto di trasferimento.

5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 e dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte territoriale affermato, in relazione alla sentenza del Tribunale che aveva rigettato il distinto ricorso avverso il trasferimento, che la ricorrente si era limitata “ad affermare di avere proposto appello avverso la sentenza n. 18508/2016 non fornendo elementi specifici tali da portare questa Corte a disattendere le conclusioni della sentenza menzionata”, contrariamente a quanto diffusamente esposto nel ricorso in riassunzione.

6. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione dell’art. 112 c.p.c.; la nullità dell’accordo sindacale del 14.2.2014 per violazione dell’art. 39 Cost. e L. n. 300 del 1970, art. 14; la violazione dell’art. 38 del CCNL del 2011; la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e comunque l’inapplicabilità alla ricorrente dell’accordo sindacale del 14.2.2014 in quanto tenuta fuori, illegittimamente, dal rapporto di lavoro dal 1998 al 2015; la violazione e falsa applicazione di detto accordo in relazione all’art. 38 del CCNL 2011, punto IV nella parte in cui si afferma che esso si applicava anche alla fattispecie ivi disciplinata del trasferimento della dipendente ultracinquantenne solo per esigenze eccezionali adeguatamente motivate.

7. Con il sesto motivo si obietta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per essere stata disposta la compensazione dei due terzi delle spese di tutti i gradi di giudizio, senza considerare che essa ricorrente era stata totalmente vittoriosa e che pendeva altro giudizio sul trasferimento, da considerarsi procedimento principale, in relazione al quale doveva considerarsi, per il principio di causalità, responsabile la società e alla quale avrebbero dovuto addebitarsi le spese di lite.

8. Il primo motivo è infondato.

9. La Corte territoriale ha applicato, nella fattispecie, correttamente il principio statuito in sede di legittimità secondo cui, in tema di licenziamento disciplinare, la violazione dell’obbligo del datore di lavoro di sentire preventivamente il lavoratore a discolpa, quale presupposto dell’eventuale provvedimento di recesso, integra una violazione della procedura di cui all’art. 7 St. lav. e rende operativa la tutela prevista dal successivo art. 18, comma 6, quale modificato dalla L. n. 92 del 2012 (Cass. n. 25189/2016).

10. Le argomentazioni dei giudici di seconde cure risultano coerenti con il contesto di tutto l’impianto decisorio dell’impugnato provvedimento ove, poi, è stata esclusa l’applicabilità della maggiore tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5.

11. Il secondo motivo è inammissibile per carena di interesse.

12. La questione relativa alla individuazione della fattispecie applicabile (rifiuto del trasferimento anziché assenza ingiustificata) è stata ritenuta assorbita dalla Corte di merito (pag. 6, 4 cpv). In tema di giudizio di cassazione, sono state appunto ritenute inammissibili, per carenza di interesse, le censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì su questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (Cass. n. 22095/2017; Cass. n. 23558/2014; Cass. n. 4804/2007).

13. Il terzo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

14. La Corte territoriale, infatti, oltre ad avere rilevato la formazione del giudicato interno sulla doglianza relativa alla tardività della contestazione disciplinare, in ogni caso, valutandola nel merito, ha ritenuto che il lasso di tempo, inferiore a tre mesi, intercorso tra la consumazione della condotta contestata e quella della contestazione disciplinare fosse giustificabile in ragione della grandezza delle dimensioni della società datrice e della complessità della sua organizzazione, richiamando correttamente i principi in materia statuiti in sede di legittimità.

15. A fronte, pertanto, di queste due rationes decidendi, ciascuna idonea a sorreggere la decisione, deve rilevarsi che le argomentazioni poste a base della seconda sono corrette in punto di diritto, in quanto conformi ai precedenti di legittimità (Cass. n. 20719/2013; Cass. n. 1248/2016), e insindacabili, in punto di fatto, perché adeguatamente e congruamente motivate.

16. Tanto basta per rendere inammissibile ogni censura su di una asserita erronea sussistenza di un giudicato interno, rilevato dalla Corte di merito, atteso che, comunque, la doglianza, anche se fondata, non potrebbe comportare la cassazione della gravata pronuncia.

17. Il quarto ed il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, non sono meritevoli di accoglimento.

18. In primo luogo, va osservato che la Corte territoriale ha valutato il fatto che si assume, dalla ricorrente, omesso e, cioè, la ritenuta legittimità del trasferimento, facendo proprie le conclusioni della sentenza del Tribunale di Roma n. 18508/2016, che si era pronunciata sul punto e che risulta, come specificato dalla società controricorrente, essere stata pure confermata in sede di appello sebbene sia stato proposto ricorso per cassazione, attualmente pendente.

19. Inoltre, la Corte territoriale si è espressa anche sull’avvenuto rispetto della procedura disciplinata dall’Accordo Sindacale del 14.2.2014, eseguita mediante la riammissione della lavoratrice in servizio presso il CMP di Fiumicino, la audizione successiva della dipendente e il susseguente trasferimento di quest’ultima in ragione della mancanza di posti disponibili.

20. In secondo luogo, deve rilevarsi che le problematiche riguardanti, invece, la legittimità del trasferimento, con particolare riguardo alla applicabilità soggettiva del citato Accordo ovvero alla nullità dello stesso, non si palesano decisive, ai fini del presente giudizio concernente il disposto licenziamento, perché è orientamento ormai consolidato quello secondo cui, in ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell’art. 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione, ma dovrà pur sempre essere valutato in relazione alle circostanze concrete, onde verificare se risulti contrario a buona fede (Cass. n. 11048/2018; Cass. n. 21391/2019).

21. Tale valutazione, come detto, è stata svolta dalla Corte di merito con il richiamo alla pronuncia del Tribunale che, nella competente sede, ha ritenuto legittimo il disposto trasferimento.

22. Infine, anche il sesto motivo non può essere accolto.

23. Sono infondate le dedotte violazioni sia sotto il profilo della violazione dell’art. 91 c.p.c. (che sussiste solo se si pongono, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 12963 del 2007) e ciò non è ravvisabile nel caso de quo in cui alcune domande della lavoratrice, riguardanti il riconoscimento di una maggiore tutela per la illegittimità del licenziamento sotto altri profili, sono state respinte) sia sotto quello dell’art. 92 c.p.c., perché la parziale compensazione, disposta in relazione all’esito complessivo della lite, rappresenta esercizio del potere discrezionale, in quanto espressione di una valutazione di opportunità del giudice di merito che non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 30952 del 2017; Cass. n. 24502 del 2017; Cass. n. 17457 del 2006).

24. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

25. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

26. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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