Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7389 del 23/03/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 23/03/2018, (ud. 07/02/2018, dep.23/03/2018),  n. 7389

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., delibera di procedere con motivazione semplificata;

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Alessandria. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione di R.R.G. avverso l’avviso di accertamento IRPEF, per gli anni 2007-2008.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che, infatti, la CTR avrebbe erroneamente sostenuto come, ai fini del superamento della presunzione, sarebbe stato sufficiente provare, per l’anno considerato, la disponibilità sufficiente a giustificare il tenore di vita sinteticamente accertato;

che l’intimato si è costituita con controricorso;

che il ricorso non è fondato;

che questa Corte (Sez. 6-5, n. 1455 del 26/01/2016) ha ritenuto che nessun’altra prova debba dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi”, senza la dimostrazione di un onere aggiuntivo;

che, d’altronde, questa Corte (Sez. 5, n. 8995 del 18/4/2014) ha poi ulteriormente chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, specificando che “a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”;

che, in sostanza, la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati;

che, nella specie tale prova, come emerge dalla sentenza della CTR, è stata fornita dal contribuente e congruamente valutata dai giudici di appello, attraverso la produzione dell’estratto conto bancario, mentre la prova della durata del possesso è data per pacifica dalla sentenza di secondo grado, senza che la circostanza sia stata oggetto di impugnazione da parte dell’Agenzia;

che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore del controricorrente, in Euro 3.000, oltre spese forfettarie in misura del 15%.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2018

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