Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7388 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7388

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6601-2006 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO

23, presso lo studio dell’avvocato DAMZIA MARIA ROSARIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CAMAIONI LITA CATERINA, giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 304/2005 della GORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/11/2005 R.G.N. 891/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito l’Avvocato LUIGI FIORILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al giudice del lavoro di Bologna, G.A. esponeva di aver concluso in data 18.12.96 con Poste Italiane s.p.a.

un contratto a termine per il periodo 24.12.96-31.10.97 e che in data 20.1.97 gli era stato comunicato per iscritto dal datore che il termine doveva ritenersi fissato al 31.01.97 e non al 31.10.97.

Rilevato, inoltre, che la scheda contrattuale era mancante della sottoscrizione del datore di lavoro, chiedeva che fosse dichiarata la nullità del contratto a termine in quanto privo della forma scritta, con instaurazione ab initio di un contratto a tempo indeterminato nonchè, in subordine, che fosse dichiarato che il contratto era affetto da errore non riconoscibile e che egli avrebbe dovuto rimanere in servizio fino al 31.10.97.

Accolta la domanda principale, proponeva appello Poste Italiane sostenendo la non trasformabilità di un contratto a termine stipulato prima del 30.6.97 in contratto a tempo indeterminato ostandovi il D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9, comma 21, conv.

dalla L. n. 608 del 1996 e che, in ogni caso, l’indicazione della scadenza del contratto al 31.10.97 era frutto di un errore materiale facilmente riconoscibile.

La Corte d’appello di Bologna (sentenza 5.4-12.11.05) riteneva che, essendo stipulato prima del 30.6.97, il contratto a quo non potesse essere trasformato in contratto a tempo indeterminato ostandovi il D.L. n. 510 del 1996, art. 9, comma 21 a nulla rilevando la mancanza dell’atto scritto, atteso che detta norma vale a rendere inoperanti le disposizioni della L. n. 230 del 1962 per tutti i contratti a termine stipulati prima della data suddetta.

Quanto alla domanda subordinata la Corte di merito riteneva che l’errore fosse essenziale, in quanto coincidente con la data di scadenza del termine, e riconoscibile dalla parte che non l’aveva commesso, posto che nel contratto si precisava che l’assunzione a termine veniva effettuata per far fronte all’incremento di lavoro natalizio.

La Corte pertanto accoglieva l’impugnazione e rigettava le domande proposte dal G..

Quest’ultimo contro la sentenza di appello propone ricorso per cassazione, cui resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non è fondato.

Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9, comma 21 conv. dalla L. n. 608 del 1996, e della L. n. 230 del 1962, nonchè carenza di motivazione, sostenendo che nel caso di specie non ricorrerebbe l’ipotesi prevista da detto art. 9. Non ricorreva, infatti, l’ipotesi di un contratto a tempo determinato che, per la carenza degli elementi previsti dalla legge, potesse dare origine alla conversione in rapporto a tempo indeterminato, atteso che, essendo il documento di assunzione era privo della sottoscrizione del datore di lavoro, era venuto a mancare l’atto scritto richiesto ad substantiam dalla legge, di modo che un contratto a termine mai era venuto ad esistenza e fin dall’inizio era sorto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

La Corte di merito perverrebbe alla conclusione di diritto sopra indicata partendo da una premessa inesistente, ovvero la stipula di un contratto a termine, atteso che mai era venuto ad esistenza un contratto avente tale conformazione giuridica.

In ogni caso, il giudice sarebbe incorso in una contraddizione insanabile, in quanto, pur affermando la mancanza dell’atto scritto (e quindi l’inesistenza del contratto a termine), avrebbe poi ricompreso il contratto tra quelli regolati da detto art. 9 (così affermando l’esistenza di un contratto a termine).

Con il secondo motivo è dedotta violazione degli artt. 1428 e 1431 c.c. e carenza di motivazione circa l’essenzialità e la riconoscibilità dell’errore. Il giudice di merito avrebbe adottato argomentazioni insufficienti nel rigettare la domanda subordinata di accertamento del recesso ante tempus di Poste Italiane s.p.a., avendo sostenuto a supporto della tesi che l’errore fosse essenziale e riconoscibile da parte di colui che non l’aveva commesso, non essendo spiegato il motivo per cui il dipendente non dovesse fare affidamento su un contratto che indicava una scadenza non incompatibile con l’aggravio lavorativo formatosi in un arco di tempo quale quello natalizio, da smaltire nei mesi successivi.

Così sintetizzate le censure mosse alla pronunzia di merito, deve innanzitutto rilevarsi l’infondatezza del presupposto da cui muove il primo motivo di parte ricorrente, e cioè che nel caso di specie non sia mai venuto ad esistenza un contratto di lavoro a termine, in quanto, non risultando il documento contenente la stipula del contratto sottoscritto dal rappresentante di Poste Italiane spa, il rapporto di lavoro sarebbe nato ab initio a tempo indeterminato.

E’ scontato che tra le parti fosse intercorso un accordo negoziale avente ad oggetto la stipulazione di un contratto di lavoro a termine, tanto che lo stesso ricorrente esordisce nel ricorso per cassazione sostenendo “di aver sottoscritto, in data (OMISSIS) con l’Ente Poste Italiane … un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato”.

E’, inoltre, certo che in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, comma 3, sul contratto di lavoro a tempo determinato per il quale “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto”, la forma scritta per l’apposizione del patto di prova al contratto di lavoro subordinato è imposta ad substantiam con la conseguenza che la violazione del relativo onere comporta nullità assoluta del patto stesso, fermo restando il rapporto negoziale.

Nel caso di specie dunque, il contratto – voluto dalle parti con l’apposizione del termine – non trovò attuazione per la mancanza di un requisito di legge, la cui mancanza non rese illecita l’apposizione del termine, ma ne escluse solo l’efficacia. E’, dunque, inesatta sul piano giuridico l’affermazione che fin dall’inizio fosse stato instaurato un contratto a tempo indeterminato, in quanto sul piano concreto la natura stessa del patto intercorso tra le parti lo escludeva.

La conseguenza giuridica di detta inefficacia (e cioè la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato) è impedita dal D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9, comma 21, (conv.

dalla L. 28 novembre 1996, n. 608), per il quale “le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall’Ente Poste Italiane, a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30.6.97, non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e scadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto”.

Tale norma ha portata generale non può essere limitata, secondo l’assunto di parte ricorrente, alle sole ipotesi che il rapporto di lavoro concretamente attuato non sia riconducibile ad una delle fattispecie legali consentite dalla legge o alla carenza degli elementi qualificanti del termine dalla stessa previsti. La formulazione testuale, infatti, non consente eccezioni e assegna alla norma stessa natura derogatoria del regime di diritto comune, giustificata da esigenze peculiari nella fase di transizione del servizio postale dal regime pubblicistico a quello privatistico (come riconosciuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 419 del 2000), operante per tutti i contratti stipulati nel periodo di riferimento (in questo senso è la giurisprudenza di questa Corte, v.

Cass. 21.6.06 n. 14303, 31.10.01 n. 13515,19.3.01 n. 3923).

Rigettato il primo motivo, deve essere ritenuto infondato anche il secondo, con cui parte ricorrente lamenta l’incoerenza della motivazione a proposito del rigetto anche della domanda subordinata di accertamento dell’illegittimità del recesso ante tempus dal contratto a termine (che assume stipulato per il periodo 24.12.96- 31.10.97).

Per come ricostruita la fattispecie concreta, il giudice di merito ha ritenuto che nella specie il contenuto del contratto, come appariva stipulato, non corrispondesse alla comune, reale volontà delle parti, essendo stata quest’ultima erroneamente trascritta nel documento, di cui era stato autore il datore di lavoro. In tal modo il giudice ha risposto compiutamente alla domanda subordinata a lui formulata, che era nel senso di fissare la data di scadenza del contratto secondo quanto originariamente indicato nell’atto scritto.

La risposta è data in termini motivazionali corretti, dato che – a prescindere dai richiami al carattere essenziale dell’errore ed alla sua riconoscibilità, che qui non rilevano – egli ha accertato in fatto che la reale durata del contratto voluta dalle parti era 24.12.96-31.01.97 e non quella più lunga reclamata dal dipendente, argomentando che l’esistenza dell’errore materiale nel documento (ove era indicata come scadenza del contratto la data del 31.10.97, invece che quella effettiva del 31.01.97) era evidente (e pienamente riconoscibile dal dipendente, contraente non autore del documento in questione).

Appare, infatti, congrua e logicamente articolata l’affermazione del giudice, che non avrebbe avuto senso l’indicazione della data di scadenza più lontana a fronte della motivazione dell’assunzione (avvenuta il (OMISSIS) a decorrere dal 24.12.96), di far dover fronte alle “punte di più intensa attività (super lavoro natalizio)”.

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Considerato che la controversia trova origine da comportamenti ascrivibili al datore di lavoro, appare opportuno procedere anche alla compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese tra le parti.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

 

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