Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7385 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 03/02/2010, dep. 26/03/2010), n.7385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30586-2006 proposto da:

FALCON SUD S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato NUZZACI FABIO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI

21, presso lo studio dell’avvocato STUDIO LEGALE TORRISI –

VAGLIASINDI, rappresentato e difeso dall’avvocato RISO FRANCESCO,

giusta procura speciale atto notar NATALIA D’ORO di Catania

dell’11/12/2006, rep. 1770;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 508/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 02/08/2006 R.G.N. 633/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato RISO FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Falcon sud srl chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Catania, che ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa città, che aveva accolto l’impugnativa di licenziamento proposta da R.F. e condannato la società datrice di lavoro a reintegrarlo nel posto di lavoro, con le ulteriori conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Il ricorso è articolato in un unico motivo, che si conclude con il seguente quesito: “la Corte ha statuito che anche in presenza di risposta scritta del lavoratore alla contestazione disciplinare del datore, quest’ultimo ha l’obbligo di procedere all’audizione del lavoratore se quest’ultimo lo chiede espressamente, pena l’illegittimità del licenziamento. Questa difesa ritiene che nel caso in cui il lavoratore fornisca per iscritto le proprie difese, anche generiche, e chieda di essere sentito personalmente, non sussiste l’obbligo assoluto da parte del datore di procedere alla audizione e pertanto la mancata audizione non comporta l’illegittimità del licenziamento. Si domanda quale delle due tesi è conforme al dettato della L. n. 300 del 1970, art. 7”.

Il R. ha depositato controricorso con il quale chiede il rigetto dell’impugnazione.

Il ricorso non è fondato.

La L. n. 300 del 1970, art. 7 nel disciplinare la procedura per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari, stabilisce, al comma 2, quanto segue: “Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa”.

L’audizione a difesa pertanto è una delle due condizioni (l’altra è la contestazione degli addebiti) in mancanza delle quali la sanzione “non può” essere inflitta.

Può discutersi della necessità della audizione qualora il lavoratore risponda per iscritto alla contestazione degli addebiti fornendo in tal modo le sue difese, anche se invero il termine “essere sentito” indica un’audizione orale.

Certo è però che, quando il lavoratore nella sua tempestiva risposta scritta, generica (come nel casso in esame) o particolareggiata che essa sia, chiede di essere sentito, l’audizione non può essere pretermessa (cfr., ampiam Cass. 9 ottobre 2007, n. 21066).

La Corte d’appello ha rilevato che, dopo la contestazione degli addebiti pervenutagli il 30 novembre 2002, il lavoratore ha espressamente chiesto la propria audizione con lettera recapitata via fax in data (OMISSIS).

In presenza di tale richiesta tempestiva, cui la datrice di lavoro non ha dato corso, la sanzione disciplinare è nulla per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2.

Il ricorso per cassazione pertanto deve essere respinto. Consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida 30,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali, distraendole all’avv.to R.F. procuratore dell’intimato, dichiaratosi anticipatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

 

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