Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7385 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. III, 16/03/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 16/03/2021), n.7385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 34585-2018 proposto da:

Q.S., e D.N.F.G., in proprio e

quali genitori titolari della responsabilità genitoriale nei

confronti di Q.M.L., rappresentati e difesi dall’AVV.

GIORDANO DEL FRANCO;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), nella quale è confluita la titolarità dei rapporti

attivi e passivi facenti capo all'(OMISSIS)”, in persona del suo

rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dal PROF. AVV.

PAOLO VINCI, ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo Studio

dell’AVV. GABRIELE FEDERCOLI, via Trionfale n. 5637;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4108/2018 della Corte d’Appello di Milano,

emessa il 27 giugno 2018, pubblicata il 14 settembre 2018,

notificata telematicamente il 25 settembre 2018;

Udita la relazione nella Camera di Consiglio del 13 ottobre 2020 del

Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Sia il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 3120/2016, sia la Corte d’Appello di Milano, con la pronuncia n. 4108/2018, oggetto dell’odierno ricorso, respingevano la richiesta dei ricorrenti volta ad ottenere la condanna dell'(OMISSIS) al pagamento dei danni derivanti dalla nascita di Q.M.L. con grave patologia cromosomica accompagnata da deficit immunologico, non diagnosticata dal nosocomio: danni rilevanti tanto sotto il profilo della violazione del diritto all’autodeterminazione quanto sotto quello del danno patito dalla neonata per il ritardo con cui erano state diagnosticate le patologie da cui era affetta: ritardo che ne aveva aggravato la condizione patologica.

In entrambi i casi i Giudici di merito escludevano che la gestante avesse mai manifestato la volontà di ricorrere all’interruzione della gravidanza, ove edotta della ricorrenza delle gravi patologie da cui risultava affetto il feto, e che avesse provato la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’interruzione volontaria della gravidanza e negavano che l’omessa informazione in ordine alla coartazione aortica e la conseguente omessa diagnosi prenatale del difetto congenito della bambina avessero cagionato il danno neurologico dalla medesima patito, in considerazione dell’assenza di nesso causale tra la malformazione cardiaca e il ritardo psicomotorio e la intempestività dell’intervento chirurgico.

La Corte d’Appello era giunta a tali conclusioni, pur rilevando che, come denunciato dagli appellanti col primo motivo di gravame, il Tribunale di Milano, per escludere la lesione del diritto all’autodeterminazione procreativa, non aveva preso in considerazione l’omessa diagnosi della patologia cromosomica;

richiamando la giurisprudenza di questa Corte osservava che spettava alla gestante provare che, ricorrendone le condizioni di legge, se fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale, avrebbe fatto ricorso all’interruzione della gravidanza; mentre nel caso di specie, aderendo ad un orientamento giurisprudenziale di segno opposto, poi superato dalla decisione, a Sezioni Unite, n. 25767/2015, la richiesta risarcitoria era basata unicamente sull’impossibilità di interrompere la gravidanza, perchè i sanitari, che pure avrebbero potuto diagnosticare la patologia cromosomica e quella cardiaca, omisero di farlo nonchè sulla supposizione che rispondesse ad un criterio di regolarità casale che la donna, ove tempestivamente ed adeguatamente informata, avrebbe preferito non portare avanti la gravidanza. D.N.G.F. non aveva prodotto alcun elemento concreto e più specifico indicativo di quale sarebbe stata la sua volontà (ad esempio, non aveva addotto alcuna richiesta di un consulto medico per conoscere le condizioni di salute del feto, nè aveva fatto emergere altre indirette manifestazioni della propria propensione abortiva), si era limitata ad insistere sulla situazione di difficoltà e di stress emotivo, determinato dall’impreparazione nei confronti del trauma consistente nella nascita della bambina affetta da così gravi patologie, causa dell’insorgenza di gravi disturbi psichici.

La Corte d’Appello escludeva anche che la tardività della diagnosi avesse determinato l’insorgere di maggiori danni rispetto a quelli riconducibili alla malformazione cardiaca in sè, perchè, come rilevato dal CTU, la durata dell’invalidità temporanea conseguente alle cure ricevute da Q.M.L. era direttamente riconducibile alle conseguenze degli interventi necessari per correggere la malformazione. Tale periodo sarebbe stato lo stesso anche se la diagnosi fosse stata corretta e tempestiva.

Negava anche la ricorrenza del diritto di Q.M.L. ad essere risarcita del danno derivante dalla propria nascita non desiderata in quanto affetta da patologia cromosomica non comunicata alla madre che così non aveva potuto esercitare il diritto di adottare una scelta abortiva, perchè tale asserito diritto, quello di non nascere se non sani, non trova accoglimento nel nostro sistema ordinamentale.

Affidandone le sorti a tre motivi, ribaditi con memoria, i ricorrenti propongono ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 4108/2018.

Resiste con controricorso l'(OMISSIS), nella quale è confluita la titolarità dei rapporti attivi e passivi facenti capo all'(OMISSIS).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056,2697,2727,2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Premesso – al fine di superare l’eventuale giudizio di inammissibilità del motivo ricondotto alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per l’operare della preclusione processuale di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5 – che la decisione di prime cure si era basata su presupposti di fatto diversi da quelli che avevano costituito la base di riferimento oggettivo della pronuncia di secondo grado, i ricorrenti lamentano la negazione del risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione procreativa da parte del giudice a quo, giunto a tale conclusione senza prendere in considerazione le precarie condizioni psico-fisiche della gestante, che già presentava elementi di fragilità personologica, attestate da una consulenza psichiatrica che riscontrava un danno biologico fino al 36-40%, la metà del quale attribuibile ad una patologia insorta dopo e a causa della nascita della figlia malata.

1.1. Il motivo non può essere accolto.

Pur non essendo necessario che già nella gravidanza o nel parto la malformazione o anomalia del feto dia luogo, secondo i casi, ad un serio o grave pericolo per la salute, potendo lo stesso essere anche successivo alla nascita e dipendente quindi esclusivamente dalla maternità, lo è altrettanto che, trattandosi di valutazione prognostica, essa vada effettuata in termini di probabilità, secondo le nozioni della scienza medica, ma non di certezza (che non può che riferirsi ad un fatto attuale o già verificatosi), con giudizio da effettuarsi ex ante” (Cass. 29/07/2004, n. 14488). Nel caso di specie, invece, ricorre solo la prova di una mera successione temporale di fatti; il che non poteva permettere alla Corte d’Appello di ritenere dimostrato il nesso causale tra l’omessa informazione circa le malformazioni fetali e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia psichica della gestante. Una statuizione di questo contenuto sarebbe risultata contrastante con la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui la correlazione cronologica tra eventi – post hoc proter hoc – non implica causazione, giacchè un evento non può dirsi causato da un altro solo perchè lo segue (Cass. 15/10/2019, n. 25936); al contrario, in tema di causalità omissiva, la giurisprudenza di legittimità esclude che possa accertarsi il nesso di causalità ipotetica se non attraverso l’enunciato controfattuale che pone al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato (Cass. 11/11/2020, n. 25288).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti imputano alla sentenza gravata la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056,2697,2727,2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Essi deducono che la Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare che la violazione del consenso informato in capo ad una donna in gravidanza incide non solo sulle sue scelte abortive, ma può avere anche altre conseguenza, in quanto la madre, se informata, avrebbe potuto scegliere di non abortire, ma avrebbe avuto anche la possibilità di prepararsi psicologicamente e materialmente alla nascita di un bambino con problemi, necessitante di accudimento, dell’elaborazione del fatto da parte dei genitori, dell’accettazione e predisposizione di una diversa organizzazione di vita ed avrebbe potuto programmare interventi chirurgici o cure tempestive per eliminare il problema o attenuarne le conseguenze.

2.1. Il motivo merita accoglimento nei termini di seguito precisati.

Nonostante una certa disorganicità argomentativa – i ricorrenti, a p. 14, lamentano di avere subito un danno economico consistito nelle spese di mantenimento della persona nata con malformazioni, pari al differenziale tra la spesa necessaria per il mantenimento di un figlio sano e la spesa per il mantenimento di un figlio affetto da gravi patologie; poi, sempre partendo dall’assunto che fosse incontestato l’inadempimento, aggiungono, a p. 16, la richiesta risarcitoria avente ad oggetto la lesione del loro diritto di prepararsi psicologicamente e materialmente alla nascita del figlio e a p. 17 quella derivante dalla radicale trasformazione peggiorativa della loro vita; a p. 18 lamentano di non essersi potuti attivare per eliminare il danno alla salute o limitarne le conseguenze (nonostante sia emerso chiaramente in giudizio che i danni cromosomici non fossero in alcun emendabili e che i danni derivanti dalla patologia cardiaca furono affrontati con l’intervento eseguito presso l'(OMISSIS)); a p. 20 deducono, invece, che sarebbero stati privati della facoltà di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento, di chiedere il parere di altri sanitari, di rivolgersi ad altri sanitari e ad altra struttura, di rifiutare l’intervento e/o la terapia, ritenendo consustanzialmente insita nella domanda di risarcimento dei danni dalla nascita la richiesta dei corrispondenti pregiudizi – è la stessa Corte territoriale, almeno con riferimento al danno derivante dalla impreparazione dei genitori ad affrontare il trauma della nascita di una bambina così gravemente malata, a dare atto, a p. 8, che nell’atto di citazione era stata allegata ed argomentata “la situazione di grave difficoltà dei neogenitori del tutto impreparati ad affrontare una situazione del genere e che vivono da allora una condizione di fortissimo stress che ha stravolto le loro vite”, ribadendo, tuttavia, l’assenza dei requisiti per accogliere la richiesta risarcitoria, stante la mancata dimostrazione della ricorrenza dei presupposti per ricorrere all’interruzione della gravidanza. Ne consegue che il pregiudizio consistente nell’impreparazione dei genitori ad affrontare il trauma della nascita della figlia con grave disabilità risulta allegato e tale allegazione non è mai stata contestata alla controricorrente.

Rigettando tale richiesta risarcitoria la Corte d’Appello si è posta non in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ove il danneggiato abbia allegato di aver subito un pregiudizio causalmente legato ex art. 1223 c.c. con l’omessa informazione (cfr. Cass. 02/02/2010, n. 2354), spetta al giudice accertare se il danno invocato abbia superato la soglia della serietà/gravità, secondo l’insegnamento di Sezioni unite nn. 26972-26975 dell’11/11/2008 – con le quali è stato affermato che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel “bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico (…) non essendo predicabile un danno in re ipsa, presupposto comunque indispensabile per l’apprezzamento e la conseguente risarcibilità di un pregiudizio discendente dalla lesione del diritto del paziente ad autodeterminarsi è che, appunto, l’intervento si ponga in correlazione causale con le sofferenze patite che non consistano in meri disagi e fastidi”… – e in caso di esito positivo dar seguito alla richiesta risarcitoria.

Quel che deve ribadirsi è che tutte le volte in cui – in base ad un giudizio comparativo tra la situazione verificatasi in seguito all’omessa informazione e quella che si sarebbe avuta se la gestante fosse stata posta nelle condizioni di autodeterminarsi – non sia dato scorgere alcun tipo di pregiudizio al di là della mera privazione del diritto di scegliere fine a se stessa e/o la lesione subita non possa di per sè raggiungere un sufficiente livello di offensività non è possibile dar luogo ad una tutela risarcitoria. Ove, ex adverso, ed è questo il caso, il diritto all’autodeterminazione procreativa risulti il presupposto per il compimento di una pluralità di altre possibili scelte che l’omessa informazione ha impedito venissero assunte, cioè costituisca l’antecedente causale di scelte o di mancate scelte foriere di conseguenze pregiudizievoli e la lesione lamentata incida il diritto oltre una soglia minima, cagionando un nocumento connotato dal requisito della gravità – sicchè sia da escludersi che l’offesa della mera autonomia decisionale sia da ascriversi al novero di quei pregiudizi che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’ordinamento impone a ciascun soggetto di sopportare in nome del contemperamento tra il principio di solidarietà nei riguardi della vittima e quello di tolleranza verso illeciti di trascurabile rilievo – non vi è ragione per non accogliere la istanza di tutela risarcitoria.

Il ragionamento della Corte d’Appello, invece, si dimostra errato, perchè ha messo in relazione l’omessa informazione esclusivamente con l’interruzione della gravidanza, non tenendo conto della giurisprudenza di questa Corte che da tempo ha dato dimostrazione di considerare la consulenza diagnostica presupposto causale di una serie di conseguenze non circoscritte alla dimensione terapeutica in senso stretto, rimarcando il fatto che la richiesta di una diagnosi prenatale riveste caratteri plurifunzionali. Allora, la conoscenza delle condizioni di salute del feto si pone quale antecedente causale di una serie di altre scelte di natura esistenziale, familiare, e non solo terapeutica (ad esigenze terapeutiche risponde la interruzione della gravidanza). Del resto, l’omessa informazione è solo in poche occasioni premessa causale della lesione del diritto alla salute: ad esempio, nel caso in cui l’insuccesso della prestazione medica derivi dalla mancata acquisizione di informazioni rilevanti circa la salute del paziente, quali la presenza di un’allergia, la sottoposizione ad una specifica terapia farmacologica ignorate dal medico, che, se possedute, avrebbero orientato altrimenti le decisioni terapeutiche, risparmiando sofferenze e dolore alla vittima (Cass. 25/06/2019 n. 16892). E’ innegabile, invece, che la sua lesione dia luogo ad un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile, ai sensi dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (Cass. 11/11/2019, n. 28985; Cass. 22/08/2018, n. 20885; Cass. 15/05/2018, n. 11749), purchè il danno lamentato sia causalmente collegato all’omessa informazione e varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni delineati dalle ricordate sentenze di San Martino. Ciò che si richiede è che chi si assume danneggiato alleghi (Cass. 19/07/2018, n. 19199) che l’inadempimento dell’obbligo di informazione è in relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse giuridico che si assume leso, posto che “il diritto di autodeterminazione si impregna di ciò che protegge ed il senso che la sua violazione acquista sul piano del danno è pari al senso che il diritto assume per colui che ne fa esercizio”. Deve ricordarsi, infatti, che al fine di ottenere tutela risarcitoria, benchè essa sia la forma minima di tutela di un interesse giuridicamente rilevante anche costituzionalmente, non basta il verificarsi di un comportamento antigiuridico, giacchè non si risponde di mere condotte pregiudizievoli, ma sempre e solo di eventi causativi di un danno e che lo scopo del risarcimento è sempre quello di ristorare una perdita, anche se tale termine si presta ad abbracciare ogni forma di privazione, quale che sia il bene o il vantaggio perduto. Pertanto, una volta dimostrata da parte dei ricorrenti la ricorrenza della lesione del diritto di prepararsi al trauma della nascita di una figlia affetta da gravi patologie, causalmente imputabile all’inadempimento informativo, e, dunque, assunta la lesione di un interesse che aveva la duplice caratteristica di essere esterno alla prestazione diagnostica in senso stretto, ma interno al perimetro degli interessi direttamente soddisfacibili con la messa a profitto della prestazione medesima, rimasta poi inadempiuta, la Corte d’appello avrebbe dovuto consentire loro l’accesso alla tutela risarcitoria.

Resta assorbita la questione relativa alla propagazione soggettiva dei suddetti danni. Nondimeno, rilevata la potenziale idoneità lesiva dell’omessa informazione, spetterà alla sentenza definitiva stabilire se in concreto tale danno vi sia stato, chi lo abbia subito e quale ne sia stata l’entità, rilevando sul piano generale che la tutela risarcitoria anche del padre è stata ormai affermata dalla pronuncia n. 20320 del 20/10/2005 di questa Corte.

3. Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056,2697,2727,2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

La sentenza gravata non avrebbe tenuto in alcuna considerazione i rilievi contenuti nelle note critiche formulate dai consulenti tecnici di parte concernenti elementi non adeguatamente valutati dal CTU nominato in primo grado che aveva ritenuto che l’accertata omessa diagnosi di coartazione aortica non avesse determinato un danno fisico ed organico ad essa riferibile ed avrebbe omesso di motivare le ragioni della sua decisione di escludere i danni derivanti dall’omessa diagnosi cromosomica consistenti nell’aggravamento delle condizioni di salute della neonata e dal suo trasferimento d’urgenza all'(OMISSIS) per essere sottoposto ad un trattamento chirurgico d’urgenza.

I ricorrenti sostengono che i sanitari, non avendo diagnosticato per tempo la malformazione cardiaca del feto, furono colti assolutamente impreparati ad affrontare la situazione venutasi a determinare per il rapido deterioramento delle condizioni della neonata, cosicchè essendo la bambina nata in una struttura ospedaliera non attrezzata per eseguire immediatamente il trattamento cardio-chirurgico furono costretti a trasferirla d’urgenza in grave pericolo di vita in una struttura di eccellenza e che i loro consulenti avevano sottolineato l’importanza di una corretta diagnosi prenatale e l’importanza di programmare tempestivamente il trattamento da eseguire immediatamente alla nascita, in considerazione del fatto che la neonata durante il trasporto all'(OMISSIS) per essere operata aveva manifestato delle anomalie del sistema nervoso riferibili non al deficit cromosomico, ma alla condizione di desaturazione iniziale in seconda giornata.

Va respinta l’eccezione di inammissibilità del motivo per la novità delle questioni sottoposte allo scrutinio di questa Corte sollevata dalla controricorrente (p. 13), perchè la censura relativa all’aggravamento delle condizioni di salute della bambina a causa della tardiva diagnosi della patologia cardiaca e del conseguente ritardo nelle cure era stata oggetto di uno specifico motivo di appello che la Corte territoriale aveva rigettato, aderendo alle conclusioni del CTU, in quanto ritenute scevre da vizi logici apparenti e non validamente censurate dalla parte appellante, avvalsasi di argomenti non sufficientemente e validamente sviluppati (p. 9 della sentenza).

Al di là dell’omessa indicazione come paradigma normativo della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, l’iter argomentativo del motivo si sviluppa partendo dal fatto che la Corte d’Appello avrebbe enunciato una motivazione che, per un verso, avrebbe omesso completamente di esaminare le critiche che erano state rivolte alla CTU espletata in primo grado dai consulenti di parte dei ricorrenti e, per altro verso, a prescindere da tale profilo, risulterebbe nella sua stessa consistenza formale priva della dignità di motivazione.

3.1. Il motivo non può essere accolto.

Delle due relazioni tecniche di parte che avrebbero confutato le conclusioni della CTU, espletata in primo grado, e di cui il giudice non avrebbe tenuto conto i ricorrenti non riportano neppure gli elementi essenziali – la parte non può limitarsi a censure apodittiche di erroneità o di inadeguatezza della motivazione o di omesso approfondimento di determinati temi d’indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione, ma, per soddisfare le prescrizioni dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è tenuta ad indicare, riportandole per esteso, le pertinenti parti della consulenza ritenute erroneamente disattese, ed a svolgere concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, condizione di ammissibilità del motivo: Cass. 30/08/2004, n. 17369) – e perciò non sono in grado di superare quanto affermato dalla Corte d’Appello e cioè che gli accertamenti svolti dal consulente non erano stati validamente censurati e che il motivo di appello formulato proprio allo scopo di confutare gli esiti della CTU era sostenuto con argomenti non sufficientemente e validamente sviluppati (p. 9 della sentenza). Per quanto in maniera concisa la Corte d’Appello dà conto di aver preso in considerazione le critiche mosse alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e delle ragioni per cui non ha attribuito loro idonea forza confutativa: il che è sufficiente ad escludere che si sia invece limitato a far proprie le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio incorrendo nel vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, giacchè il potere del giudice di apprezzare il fatto non equivale ad affermare che egli possa farlo immotivatamente e non lo esime, in presenza delle riferite contestazioni, dalla spiegazione delle ragioni per le quali sia addivenuto ad una conclusione anzichè ad un’altra (Cass. 01/03/2007, n. 4797; Cass. 21/03/2011, n. 6399; Cass. 21/11/2016 n. 23637; Cass. 11/06/2018 15147).

In aggiunta, il giudice a quo, a p. 9, ha soddisfatto l’onere motivazionale su di lui gravante, affermando di condividere le conclusioni del CTU, illustrandone per sommi capi l’elaborato scientifico, in modo da far emergere le ragioni sulle quali riposava il relativo giudizio, concludendo, poi, che l’omessa diagnosi della malformazione cardiaca non aveva provocato maggiori danni rispetto a quelli direttamente riconducibili alla malformazione cardiaca e che la durata dell’invalidità conseguente all’intervento sarebbe stata la stessa anche se la diagnosi fosse intervenuta tempestivamente.

Facendo applicazione della giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi che la parte della motivazione che rinvia, riportandole, alle conclusioni della CTU non è viziata sotto il profilo motivazionale e vale a rendere adeguata motivazione, estrinsecandosi in argomentazioni idonee a rivelare la ratio decidendi e a lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. 29/11/2011, n. 24144).

4. E’ accolto il secondo motivo di ricorso; è infondato il primo; è inammissibile il terzo. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto e la controversia rinviata alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo. Cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, dalla Sezione Terza civile della Corte di Cassazione, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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