Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7376 del 17/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 17/03/2020), n.7376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23096/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è

domiciliata, in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

CONTRO

I. S.p.a, in persona del legale rappresentante p.t.;

-parte intimata-

avverso la sentenza n. 36/1/2012 della Commissione tributaria

regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata il 13 marzo 2012 e

non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 18 dicembre

2019 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle entrate ricorre con un motivo per l’annullamento della sentenza n. 36/1/2012 della Commissione tributaria regionale del Friuli – Venezia Giulia, depositata il 13 marzo 2012 e non notificata, che ha rigettato l’Appello dell’Ufficio e l’appello incidentale della contribuente, confermando la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Gorizia, in controversia relativa alla impugnazione di un atto di contestazione emesso dall’Agenzia delle entrate di Gorizia, che aveva irrogato una sanzione pari al 10% (ammontante a 30.989,00 Euro) dei costi per Euro 309.685,00, relativi ad operazioni intercorse con fornitori domiciliati ad Hong Kong, paese a regime fiscale privilegiato di cui al D.M. 23 gennaio 2002, per la mancata indicazione in modalità separata nella dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2006;

secondo la società contribuente, l’omessa separata indicazione dei costi risultava emendata dalla presentazione, in data 16/11/2009, della dichiarazione integrativa, ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, avvenuta prima della notifica dell’atto di contestazione, ma dopo la notifica del p.v.c., avvenuta in data 9/9/2009, a conclusione dell’attività ispettiva e di verifica;

inoltre, la contribuente riteneva che, siccome i costi in questione erano relativi al 2006, non potesse trovare applicazione retroattiva la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis, in ossequio ai principi di legalità e del favor rei;

con la sentenza impugnata, la C.t.r. del Friuli – Venezia Giulia affermava che alcuna distinzione tra le sanzioni, a seconda che vi sia stato o meno l’inizio di accessi, ispezioni o verifiche, sembra desumersi dalla norma di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 303, che, in vigore dall’1/1/2007, detta un regime transitorio per i casi di violazione commessi anteriormente a tale data;

secondo i giudici di appello, la norma citata letteralmente stabilisce che “resta ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1” e che la considerazione dell’espressa normativa transitoria di cui al richiamato L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 303, imponeva il rigetto dell’appello incidentale del contribuente;

a seguito del ricorso la contribuente è rimasta intimata;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 18 dicembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1, u.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, commi 1 e 3-bis e del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n, 3);

la ricorrente evidenzia che i Giudici del gravame, confermando la decisione di primo grado, hanno ritenuto applicabile al caso di specie la fattispecie sanzionatoria di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, in violazione del disposto di cui al citato comma 303, il quale prevede l’applicazione della nuova sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3-bis, semprechè il contribuente fornisca la prova richiesta dal primo periodo dell’art. 110, comma 11 del T.U.I.R.;

secondo l’Agenzia delle entrate non vi sarebbe spazio per interpretazioni diverse, data la lettera della norma e anche il principio del favor rei;

al riguardo la ricorrente afferma che, mentre prima della modifica normativa il mancato assolvimento dell’obbligo dichiarativo di separata indicazione dei costi black list comportava, quale sanzione impropria, l’indeducibilità degli stessi, successivamente all’entrata in vigore della Legge Finanziaria del 2007 l’omissione comporta una sanzione determinata in misura percentuale rispetto ai costi, con una soglia massima di 50.00,00 Euro, di tutta evidenza di maggior favore rispetto alla precedente disciplina;

inoltre, la ricorrente rileva che sin dal primo grado di giudizio si è discusso sull’applicazione retroattiva della Legge Finanziaria 2007, senza porre attenzione sul fatto che la violazione di cui si controverte concerne un obbligo dichiarativo relativo al periodo di imposta 2006 ed è stata compiuta nel 2007;

sottolinea, infine, che già nella Risoluzione n. 12/2006 l’Amministrazione Finanziaria aveva precisato la possibilità di rimediare alla mancata indicazione separata dei costi, presentando una dichiarazione integrativa, di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8-bis, nella quale sono indicati separatamente i costi, senza particolari limiti di tempo, ma a condizione che non siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche, nel qual caso, come chiarito anche dalla circolare n. 46/2009, andrebbe applicata la sanzione più mite di cui al D.Lgs. n. 471 del 1998, art. 8, comma 1;

2. il motivo è fondato e va accolto;

3. come questa Corte ha avuto modo di precisare, “in tema di reddito d’impresa, all’esito delle modifiche retroattive introdotte dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303 e prima di quelle di cui alla L. n. 208 del 2015, applicabili a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, la separata indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi “black list”) è un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità e la cui violazione espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 8, comma 3 bis, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1, a ciò non ostando la presentazione della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, ove operata dal contribuente dopo l’avvio dei controlli” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11933 del 10/06/2016);

secondo il più recente ed ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la materia è regolata dai seguenti principi:

a) con decorrenza dall’1 gennaio 2007, la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 301 e 302 (il primo modificando l’art. 110, commi 10 e 11 – già D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76, commi 7 bis e 7 ter, il secondo mediante l’inserimento del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis) hanno mutato la disciplina che sanciva l’indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi black list) ove non fosse provato che i contraenti esteri svolgessero effettiva attività commerciale, che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico, che le stesse avessero avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, che i costi non fossero stati separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi -, degradando la separata indicazione dei costi da presupposto sostanziale della relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale, passibile di corrispondente sanzione amministrativa, pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati separatamente nella dichiarazione, con un minimo di Euro 500 ed un massimo di Euro 50.000;

b) in ordine al regime transitorio dettato dalla L. n. 296 del 2006, dell’art. 1 cit., comma 303, anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione dei costi in esame poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge non comportano, di per se stesse, l’applicazione del regime di assoluta indeducibilità dei costi medesimi (e di connessa sanzionabilità D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 1, comma 2), in quanto degradate a violazioni di carattere formale, soggette alla sanzione proporzionale suddetta, alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio e, dunque, già assoggettate al rigoroso regime d’indeducibilità) si cumula, in forza dell’ultima parte del comma 303 cit., la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, (che, per i vizi formali della dichiarazione, prevede la sanzione amministrativa da Euro 258 a Euro 2065);

c) tale lettura del disposto normativo appare l’unica idonea a garantirne la tenuta sul piano della razionalità – non viola il principio di legalità, posto che, sotto il profilo sanzionatorio e degli effetti che ne conseguono, il regime introdotto dalla normativa sopravvenuta è, nel suo complesso, certamente meno gravoso, per il contribuente, rispetto a quello previgente (Cass. nn. 4030, 6205 e 21955 del 2015, 6338 e 6651 del 2016);

d) la dichiarazione integrativa deve precedere l’inizio delle operazioni di verifica, in quanto in caso diverso la correzione si risolverebbe in uno strumento elusivo delle sanzioni previste dal legislatore per l’inosservanza delle prescrizioni relative alla compilazione delle dichiarazioni dei redditi (tra altre, Cass. nn. 5398 del 2012, 14999, 15285 e 15798 del 2015, 6651 del 2016);

appare, quindi, fondata la censura della ricorrente, che si duole della mancata applicazione della sanzione proporzionale (nella misura del 10 per cento) prevista dalla L. n. 296 del 2006, art. 1 cit., comma 302, (che ha aggiunto il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis), a ciò non ostando la presentazione, operata dalla contribuente dopo l’avvio dei controlli e la notifica del p.v.c., della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8;

la sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso) cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2020

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