Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7373 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 26/03/2010), n.7373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.P., M.M.T., D’.PR.

nella loro qualità di eredi del Sig. D.B., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CIRCUMVALLAZIONE CLODIA 19,

presso lo studio dell’avvocato LUISE MICHELINO, rappresentati e

difesi dall’avvocato CIOFFI DOMENICO, giusta delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6463/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/12/2005 R.G.N. 2880/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/01/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato DOMENICO CIOFFI;

udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI per delega FIORELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per accoglimento del primo motivo

del ricorso, assorbiti gli altri.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Gli eredi di D.B., chiedono l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 12 dicembre 2005, che ha riformato la decisione emessa dal Tribunale di Benevento, dichiarando cessata la materia del contendere sulla domanda relativa alla condanna alla rendita da infortunio sul lavoro (capi a e b del ricorso introduttivo) e, in accoglimento dell’appello di Poste italiane, ha rigettato le altre domande.

Il D., dipendente delle Poste, portatore di handicap, aveva chiesto di accertarsi che l’infortunio subito il 22 gennaio 1998 fosse qualificabile come infortunio in itinere con diritto all’indennizzo del 40% per postumi invalidanti e condanna delle Poste alla corresponsione di una rendita. Aveva anche chiesto la condanna delle Poste al risarcimento del danno biologico, morale e patrimoniale in misura di L. 1.500.000.000.

Il Tribunale di Benevento ha accolto le domande, condannando le Poste al pagamento della rendita del 40%, nonchè al risarcimento del danno biologico, morale e da invalidità temporanea, per complessivi 117,209,00 Euro, comprensivi di interessi. Entrambe le parti hanno impugnato la decisione.

La Corte d’Appello ha riformato la sentenza. Con riferimento alla domanda di accertamento della natura di infortunio sul lavoro e alla domanda di costituzione di una rendita, ha rilevato che la questione è stata superata a causa dell’intervento dell’INAIL, che ha costituito la rendita, essendosi il giudizio incardinato dopo il 1 gennaio 1999. Su questi due capi della domanda è stata pertanto dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Quanto invece alla richiesta di risarcimento danno nei confronti delle Poste, l’ha rigettata perchè, esaminando la dinamica dell’incidente, ha ritenuto che lo stesso sia stato causato “da un comportamento anomalo del lavoratore”.

Contro tale decisione la difesa dei ricorrenti propone un ricorso articolato in sette motivi.

Poste italiane ha depositato un controricorso con il quale chiede il rigetto dell’impugnazione.

Le parti hanno depositato memorie per l’udienza.

Con il primo motivo si denunzia falsa applicazione dell’art. 2087, c.c., perchè ogni qual volta si verifichi un infortunio sul lavoro “dove seppure non risulti provata la violazione di una norma speciale e tuttavia l’evento si sia verificato per effetto di un comportamento colposo ed omissivo del datore di lavoro” vi è responsabilità civile del datore di lavoro. Il secondo motivo denunzia falsa applicazione degli artt. 339 ss. c.p.c., ed in particolare dell’art. 345 c.p.c. (eccezioni nuove), perchè il motivo d’appello delle Poste sulla inesistenza della scala di sinistra era inammissibile. Il terzo motivo denunzia omessa od erronea applicazione della L. n. 104 del 1992 e dell’intera legislazione a favore dei lavoratori portatori di handicap, nonchè della legislazione in tema di accessibilità all’edificio. Il quarto motivo denunzia falsa applicazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, e della legislazione speciale in tema di accessi ai luoghi di lavoro in generale e per i lavoratori disabili in particolare. Il quinto motivo denunzia violazione delle norme in materia di onere della prova, onere che, si assume, incombe in materia al datore di lavoro e non al lavoratore come avrebbe invece affermato la Corte d’ Appello laddove ha sostenuto che il lavoratore non avrebbe provato che la scala di destra era ostruita dalla presenza di autovetture lasciate in sosta. Il sesto motivo denunzia violazione dell’art. 2087 c.c. e dell’art. 1227 c.c., per non aver considerato che il comportamento colposo e concorrente del lavoratore avrebbe potuto soltanto ridurre ma non escludere la responsabilità del datore di lavoro. Il settimo motivo censura la sentenza laddove ha affermato che l’incidente si è determinato per un comportamento abnorme del lavoratore. A parere del ricorrente la Corte di merito avrebbe motivato con argomentazione illogica per due motivi: 1) perchè non ha spiegato quale motivo poteva indurre un soggetto motuleso ad imboccare il percorso più disagiato, mentre la logica porta a conclusioni opposte e cioè che il D. fu costretto a percorrere la via d’uscita di sinistra; 2) perchè fa riferimento alla circostanza del cancello chiuso e del cartello di divieto di accesso, come rinvenuti dal CTU senza tener conto che “è ovvio che le Poste ben sapendo che quel giorno doveva sopraggiungere il CTU si erano preoccupate di far trovare il cancello chiuso”.

I motivi devono essere valutati congiuntamente, anche perchè non sono dotati di adeguata specificità e in più passaggi reiterano e incrociano le medesime critiche e censure.

Deve premettersi che non vengono mosse censure alla decisione con la quale è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere sui primi due capi della domanda, a seguito della costituzione di una rendita da parte dell’INAIL. Pertanto è pacifico che in favore del lavoratore sia stata costituita una rendita.

Tutti i motivi di ricorso concernono la parte della domanda con la quale si chiede il risarcimento ulteriore rispetto a quanto coperto dalla rendita.

Sul punto la domanda era stata di L. 1.500.000.000. Il Tribunale di Benevento aveva accolto la domanda riducendone drasticamente l’importo. La Corte d’Appello l’ha rigettata integralmente, ritenendo che gli eredi del D. non abbiano fornito prova adeguata degli elementi costitutivi della responsabilità del datore di lavoro per questo risarcimento aggiuntivo, differenziale, rispetto a quanto già riconosciuto dall’INAIL. La Corte di merito ha ricostruito molto analiticamente la dinamica dei fatti sottolineando che dalle prove testimoniali, dalla perizia e dalle fotografie sullo stato dei luoghi esaminate emerge che il D., terminato il lavoro, uscì accompagnato dal padre, e, invece di utilizzare la via normale costituita da una scala sulla destra adeguatamente attrezzata in termini di sicurezza, utilizzò un’altra via, destinata non al passaggio dei dipendenti ma al carico e scarico delle merci e degli automezzi. A causa di questa scelta, non necessitata e del tutto anomala ed imprudente, fatta peraltro con l’assistenza del padre, si determinò l’incidente. Nell’ambito di tale analisi la Corte evidenzia quanto segue:

– dall’istruttoria è emerso che la via ordinaria era costituita da una scala munita di passamano e in regola con le norme antinfortunistiche;

– non è stato provato che quella uscita fosse ostruita da autovetture che impedivano il passaggio (affermazione fatta dai ricorrenti, che era loro onere provare);

– la scelta, come è spiegato dal lavoratore in una lettera al direttore del 27 aprile 1999, fu fatta perchè, “a causa del maltempo, decidemmo di scendere dalla scaletta di sinistra anche perchè di fatto più vicina al punto in cui si era venuta a trovare la nostra automobile”.

Sulla base di tali elementi la Corte ha ritenuto che non vi sia un rapporto di causalità tra comportamento aziendale ed evento infortunistico, perchè la caduta si è verificata a causa della scelta del lavoratore (e del padre che lo accompagnava) di fare un percorso che li avrebbe condotti più vicino al posto dove si trovava la loro autovettura, ma che non era il percorso ordinario per uscire dal luogo di lavoro; che è stato solo affermato, ma non provato che il percorso ordinario fosse bloccato dalle auto in sosta; che la scelta attribuibile solo al lavoratore costituisca un comportamento anomalo ed abnorme che esclude ogni responsabilità del datore di lavoro.

Quella fatta dalla Corte di Napoli è una scelta conforme ai criteri che regolano la responsabilità del datore di lavoro e ai criteri sull’onere della prova per cui quando viene scelto un percorso diverso da quello ordinario per accedere o uscire dal luogo di lavoro, è il lavoratore che deve dare la prova della inagibilità o difficoltà di percorrere la via ordinaria.

L’applicazione di questi principi al caso in esame e la valutazione del quadro istruttorio costituisce merito del processo che non può essere discusso in sede di legittimità se non per vizi di motivazione. Nel caso in esame la motivazione sussiste, è articolata e completa ed è priva di contraddizioni, essendo evidente la infondatezza delle due censure di illogicità contenute nel settimo motivo di ricorso. Pertanto il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine alle spese, che vanno poste a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione alla controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 17,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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