Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7371 del 28/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7371 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 22986-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in
2013

atti;
– ricorrente –

3661

contro

MAZZONI STEFANIA;
– intimata –

Data pubblicazione: 28/03/2014

avverso la sentenza n. 129/2008 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 28/02/2008 r.g.n. 501/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;

PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTIMO SEPE, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA per delega TOSI

22986.08

Udienza 12 dicembre 2013

Pres. F. Miani Canevari
Est. V. Di Cerbo

Sentenza

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza di prime cure che aveva
dichiarato

l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, con

decorrenza 15 giugno 2001, stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Stefania
Mazzoni.
2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato
a tre motivi; la lavoratrice è rimasta intimata.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Come si evince dalla sentenza impugnata Stefania Mazzoni è stata assunta con
contratto a termine che si è protratto dal 15 giugno 2001 al 15 settembre 2001. La
Corte territoriale, pur avendo premesso che il contratto in esame era stato
stipulato a norma dell’art. 25 c.c.n.l. 11 gennaio 2001, ha concluso per
l’illegittimità del termine apposto al contratto stesso avendo interpretato la
causale di tale contratto alla stregua dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e, più
specificamente, della previsione di cui all’accordo integrativo del 25 settembre
1997 che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine,
la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e

rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale
introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in
attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle
risorse umane. La Corte di merito ha attribuito in proposito valore decisivo alla
mancata indicazione e conseguentemente all’assenza di prova sul punto (l’onere
di fornire la quale gravava sul datore di lavoro) della sussistenza di specifiche
esigenze derivanti dal processo di ristrutturazione e relative all’ufficio al quale la
lavoratrice era stata adibita. Sotto altro profilo, premesso che il contratto
individuale faceva riferimento, oltre che alle esigenze di carattere straordinario,
anche alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per
ferie nel periodo giugno — settembre, ha ritenuto che la previsione di una duplice
causa giustificativa del termine rendesse comunque illegittimo il suddetto
3

La Corte

termine. Ha infine rigettato la tesi, sostenuta da Poste Italiane s.p.a., secondo cui
il rapporto di lavoro si sarebbe comunque risolto per mutuo consenso.
5.

Con i primi due motivi di ricorso, che devono essere esaminati contestualmente in
quanto logicamente connessi, Poste Italiane s.p.a. censura la statuizione
sull’illegittimità del termine denunciando violazione e erronea applicazione
dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, degli artt. 1362 e segg. cod. civ., in relazione
all’art. 25 del c.c.n.l. 10 gennaio 2001, degli artt. 420 e 421 cod. proc. civ. e vizio di

dalla Corte di merito secondo cui la duplicità delle causali indicate in contratto per
giustificare l’apposizione del termine costituirebbe di per sé una ragione di
illegittimità del termine. Sotto altro profilo deduce l’erronea interpretazione
dell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001.
6.

Le suddette censure sono fondate.

7.

Per quanto concerne il primo profilo, relativo alla pluralità delle ragioni
giustificatrici dell’apposizione del termine, è stato chiarito (cfr., per tutte, Cass. 17
giugno 2008 n. 16396) che l’indicazione di due o più ragioni legittimanti
l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è in sé causa di
illegittimità del termine per contraddittorietà o incertezza della causa
giustificatrice dello stesso. La sentenza non ha fatto corretta applicazione del
suddetto principio.

8.

Con riferimento al secondo profilo è evidente che il contratto a termine in esame,
protrattosi dal 1 luglio 2001 al 31 agosto 2001, è disciplinato, ratione temporis,
dall’art. 25 del c.c.n.l. del 2001, stipulato in data 11 gennaio 2001; deve ritenersi
pertanto erroneo il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, all’art. 8 del
c.c.n.l. del 1994 che, all’epoca della stipulazione del contratto de quo non era più
in vigore. Ciò premesso deve osservarsi che con riferimento ai contratti conclusi ai
sensi dell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 (nel regime anteriore al d.lgs. n. 338 del 2001)
più volte questa Corte Suprema (v., fra le altre, Cass. 26 settembre 2007 n. 20162,
Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608), decidendo in casi analoghi, ha cassato la sentenza
del giudice di merito che aveva dichiarato illegittimo il termine apposto ad un
contratto stipulato in base alla previsione della norma contrattuale sopra citata,
osservando, in linea generale, che l’art. 23 della legge n. 56 del 1987, nel
demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le
fattispecie tassativamente previste dalla legge n. 230 del 1962 e successive
modifiche – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di
lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali,
pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine
comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni
Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza
della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale
ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art.

4

motivazione. Sotto un primo profilo sostiene l’erroneità della tesi fatta propria

25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001. In specie, quale conseguenza della

termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il
ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche
– alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di
tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace
salvaguardia dei loro diritti. Premesso, poi, che l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11
gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di
contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti

a processi di riorganizzazione, ivi ricom prendendo un più funzionale
riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni
tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove
tecnologie, prodotti o servizi, questa Corte ha ritenuto viziata l’interpretazione dei
giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in
esame, ha affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi
liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di
ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui
gli stessi sono strumentali. Peraltro, nel quadro delineato, come pure è stato
precisato, neppure è necessario che il contratto individuale contenga
specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva (v. fra le
altre Cass. 14 marzo 2008 n. 6988). Parimenti, poi, nello stesso quadro, con
riferimento alla seconda causale della necessità di espletamento del servizio in
concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, stante
l’autonomia di tale ipotesi legittimante ex art. 23 della citata legge n. 56 del 1987,
questa Corte ha affermato che non è necessario che il contratto individuale
contenga specificazioni ulteriori e neppure è necessario che siano allegate e
provate circostanze ulteriori (v., fra le altre, sulla ipotesi collettiva de qua Cass. 6
marzo 2008 n. 6052; Cass. 20 gennaio 2013 n. 811). In particolare non è, pertanto,
necessaria l’indicazione del lavoratore sostituito e nemmeno la dimostrazione del
collegamento causale fra la tra la carenza di lavoratori e la singola assunzione a
termine.
9.

Il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato
e per l’effetto il ricorso deve essere accolto non avendo la sentenza impugnata
fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

10. L’accoglimento delle censure contenute nei primi due motivi di ricorso determina
l’assorbimento del terzo motivo di ricorso, concernente la statuizione relativa al
rigetto dell’eccezione concernente l’intervenuta risoluzione consensuale del
contratto per mutuo consenso.
11. La sentenza deve essere pertanto cassata in relazione ai motivi accolti con
rimessione della causa ad altro giudice, indicato in dispositivo, il quale provvederà
in applicazione dei principi sopra indicati. Lo stesso giudice provvederà altresì alle
spese del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 385 cod. proc. civ.
5

suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato
che i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a

P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza
impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di
Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2013.

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