Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7370 del 17/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 17/03/2020), n.7370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13520/12 R.G., proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

C.G., rappresentato e difeso, giusta mandato in atti,

dall’Avv. Scripelliti Nico e Bellandi Elena e Manfredini Ornella,

elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, alla Via G.

Belli n. 36;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 75/21/11 della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana, depositata in data 20.11.2012 non

notificata;

Udita la relazione svolta dal Consigliere D’Angiolella Rosita nella

camera di consiglio del 17 dicembre 2019.

Fatto

RILEVATO

Che:

A seguito di verifica svolta dalla Guardia di Finanza di Pontassieve riguardo ai rapporti intercorsi tra l’impresa di C.G. e quella di T.M., risultava che quest’ultimo – esercente attività di tinteggiatura e posa in opera di vetri, aveva emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti del C.. Dalla verifica emergeva che il Torricelli, nel periodo 2004-2006, aveva omesso di registrare, conservare e dichiarare ai fini fiscali i documenti emessi per le prestazioni di servizi eseguiti nei confronti dei suoi clienti, tra cui l’impresa del C., che disponeva solo di lavoratori “a nero”, mancando di personale dipendente iscritto a libro paga e matricola e di idonea struttura organizzativa; peraltro, dalle dichiarazioni rilasciate dei lavoratori “in nero”, risultava che il Torricelli non aveva mai eseguito prestazioni per conto dell’impresa del C.. In sostanza, la Guardia di Finanza ipotizzava che tutte le fatture emesse, tra cui quelle nei confronti del C., riguardassero operazioni oggettivamente inesistenti. Ne seguivano due avvisi di accertamento nei confronti di C.G., per gli anni 2004-2006, con i quali l’Ufficio recuperava a tassazione l’Iva indebitamente detratta sulle predette operazioni di acquisto. C.G. impugnava i predetti avvisi di accertamento con distinti ricorsi eccependone l’illegittimità sia per difetto di motivazione, sia per difetto di prova. La Commissione tributaria provinciale di Firenze, con sentenza n. 103 del 2010, riuniti i ricorsi, li respingeva ritenendo infondate le eccezioni del ricorrente. C.G. proponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Toscana sostenendo l’erroneità della sentenza dei giudici di primo grado che non avevano tenuto conto del fatto che era stata provata l’effettività delle operazioni commerciali. La Commissione regionale adita accoglieva l’appello con la sentenza di cui in epigrafe.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a tre motivi.

C.G. resiste con controricorso e presenta memoria ex art. 380 bis-1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39,D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 54, art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo l’erroneità dalla sentenza impugnata per aver ritenuto non provata l’indebita detrazione ai fini Iva di fatture relative ad operazioni inesistenti e per aver malamente ripartito l’onere della prova, non considerando probanti i gravi indizi sull’inesistenza delle operazioni forniti dall’Amministrazione e non considerando, altresì, che era onere del contribuente dimostrare la propria estraneità alla frode e l’effettività delle operazioni.

1.1. Con il secondo motivo di ricorso, deduce l’insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver sufficientemente motivato sull’effettività delle operazioni in contestazione

1.2. Col terzo, la violazione dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver automaticamente valorizzato gli esiti favorevoli a C.G. del processo penale nei suoi confronti.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato.

2.1. Come emerge dal ricorso, dal controricorso e dalla gravata sentenza, i fatti di causa originano dalla contestazione, di cui agli avvisi di accertamento impugnati, di fatturazione inesistente per avere C.G., per gli anni dal 2004 al 2006, ricevuto fatturazioni da parte dell’impresa individuale di T.M. (società da cui è partita la verifica dell’Ufficio) riguardanti operazioni inesistenti.

2.2. E’ evidente, dunque – nonostante l’incerta qualificazione fattane nei giudizi di merito – che tale situazione realizza quella che è comunemente definita come un’operazione oggettivamente inesistente, nella quale, cioè, le operazioni commerciali non sono mai state poste in essere, sicchè le fatture rappresentano la mera espressione cartolare di eventi mai avvenuti. Essa, quindi, si differenzia dalla frode soggettivamente inesistente ove, cioè, le prestazioni commerciali sono rese al destinatario che le riceve da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la prestazione rappresentata in fattura.

2.3. Pur nella diversità dello schema fraudolento, entrambe le operazioni descritte (comunemente definite frodi “carosello”, al fine di enfatizzare la caratteristica più comune che è quella di una pluralità di scambi e passaggi fittizi, effettuati tramite società vuote di attività – perciò definite “cartiere” – in quanto emettono fatture false senza essere preposte ad alcuna attività economica), determinano lo stesso illecito fiscale, che si realizza in quanto l’emissione di false fatture, non collegabili ad alcuna attività economica o rese da un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura, è fatta al fine fraudolento di incamerare l’Iva addebitata al cliente nella fattura anzichè versarla all’erario, violandosi, così, il principio di neutralità dell’Iva. In entrambe le ipotesi, quindi, l’Iva non è detraibile proprio perchè versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta.

3. La peculiarità di tali fattispecie e del meccanismo fraudolento perseguito nel caso concreto, si riverbera sulle regole di riparto dell’onere della prova, di cui la ricorrente ritiene non abbia fatto buon governo il giudice di secondo grado.

3.1. La Commissione tributaria regionale ha ritenuto insoddisfatto l’onere probatorio incombente sull’Amministrazione, anche mediante ricorso alle presunzioni semplici, per essere rimasta indimostrata la sussistenza di un ruolo fraudolento da parte del contribuente C.; la CTR ha ritenuto che quest’ultimo aveva rettamente contabilizzato le fatture riguardanti la committenza di lavori pubblici, che, inoltre, non poteva ritenersi responsabile del comportamento di altro soggetto terzo ( T.M.), che, infine, l’Amministrazione non aveva dimostrato che C.G. fosse a conoscenza della frode.

3.2. Le ragioni addotte dalla CTR a sostegno della decisione, contrastano con i principi affermati in materia da questa Corte che, in sequenza giurisprudenziale sostanzialmente univoca (cfr., ex plurumis, Sez. 5, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018, Rv. 649610-01; Sez. 5, Ordinanza n. 27554 del 30/10/2018, Rv. 651216-01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12111 del 10/06/2015, Rv. 635724-01) ha affermato che: “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.”.

3.3. In tal senso, è stato soggiunto (cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 18118 del 14/09/2016, Rv. 641109-01) che l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (in tal senso, cfr. n. 735 del 2010, Rv. 611260-01; n. 1650 del 2010, Rv. 611718-01; n. 13803 del 2014, Rv. 631553-01, n. 17818 del 2016, Rv. 640767-01).

3.4. E’ stato chiarito, che mentre nelle ipotesi più complesse (come la c.d. “frode carosello”, caratterizzata da una catena di passaggi, con fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, nonchè interposizioni strumentali di società c.d. “filtro”) l’Amministrazione deve dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente, in quelle più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare, come quella ricorrente nel caso in esame), detto onere può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione, trattandosi di elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, stante l’immediatezza dei rapporti (cfr., Cass. n. 24426 e n. 6229 del 2013 richiamate da Cass. n. 25778 del 05/12/2014); ovvero che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, dell’evasione o frode posta in essere dal cedente, in quanto disponeva di elementi tali da porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto.

3.5. Non si è mancato di evidenziare che la peculiarità di tale riparto dell’onere probatorio discende dalla particolare valenza della fattura nel sistema tributario rispetto al sistema civilistico e ciò in quanto mentre civilmente la fattura rappresenta un documento di formazione unilaterale ex art. 2709 c.c. inidonea in linea generale (salvo l’eccezione di cui all’art. 2710 c.c.) a costituire di per sè prova del rapporto controverso a favore dell’emittente, nel rapporto con il fisco la fattura rappresenta a tutti gli effetti un costo dell’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, il che spiega anche perchè l’Amministrazione finanziaria possa avvalersi di presunzioni – che rientrano a pieno titolo nel novero delle prove utilizzabili in giudizio (art. 2697 c.c. e ss.) – al fine di dimostrare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, ovvero è stata posta in essere tra soggetti diversi (cfr. Cass. n. 25578 del 2014).

4. Ed è proprio con riguardo alla valutazione della prova presuntiva che appaiono le maggiori inconsistenze della gravata sentenza, non comprendendosi il criterio logico seguito dalla Commissione regionale per negare il valore indiziario degli elementi addotti dall’Ufficio dando valore di piena prova contraria alla contabilizzazione delle ricevute dal C.. Per giunta, i giudici di appello pur avendo ritenuto fatti decisivi per escludere la falsa fatturazione il collegamento dei servizi riportati in fattura con alcuni appalti di lavori eseguiti con Enti pubblici e la contabilizzazione delle fatture e dei pagamenti, si sono limitati a affermazioni generiche, senza bilanciare tali (generici) elementi indiziari con gli altri offerti dall’Ufficio (assenza di struttura organizzativa e di lavoratori dell’impresa cedente) e senza dare il benchè minimo rilievo al fatto – determinante – che ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione, il cessionario aveva l’onere di provare non solo la propria estraneità alla frode ma anche la sua inconsapevolezza della falsità delle fatture e, quindi, l’uso della normale diligenza nella scelta del contraente.

4.1. La Commissione tributaria regionale ha, dunque, sostanzialmente invertito i criteri di valutazione delle prove presuntive considerato che, a fronte degli elementi indiziari offerti dall’Amministrazione erariale, il giudice è tenuto ad verificare se essi “quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (cfr. Cass., 02/03/2017 n. 5374,Rv. 643327-01) e che per provare un fatto per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità (cfr. Cass., Sez. U, 13/11/1996 n. 9961, Rv. 50053501).

5. Peraltro, il ragionamento dei giudici di appello è viziato anche nella valutazione dell’effettività dei costi ammessi in deducibilità. Ed invero, in tema di deducibilità dei costi, è orientamento unanime di questa Corte (da Sez. 5, Sentenza n. 1709 del 26/01/2007, Rv. 595661-01, Sez. 5, Sentenza n. 5926 del 12/03/2009, Rv. 607667-01, Sez. 65, Ordinanza n. 27458 del 09/12/2013, Rv. 629460-01, a Sez. 5, Sentenza n. 21184 del 08/10/2014, Rv. 632824-01, Sez. 65, Ordinanza n. 14858 del 07/06/2018, Rv. 649021-01) che, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 (ora art. 109), e di detraibilità della relativa IVA, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 633, ex art. 19, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili ed a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.

6. Le considerazioni che precedono rendono palese la fondatezza del ricorso dell’Agenzia delle entrate sotto il profilo del denunciato vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ma anche con riguardo all’ulteriore censura di insufficiente motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, circa l’effettività delle operazioni commerciali di cui alle fatturazioni contabilizzate. La contraddittorietà con la quale i secondi giudici hanno fatto uso delle regole sull’onere probatorio si è riverberata anche sulla motivazione che non ha sufficientemente argomentato sul fatto controverso e decisivo per il giudizio – riguardante il valore indiziario degli elementi di prova offerti al vaglio giudiziale dall’Ufficio per sostenere la legittimità dell’accertamento.

7. Essendo dirimenti le questioni dedotte (e accolte) con i primi due motivi, il terzo motivo di gravame risulta assorbito.

8. In conclusione, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi sopra esposti. La Commissione regionale in sede di rinvio è tenuta a provvedere anche in rodine alle spese relative al presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche in ordine al pagamento delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2020

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