Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7370 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. I, 07/03/2022, (ud. 21/10/2021, dep. 07/03/2022), n.7370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24801/2020 promosso da:

O.I., elettivamente domiciliato in Verona, via Valpantena 28,

presso lo studio dell’avv. Riccardo Vallini Vaccari, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2367/2019 della Corte d’appello di Catanzaro,

depositata il 10/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/10/2021 dal Consigliere Dott. ELEONORA REGGIANI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2367/2019, depositata il 10/12/2019, la Corte d’appello di Catanzaro, ha confermato, all’esito dell’impugnazione del richiedente asilo, la decisione del giudice di primo grado che aveva respinto la domanda di protezione internazionale e umanitaria.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione O.I., affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’interno, che non si è difeso con controricorso, ha depositato un atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere il giudice di merito valutato la credibilità intrinseca del richiedente asilo, ritenendolo complessivamente inattendibile, senza applicare cumulativamente i criteri di valutazione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 3, comma 5, limitandosi a rilevare passaggi della narrazione ritenuti contraddittori e incongruenti criticità, che invece erano assolutamente trascurabili, senza dare rilievo alla relazione fornita da esperti (Sportello migranti LGBT di (OMISSIS)) circa la personalità e l’omosessualità del ricorrente, ai quali il ricorrente si era rivolto proprio su consiglio del Tribunale, come pure consentito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis.

Con il secondo motivo è nuovamente censurato l’omesso esame e l’omessa valutazione di quanto emerso dalla relazione resa dallo Sportello migranti LGBT di (OMISSIS), nell’ottica della valutazione circa la credibilità del racconto del ricorrente e la plausibilità del suo orientamento sessuale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sul presupposto che deve considerarsi “fatto storico” la circostanza che il ricorrente, dichiaratamente omosessuale, abbia svolto incontri e attività presso tale centro, tempestivamente dedotta e dimostrata con la produzione documentale in primo e in secondo grado.

Con il terzo motivo è dedotta la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e dell’art. 2 Cost., in ordine alla ritenuta insussistenza dei presupposti della protezione umanitaria, avendo il giudice di merito ritenuto assorbente il difetto di credibilità della narrazione del richiedente asilo, senza operare alcuna valutazione in ordine al grado di integrazione sociale e lavorativa in rapporto alla situazione esistente nel Paese di origine, nonostante quest’ultimo avesse documentato attività lavorativa e allegato di essere orfano di dei genitori, oltre che omosessuale.

2. Si deve preliminarmente rilevare che parte ricorrente ha dedotto di avere posto a fondamento della domanda quanto dichiarato davanti alla Commissione territoriale, raccontando di essere nato ad (OMISSIS), dove ha sempre vissuto fino a quando ha lasciato il Paese e dove, dopo aver frequentato la scuola per sei anni, si è dedicato al lavoro di saldatore; di essere figlio unico e di aver perso i suoi genitori nel (OMISSIS) a causa di un incidente; di avere lasciato il proprio Paese a causa del timore per la sua vita, in quanto omosessuale. Più in dettaglio, il ricorrente ha raccontato di avere avuto un compagno di nome A., con cui ha intrattenuto una relazione sentimentale per due anni, aggiungendo che, una volta scoperti, sono stati portati in prigione e che, dopo un anno di carcere, il compagno è stato ucciso, mentre lui è stato condannato ad ulteriori dieci anni di reclusione. Durante la detenzione il ricorrente veniva talvolta portato in una Chiesa per pregare e, proprio durante una di queste visite, è riuscito a scappare. Nell’occasione è stato ferito con dei colpi di arma da fuoco alle ginocchia, ma è stato soccorso da un taxista. A questo episodio è seguita la diffusione del le sue foto per tutto il Paese, quale ricercato, e perciò, avvertendo il pericolo che correva, temendo di essere ucciso, ha deciso di abbandonare definitivamente la Nigeria (p. 3 del ricorso introduttivo).

La Corte d’appello ha ritenuto la narrazione complessivamente inattendibile, evidenziando punti e passaggi contraddittori ed elementi rimasti oscuri, aggiungendo che le lacune e le approssimazioni, le incongruenze e le contraddizioni investono non elementi secondari o particolari trascurabili, ma aspetti ed elementi centrali della vicenda, inficiando perciò l’attendibilità intrinseca dell’intero racconto. In particolare, la Corte di merito ha evidenziato che: – pur vivendo in un paese in cui l’omosessualità è fortemente stigmatizzata e livello sociale, ed anche sanzionata (come risulta dal rapporto EASO 2018), il ricorrente non ha minimamente caratterizzato il vissuto inerente al proprio orientamento sessuale; – del suo compagno ha dato scarni e vaghi riferimenti; totalmente privo di plausibilità è stato il fatto che a condannarlo fosse stato un poliziotto al di fuori di qualunque procedimento; la descrizione degli avvenimenti che lo hanno indotto a lasciare la Nigeria era scarsa e approssimativa (p. 10 e 11 della sentenza impugnata).

Parte ricorrente ha, invece, dedotto che il giudice di merito, come pure la Commissione territoriale, ha esaminato in modo approssimato le dichiarazioni del cittadino straniero, soffermandosi su particolari irrilevanti (la data esatta della morte dei genitori e il fatto che sia stato indicato un poliziotto come colui che ha condannato il ricorrente), senza considerare la narrazione nel suo insieme e senza esaminare la relazione dello Sportello migranti della LGBT di (OMISSIS), che forniva elementi utili sulla personalità del richiedete asilo e sulla sua omosessualità.

3. Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, essendo intimamente connessi tra loro, e si rivelano entrambi inammissibili.

3.1. Com’e’ noto, in materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese, sicché il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (così, Cass., Sez. 3, n. 11925 del 19/06/2020).

In particolare, la valutazione con cui il giudice di merito reputa attendibile o inattendibile quanto riferitogli dallo straniero che richieda la concessione della protezione internazionale, in tutte le sue forme, lo stabilire se questi sia incorso in contraddizioni, il valutare se tali contraddizioni riguardino elementi decisivi o di dettaglio, costituiscono altrettanti giudizi di fatto che sono sindacabili in sede di legittimità solo in tre casi: quando il giudice di merito abbia trascurato di valutare un fatto controverso e decisivo; quando non abbia in alcun modo motivato la propria decisione; quando abbia adottato una motivazione insanabilmente contraddittoria od assolutamente incomprensibile (v. da ultimo Cass., Sez. 1, n. 28205 del 14/10/2021).

3.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha esaminato le dichiarazioni del ricorrente, pervenendo a un giudizio, non sindacabile in sede di legittimità, di non credibilità intrinseca del racconto, con una motivazione chiara e completa, fondata sulla esistenza di approssimazioni, incongruenze e contraddizioni su circostanze ritenute rilevanti ai fini della ricostruzione della vicenda. Per i motivi sopra evidenziati, ogni censura a tale valutazione si sostanzia in una critica al merito della decisione, inammissibile in sede di legittimità.

Non è ammissibile neppure la censura riferita al mancato esame, ai finì della decisione, della relazione dello Sportello migranti LGBT di (OMISSIS), che la parte ha riferito essere stata redatta in corso di causa anche su impulso del giudice di primo grado (p. 11 del ricorso per cassazione).

Deve, infatti, escludersi che la mancata considerazione, in decisione, della menzionata relazione integri il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che, com’e’ noto, deve riguardare un fatto storico, e non mere questioni o punti, potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche come fatto secondario, comunque dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale (Sez. 5, n. 29883 del 13/12/2017).

L’omesso esame di fatto decisivo previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5), e’, infatti, costituito da quel difetto di attività del giudice del merito, che si verifica tutte le volte in cui egli abbia trascurato, non la deduzione o l’argomentazione che la parte ritiene rilevante per la sua tesi, ma una circostanza obiettiva acquisita alla causa tramite l’attività istruttoria, idonea di per sé, qualora sia presa in considerazione, a condurre con certezza ad una decisione diversa da quella adottata. Pertanto, ad integrare il predetto difetto occorre non solo che il fatto, sebbene dibattuto tra le parti, sia stato totalmente trascurato dal giudice, ma anche che il medesimo fatto, per la sua diretta inerenza ad uno degli elementi costitutivi, modificativi od estintivi del rapporto in contestazione, sia dotato di una intrinseca valenza, tale da non poter essere tacitamente escluso dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite. Ciò non si verifica per ogni singolo indizio, segnale od indice critico, il quale per la sua gravità o per la sinergica convergenza con altri elementi indiziari consentirebbe, in ipotesi, al giudice di risalire alla individuazione di un fatto ignoto.

Nella relazione in questione si legge che il richiedente asilo “ha fin dal primo incontro richiesto di condividere con le volontarie dello sportello il suo vissuto, dimostrando da una parte grande difficoltà e disabitudine nell’esprimersi, dall’altra parte grande entusiasmo e coinvolgimento nel momento in cui si è parlato di quali sono le leggi vigenti e i costumi sociali rispetto alle persone omosessuali in Italia. Oltre alla condivisione della sua storia, si è dichiarato interessato a partecipare alle attività dell’associazione, che sul territorio veronese si occupa della tutela e della promozione dei diritti delle persone LGBT. Dimostrandosi proattivo, ha anzi proposto di organizzare presso il (OMISSIS)… una cena africana, con l’intento di poter conoscere persone nuove” (nota 1 alle pp. 10 e 11 del ricorso per cassazione).

E’ dunque evidente che detta relazione non fornisce alcun elemento rilevante ai fini della decisione, leggendosi soltanto alcune opinioni sulla personalità del ricorrente e la descrizione di fatti riguardanti il comportamento da lui tenuto solo in pendenza di giudizio.

Non può pertanto ritenersi che la prospettazione del mancato esame di tale relazione sia sufficiente ad integrare l’omesso esame di un “fatto storico”, quale elemento essenziale che connota la censura prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

4. Anche il terzo motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha affermato che il richiedente asilo non ha allegato specifiche e rilevanti circostanze, diverse da quelle dedotte nella narrazione della propria vicenda, ritenute non credibili, che potessero giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, specificando che il solo inserimento lavorativo del richiedente asilo non e’, a tal fine, sufficiente.

In effetti, una volta esclusa la credibilità dei fatti narrati, vi è un difetto di allegazione della parte, circa l’esistenza, nello Stato di provenienza, di specifiche condizioni di pregiudizio ai diritti fondamentali della persona che, bilanciati con il grado di integrazione sociale e lavorativo raggiunto, possano essere posti a fondamento del riconoscimento di motivi umanitari per il rilascio del permesso di soggiorno.

In assenza di tale concreta allegazione, la parte non può pretendere l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova e non alla deduzione delle parti.

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6. La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., e al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

7. In applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

L’attualità o meno dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non rileva, infatti, ai fini della pronuncia sui presupposti per il raddoppio del contributo unificato, atteso che tale pronuncia lascia impregiudicata la questione della debenza originaria del contributo in esame, con la conseguenza che il suo raddoppio non sarà consentito qualora venga accertato, nelle sedi competenti, che fin dall’inizio ne era escluso anche il pagamento (v. da ultimo Cass., Sez. 3, n. 11116 del 10/06/2020).

P.Q.M.

La Corte

dichiara inammissibile il ricorso;

dà atto, in applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, mediante collegamento “da remoto”, il 21 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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