Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7366 del 22/03/2017
Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, (ud. 09/02/2017, dep.22/03/2017), n. 7366
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6701/2016 proposto da:
DITTA P.S. SNC, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE
CLODIA 5, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI TRIPODI,
rappresentata e difesa dagli avvocati ANNA ROMEO, MARIO CALDARERA;
– ricorrente –
contro
REGIONE CALABRIA, in persona del suo legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIULIO CESARE 61,
presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA TOSCANO, rappresentata
e difesa dall’avvocato MICHELE RAUSEI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 18616/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
di ROMA, depositata il 22/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 09/02/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
la Ditta P.S. s.n.c. ha proposto ricorso per la revocazione della sentenza n. 18616/2015 emessa da questa Corte (Sezione terza civile) in data 3.6.2015 e depositata il successivo 22.9.2015;
a fondamento del ricorso, la ricorrente ha dedotto che la Corte è incorsa in errore di fatto per aver omesso di esaminare il secondo motivo del ricorso (con cui era stata denunciata l’erronea e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nella formulazione anteriore alla L. n. 353 del 1990 e si era chiesto alla Corte di valutare la “legittimità della domanda di indebito arricchimento in sede di appello”);
la ricorrente ha dedotto altresì che, “in ogni caso”, la Corte è incorsa in errore di fatto anche in relazione al primo motivo, atteso che, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era stata chiaramente individuata la sede processuale in cui, già in primo grado, era stata formulata la domanda di arricchimento;
la sentenza impugnata ha dato atto del tenore dei due motivi di ricorso e del fatto che la controricorrente aveva eccepito “l’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza in ordine agli atti con cui sarebbe stata formulata, in primo e in secondo grado, la domanda di arricchimento senza causa”; ciò premesso, la Corte ha affermato che “nel ricorso manifestamente difetta sia l’indicazione della sede processuale, sia la trascrizione degli atti del giudizio di merito in cui sarebbe stata, perfino solo per implicito, formulata la domanda ai sensi dell’art. 2041 c.c.”.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
il ricorso non individua errori revocatori idonei ad inficiare la ratio sottesa alla decisione impugnata, che è basata sull’inosservanza degli oneri prescritti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e che è riferita – con tutta evidenza – ad entrambi i motivi del ricorso per cassazione;
a fronte del rilievo di tale ragione di inammissibilità, la Ditta P. avrebbe dovuto allegare che la Corte era incorsa in errore percettivo nell’affermare che nel ricorso non erano stati trascritti gli atti a mezzo dei quali – in primo e/o in secondo grado – si assumeva proposta la domanda di arricchimento e non erano state fornite indicazioni per il loro reperimento;
la ricorrente ha invece insistito nel sostenere di avere proposto la domanda, ma ha omesso di trascrivere i passaggi del ricorso per cassazione in cui tale domanda sarebbe stata trascritta e in cui sarebbe stata indicata la sede processuale dei relativi atti, e ciò al fine di far constare l’unico vizio percettivo astrattamente idoneo a giustificare la richiesta di revocazione, in relazione alla ratio che sorregge la sentenza impugnata;
il ricorso risulta pertanto inammissibile, prima ancora che infondato, in quanto inidoneo a prospettare utilmente i dedotti vizi revocatori;
le spese di lite seguono la soccombenza;
trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017