Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7363 del 05/03/2022

Cassazione civile sez. II, 07/03/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 07/03/2022), n.7363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2125/2017 proposto da:

V.A., IN QUALITA’ DI LEGALE RAPP.TE PRO TEMPORE

DELL’IMPRESA B.V., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE PARIOLI 63 INT. 6, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

FOTI, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLO STARVAGGI,

NUNZIATINA STARVAGGI;

– ricorrente –

contro

COMUNE UCRIA, IN PERSONA DEL SINDACO E LEGALE RAPP.TE PRO TEMPORE,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo

studio dell’avvocato SABINA CICCOTTI, rappresentato e difeso

dall’avvocato CARLO MAZZU’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 619/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 25/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/12/2021 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Ucria evocò, avanti il Tribunale di Patti, la spa B.V. per sentir dichiarare nullo, per contrarietà a norma imperativa, il contratto d’appalto stipulato il 18.12.1991 con la società convenuta per la costruzione di una strada, opera per altro mai realizzata.

Resistette la spa B.V., contestando la pretesa attorea e svolgendo domanda riconvenzionale per la declaratoria di risoluzione del contratto per colpa dell’Ente locale, che le aveva impedito di eseguire l’opera commessa.

All’esito della trattazione il Tribunale di Patti rigettava la domanda attorea mentre accoglieva quella esposta dalla società appaltatrice.

L’Ente locale propose gravame avanti la Corte d’Appello di Messina, che, resistendo la spa B.V., rigettò l’impugnazione ed il Comune di Ucria propose ricorso per cassazione avverso detta sentenza.

Questa Suprema Corte con sentenza n. 23025/11 accolse l’impugnazione e rimise la questione alla Corte peloritana per nuovo esame, rilevando come la sentenza di patteggiamento, afferente procedimento penale a carico del legale rappresentante della società, era elemento da valutare nell’insieme dei dati probatori acquisiti in causa ai fini della soluzione della lite.

La causa era riassunta avanti la Corte d’Appello di Messina dall’Ente locale e, sempre resistendo la società appaltatrice, la Corte territoriale dichiarò nullo il contratto d’appalto e condannò la società resistente alle spese dell’intera lite. Osservava la Corte peloritana come, in sede penale, V.A. era stato imputato per turbativa d’asta ed altri reati proprio in relazione all’affido dell’appalto da parte del Comune di Ucria, oggetto di causa, sicché, risultando violata norma imperativa, il contratto frutto del reato era nullo.

Avverso la sentenza resa dalla Corte siciliana, la spa Impresa B.V. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, illustrato anche con nota difensiva.

Resiste con controricorso il Comune di Ucria, che ha pure depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dalla spa Impresa B.V. ha fondamento giuridico e va accolto.

Con il primo mezzo d’impugnazione la società ricorrente denunzia vizio motivazionale e violazione della norma ex art. 384 c.p.c., comma 2, in quanto il Collegio peloritano non ha osservato il principio di diritto impartito con la sentenza di annullamento da questa Corte Suprema, posto che non ha accertato la concorrenza della violazione di norme imperative, bensì ha desunto la nullità del contratto unicamente dai capi d’imputazione della sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., emessa a carico del suo legale rappresentante.

Difatti, osserva la società impugnante, già il primo Giudice aveva rilevato come in atti non risultava versato alcun atto del procedimento penale necessario acché il Giudice civile fosse messo in grado di accertare incidenter tantum la concorrenza del reato penale addebitato al suo legale rappresentante ed, inoltre, il contratto non era nullo ex se quale “reato-contratto”, poiché eventualmente il reato de quo appariva “in contratto”, nel quale caso le condotte illecite preparatorie non consentono di ritenerlo nullo.

Con la seconda doglianza la spa Impresa B.V. deduce vizio motivazionale per travisamento della prova o degli atti, ovvero per mancata valutazione della prova, posto che il Collegio territoriale ha fondato la sua decisione esclusivamente su quanto desumibile dalla sentenza di applicazione pena, senza anche correlare un tanto ad altro elemento probatorio di conforto, come anche prescritto dalla sentenza di annullamento della decisione d’appello. Le due censure dianzi sunteggiate possono esser esaminate unitariamente, posto che attingono la medesima questione sotto profili diversi, e colgono la testa del chiodo.

Difatti la Corte peloritana ha dichiarato la nullità per contrarietà a norma imperativa – sub specie penale – del contratto d’appalto stipulato tra il Comune di Ucria e la spa Impresa B.V. in quanto prodotto del reato di turbativa d’asta ed altri posti in essere dal legale rappresentante la società appaltatrice, siccome desunto dalla sentenza di applicazione pena, ex art. 444 c.p.p., versata in atti dal Comune resistente.

Tuttavia il Collegio siciliano ha desunto la fondatezza dell’ipotesi accusatoria formulata nei capi d’imputazione, elevati contro V.A. anche in relazione allo specifico appalto di causa, esclusivamente dalla sua scelta di definire il procedimento penale a suo carico con il ” patteggiamento ” senza la valutazione di altro elemento di conforto lumeggiante la concorrenza dei delitti ascritti.

E tale statuizione appare effettivamente contraria al dictum presente nella sentenza di annullamento.

Difatti questo Supremo Collegio nell’annullare la sentenza d’appello resa dalla Corte peloritana ebbe a precisare che il Giudice di rinvio doveva accertare l’esistenza dell’illecito civile – e non già penale – ” sulla base delle risultanze del patteggiamento e di ogni altra risultanza accertata nel corso del giudizio”.

Detto specifico dictum si poneva nel solco del tradizionale insegnamento al riguardo impartito da questa Corte Suprema – Cass. SU n 21591/13, Cass. SU n. 17289/06 – ossia che, ex se, la sentenza di applicazione pena, ex art. 444 c.p.p., non consente di ritenere provato il fatto illecito proprio per l’espressa previsione presente nell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis.

Tale disposizione non consente l’applicazione del disposto ex artt. 651 e 654 c.p.p., in relazione alla sentenza di “patteggiamento” ma questa è comunque un elemento probatorio da considerare, unitamente alle altre risultanze di causa – Cass. sez. 3 n. 20170/18.

Rettamente parte ricorrente ricorda come già il primo Giudice ebbe a mettere in evidenza che il Comune non aveva inteso versare in causa gli atti d’indagine assunti in sede penale – nemmeno in sede d’appello quali documenti indispensabili – per così metter il Giudice civile in grado di apprezzare, sulla scorta di dati probatori – diversi dalla sentenza de qua – la concorrenza dell’illiceità dedotta in causa ed alla base della domanda di accertamento della nullità del contratto, posto che, ex se, la sentenza di applicazione pena comporta solo che il Giudice civile può ritenere convincenti detti ulteriori dati probatori, valutandoli assieme alla decisione del reo di patteggiare la pena con conseguente inversione dell’onere della prova circa la sua colpevolezza.

Nella specie la Corte peloritana ha fondato la sua decisione esclusivamente sul dato fattuale rappresentato dalla sentenza di applicazione pena senza il conforto di alcun altro dato probatorio, sicché non ha in concreto effettuato la necessaria autonoma valutazione della concorrenza della condotta illecita fondante la dedotta nullità del contratto d’appalto.

Consegue la cassazione della decisione impugnata ed il rinvio della causa nuovamente alla Corte d’Appello di Messina, altra composizione, che attenendosi al principio di diritto sopra individuato nuovamente esaminerà la lite e provvederà a regolare anche le spese di questo giudizio di legittimità.

Con il terzo mezzo d’impugnazione la ricorrente rilevava violazione della disciplina sulle spese di lite, posto che concorrevano valide ragioni per compensare le spese dell’intera lite invece che porle integralmente a suo carico. La censura rimane assorbita dalla cassazione della sentenza impugnata, posto che il Giudice di rinvio dovrà nuovamente provvedere al regolamento delle spese dell’intera lite.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione, che anche regolerà le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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