Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7361 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. II, 07/03/2022, (ud. 20/12/2021, dep. 07/03/2022), n.7361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3378/2017 proposto da:

COMUNE DI FROSINONE, IN PERSONA DEL SINDACO PRO TEMPORE,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BALDUINA 18, presso Dott.ssa

STEFANIA CINAFROCCA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO

CIANFROCCA;

– ricorrente –

contro

UNIONE SINDACATI DI BASE USB, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9,

presso lo studio dell’avvocato LAURA MATTINA, che la rappresenta e

difende;

– controricorrentre –

contro

ICA SRL, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE PRO TEMPORE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1401/2016 del TRIBUNALE di FROSINONE,

depositata il 13/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2021 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che chiede il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Comune di Frosinone ha proposto, con atto avviato alla notifica il 26 gennaio 2017, ricorso per la cassazione della sentenza n. 1401/2016, depositata il 13 dicembre 2016, con cui il Tribunale di Frosinone, confermando la sentenza del Giudice di Pace della stessa città, ha ribadito la fondatezza dell’opposizione spiegata dalla Unione Sindacati di Base – USB avverso l’ordinanza ingiunzione n. 238/2013, con la quale era stata irrogata nei suoi confronti dell’Organizzazione Sindacale la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 533,60 per violazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 24, comma 2 (Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4, concernente il riordino della finanza territoriale) e del regolamento comunale sulla pubblicità.

2. – L’impugnata ordinanza ingiunzione si fondava sulle risultanze di un verbale di accertamento emesso dalla società ICA – Imposte Comunali e Affini s.r.l., concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dei tributi comunali, con il quale si contestava alla opponente di aver esposto senza autorizzazione, su una pensilina presso la fermata dei mezzi pubblici, due locandine con la scritta “(OMISSIS) sciopero generale generalizzato”.

2. – Il Giudice di pace, nell’accogliere l’opposizione, rilevava che non vi era prova che la violazione contestata fosse imputabile alla ricorrente in qualità di trasgressore o di responsabile in solido; sottolineava che il rapporto di solidarietà presuppone che alla base vi sia un mandato, ovvero un diverso titolo che giustifichi un legame tra l’autore materiale della violazione ed il soggetto responsabile in solido con il trasgressore; osservava che nella fattispecie non era stata fornita alcuna prova circa il rapporto intercorrente tra l’autore materiale della violazione e il responsabile in solido, non essendo d’altra parte stato chiarito il titolo per il quale la contestazione era stata mossa.

A sua volta il Giudice d’appello frusinate ha ritenuto non fornita adeguata prova del nesso di collegamento tra la persona, che provvide all’affissione abusiva, e l’Organizzazione sindacale, non risultando all’uopo sufficiente la mera riconducibilità a detta Associazione del benefico desumibile dal messaggio pubblicitario portato sul manifesto.

3. – Il ricorso per cassazione del Comune di Frosinone si articola su unico motivo riferito alla violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6,D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24 e della violazione dei principi in tema di onere probatorio ex art. 2697 c.c..

L’USB ha resistito con controricorso.

La società ICA non ha svolto attività difensiva in questa sede.

5. – Il ricorso è stato in un primo tempo avviato alla trattazione in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

In prossimità della Camera di consiglio, fissata per il 5.3.2020, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

6. – In esito alla Camera di consiglio la Corte ha rinviato il ricorso alla pubblica udienza.

7. – Fissato all’udienza pubblica del 20 dicembre 2021, il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, e del D.L. n. 105 del 2021, art. 7, convertito nella L. n. 126 del 2021, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso venga respinto.

Il Comune ricorrente ha depositato una comparsa di costituzione di nuovo difensore.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di censura l’Ente locale ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione, falsa ed errata interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 e la violazione dei principi e della norma in tema di ripartizione dell’onere probatorio. L’Ente ricorrente si duole che il Giudice di appello abbia ritenuto conforme alla norma di legge in materia che, in difetto di identificazione della persona che materialmente affisse le locandine de quibus, non era predicabile la responsabilità del soggetto interessato alla comunicazione pubblicitaria sulla scorta della sola circostanza dell’inerenza della stessa ai suoi scopi istituzionali.

2. – Occorre premettere la descrizione del quadro normativo di riferimento.

Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24, prevede che alle violazioni delle disposizioni legislative e regolamentari riguardanti l’effettuazione della pubblicità conseguono sanzioni amministrative per la cui applicazione si osservano le norme contenute nelle sezioni I e II del capo I della L. n. 689 del 1981.

Per effetto dell’abrogazione – disposta dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 176 – del comma 5-ter (che era stato aggiunto della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 480), il citato art. 24, non contiene più la norma che, in materia di sanzioni amministrative, prevedeva che qualora il manifesto riguardasse l’attività, tra gli altri, di una organizzazione sindacale, soggetto responsabile fosse esclusivamente colui che materialmente era colto in flagranza nell’atto di affissione, con espressa esclusione della responsabilità solidale.

Il D.Lgs. n. 507 del 1993, contiene un’altra norma di interesse: l’art. 20.1, introdotto dalla L. n. 296 del 2006, il quale prevede che gli oneri derivanti dalla rimozione dei manifesti affissi in violazione delle disposizioni vigenti siano a carico, non dei bilanci comunali ma, dei soggetti per conto dei quali sono affissi, salvo propria contraria.

La responsabilità solidale è disciplinata dalla L. n. 689 del 1981, art. 6. Dopo aver previsto, al comma 1, la responsabilità, in solido con l’autore della violazione, del proprietario della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione, a meno che questi provi che la cosa è stata utilizzata contro la sua volontà, dell’art. 6, comma 3, stabilisce che se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente o l’imprenditore è obbligata in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta.

4. – Sulle questioni sollevate dal ricorso la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi con esiti non perfettamente sovrapponibili.

4.1. – Nella sentenza della I Sezione 24 febbraio 2004, n. 3630, si è affermato che il sindacato, a favore del quale si sia realizzata, ad opera di suoi aderenti rimasti ignoti, l’affissione di manifesti pubblicitari abusivi, è tenuto in solido, pur in mancanza di un proprio specifico intento trasgressivo, a pagare le sanzioni amministrative di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24, a meno che non provi che la condotta illegittima degli autori materiali della violazione si sia avuta in contrasto con particolari sue azioni positive, idonee a ostacolarla o impedirla.

Nella successiva sentenza, della II Sezione, 12 giugno 2009, n. 13770, si è affermato che in tema di sanzioni amministrative emesse, ai sensi dell’art. 24 del citato D.Lgs., per l’affissione di manifesti contenenti messaggi pubblicitari senza la prescritta autorizzazione, la responsabilità solidale della persona giuridica o dell’ente privo di personalità giuridica – nel caso di violazione commessa dal rappresentante o dal dipendente degli enti medesimi, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze – consente di includere nell’ambito applicativo della norma non soltanto i soggetti legati alla persona giuridica o all’ente da un formale rapporto organico, ovvero da un rapporto di lavoro subordinato, ma anche tutti i casi in cui i rapporti siano caratterizzati in termini di affidamento (inteso come materiale consegna all’autore della violazione del materiale pubblicitario) o di avvalimento (inteso come attività di cui il committente profitta); ciò tuttavia, a condizione che l’attività pubblicitaria sia comprovatamente riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione ed ente o persona giuridica opponente, restando comunque escluso che il beneficiario del messaggio pubblicitario sia solidalmente responsabile della violazione per il solo fatto di averne potuto trarre giovamento.

I principi espressi in Cass., Sez. I, n. 3630 del 2004 sono stati ripresi da Cass., Sez. I, 28 giugno 2006, n. 15000, e da Cass., Sez. II, 25 gennaio 2012, n. 1040, le quali concernono violazioni amministrative non in materia di imposta di pubblicità, bensì in materia di disciplina della cartellonistica sulla sede stradale ex art. 23 C.d.S..

La sentenza n. 13770 del 2009 è stata ripresa da due recenti arresti della Sezione Sesta – 2 che hanno, entrambi, confermato la sentenza di merito in controversie, analoghe alla presente, tra l’associazione sindacale USB ed il Comune di Frosinone (ordinanza 4 gennaio 2019, n. 100, che ha rigettato il ricorso dell’associazione sindacale, e ordinanza 20 novembre 2018, n. 29891, che ha rigettato il ricorso del Comune).

5. – Il Collegio osserva che un punto fermo, e pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, è rappresentato dalla possibilità di predicare la responsabilità solidale della persona giuridica, o dell’ente privo di personalità giuridica, non solo quando l’autore è legato al soggetto collettivo da un formale rapporto organico ovvero da un rapporto di lavoro subordinato, ma anche in tutti i casi in cui i rapporti siano caratterizzati in termini di affidamento (inteso come materiale consegna all’autore della violazione del materiale pubblicitario) o di avvalimento (inteso come attività di cui il committente si giova).

Si tratta di un indirizzo nomofilattico costante che, nella sentenza n. 1040 del 2012, si trova compendiato nell’affermazione secondo cui dell’art. 6, comma 3, individua “nel rapporto oggettivo e funzionale della condotta tenuta con l’interesse ovvero gli scopi di una persona giuridica o di un ente di fatto” il titolo stesso della solidarietà di detti enti con l’autore della violazione, indipendentemente dalla identificazione della persona fisica che ha commesso materialmente la violazione; e che la sentenza n. 13770 del 2009 declina e scolpisce nella comprovata riconducibilità dell’attività pubblicitaria al beneficiario.

Il titolo di responsabilità solidale può essere rinvenuto, in base dell’art. 6, comma 1, anche nella proprietà della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione. Proprio in vicenda di affissione abusiva di manifesti, Cass., Sez. I, 24 marzo 2004, n. 5891, ha affermato il principio secondo il quale la L. n. 689 del 1981, art. 6, considera obbligato in solido, con l’autore materiale dell’illecito, il proprietario della cosa che servì a commettere la violazione, salvo che quest’ultimo dimostri che la cosa sia stata utilizzata (ossia, nel caso, che l’affissione sia avvenuta al di fuori degli spazi consentiti) contro la sua volontà, e senza peraltro che l’identificazione dell’autore materiale possa ritenersi requisito di legittimità per l’operatività della presunzione a carico del proprietario.

6. – Un secondo punto fermo è rappresentato dal principio, espresso a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2017, n. 22082), secondo cui la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione.

7. – Il terzo aspetto condiviso è costituito dal rilievo che a giustificare l’imputazione solidale non basta la circostanza di fatto del mero giovamento. La sentenza n. 1370 del 2009 richiede che l’attività pubblicitaria sia comprovatamente riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione ed ente o persona giuridica opponente ed esclude che il beneficiario del messaggio pubblicitario possa essere ritenuto solidalmente responsabile della violazione per il solo fatto di averne potuto trarre giovamento. E tale sottolineatura è ribadita nella giurisprudenza successiva: nella ordinanza n. 29891 del 2018 e nella ordinanza n. 100 del 2019.

8. – In questo contesto, ritiene il Collegio che, in tema di sanzioni amministrative emesse, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24, per l’affissione di manifesti contenenti messaggi pubblicitari senza la prescritta autorizzazione, ai fini della configurabilità della responsabilità solidale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, non è sufficiente il solo fatto di averne potuto trarre, il soggetto collettivo, giovamento, ma si richiede che i manifesti siano stati affissi per conto del detto soggetto, che cioè l’attività pubblicitaria sia riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione ed ente opponente.

9. – Nella specie il Giudice d’appello frusinate ha correttamente ritenuto che il titolo di responsabilità solidale della Confederazione sindacale, individuato nella proprietà del mezzo usato per la commissione dell’infrazione, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1, non poteva esser ritenuta in forza dei due elementi presuntivi precisati nella contestazione: l’inerenza del messaggio, affisso senza autorizzazione, agli scopi dell’ente; la presenza, in calce alla locandina, delle indicazioni relative alla USB.

Il Giudice del gravame ha infatti ritenuto necessaria prova più adeguata, rispetto alle presunzioni dianzi evocate, del collegamento tra l’autore dell’affissione abusiva e l’Ente che fruisce del messaggio pubblicitario.

10. – L’Ente locale ricorrente contesta questa conclusione anche poiché contraria ad arresti di questo Supremo Collegio; sostiene che la riconducibilità del fatto alla norma L. n. 689 del 1981, ex art. 6, conseguirebbe alla prova presuntiva, fornita in causa circa la proprietà del manifesto, mediante l’inerenza del messaggio pubblicitario divulgato allo scopo dell’Organizzazione sindacale – la locandina pubblicizzava uno sciopero generale indetto anche dalla USB.

11. – La doglianza non coglie la testa del chiodo.

11.1. – Occorre premettere che in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua dello stesso art. 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta (Cass., Sez. lav., 16 novembre 2018, n. 29635; Cass., Sez. Lav., 30 giugno 2021, n. 18611).

Infatti – come hanno osservato le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) – è possibile il sindacato per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non solo nell’ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la norma dell’art. 2729 c.c., deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione di tale disposizione, fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della fattispecie astratta, ma erroneamente applicata alla fattispecie concreta.

Secondo la giurisprudenza della Corte, il giudizio sulla gravità e precisione del ragionamento presuntivo, imposto dall’art. 2729 c.c., ha per oggetto la ricorrenza della inferenza probabilistica impostata dal giudice del merito per desumere dal fatto noto il fatto ignoto e si concretizza in un controllo di stretta legittimità, secondo parametri di elevata probabilità logica insiti nei caratteri stessi di gravità e precisione.

11.2. – Il Collegio ritiene corretta la conclusione del Tribunale frusinate circa l’assenza d’adeguata prova del collegamento tra l’ignoto autore dell’affissione e l’Organizzazione sindacale poiché gli elementi presuntivi, ancora in questa sede ritenuti validi dall’Ente locale impugnante, non palesano i requisiti della gravità e della precisione.

Infatti, per un verso parte impugnante desume la proprietà del manifesto in capo alla Confederazione sindacale dall’inerenza del messaggio pubblicizzato agli scopi dell’ente, ma non ha considerato che lo “sciopero generale generalizzato” dell'(OMISSIS) era stato proclamato da più sigle sindacali, non solo dall’USB, sicché, mancando un collegamento diretto ed esclusivo dello sciopero con quel sindacato, viene meno la logica inferenziale che consente di attribuire la proprietà dello stampato alla Confederazione stessa. Il criterio dell’interesse è privo, nella specie, del carattere della selettività: uno sciopero generale, indetto da più sigle sindacali, riguarda tutte le organizzazioni sindacali che lo hanno proclamato e i lavoratori ad esse iscritti, fino a coinvolgere qualsiasi cittadino attento alle problematiche dei rapporti di lavoro.

Per altro verso, difetta del connotato della precisione e della gravità la presunzione della proprietà del manifesto desunta dal fatto che, tra l’altro, la locandina “riporta le indicazioni”, peraltro non meglio dettagliate, “relative alla USB – Unione Sindacati di Base”: la presunzione della proprietà di quel manifesto avrebbe richiesto un indizio più stringente, come la presenza del logo della specifica organizzazione sindacale e l’individuazione nella Confederazione del soggetto che ha proceduto a commissionare al tipografo la stampa del manifesto – tra le indicazioni prescritte dalla L. n. 47 del 1948, n. 5, anche per la stampa non periodica – e ad assumere l’iniziativa di comunicazione.

In altri termini, trarre dalle “indicazioni relative alla USB”, senza ulteriori elementi fattuali da cui si possa desumere l’iniziativa nella stampa del manifesto, la proprietà del manifesto stesso facente riferimento ad uno sciopero generale proclamato da più sindacati, non risponde ai criteri di elevata probabilità logica su cui riposa la presunzione.

Resta quindi confermato il ragionamento fondante la statuizione assunta dal Tribunale frusinate con la sentenza impugnata.

12. – Sussistono giustificati motivi, legati alla complessità delle questioni trattate, per la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità, mentre concorrono le condizioni acché parte impugnante versi l’ulteriore importo pari al contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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