Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7360 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 26/03/2010), n.7360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso-lo studio dell’avvocato FERRETTI GIAN ALBERTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BARBATO MICHELE, giusta mandato

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 243/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 21/02/2006 r.g.n. 1971/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/01/2010 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato BARBATO MICHELE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe indicata del 21 febbraio 2006 la Corte d’appello di Salerno, riformando la statuizione di primo grado, rigettava la domanda proposta da R.C. per la declaratoria di illegittimità del licenziamento che gli era stato intimato dalla spa Poste Italiane. La Corte territoriale, quanto ai dedotti vizi di forma, rilevava che, tra la lettera di contestazione degli addebiti. consegnata a mano il primo dicembre 1999, e la ricezione da parte delle Poste del telegramma contenente la richiesta di esame personale, avvenuta alle opera 9,41 del 7 dicembre successivo, erano trascorsi i cinque giorni entro cui il lavoratore avrebbe dovuto avanzare la richiesta di audizione, valendo a tal fine non già il termine di spedizione della richiesta, ma quella della sua ricezione.

Quanto al merito, essendo stato contestato di avere reiteratamente posto in essere una attività illecita nell’espletamento del servizio di pagamento di buoni postali fruttiferi e di libretti di risparmio, la Corte rilevava che i testi avevano confermato l’esistenza degli illeciti contestati, giacchè la teste V. aveva riferito di avere riscosso il denaro dei suoi buoni postali per venti milioni, mentre il direttore della sede l’aveva successivamente chiamata, comunicandole che le avrebbero dovuto consegnare non venti, ma venticinque milioni; anche il teste T. aveva riferito che il conto sul suo libretto risultava di trentacinque milioni, nonostante poco tempo prima recasse invece la somma di cinquantacinque milioni;

la Corte, contrariamente al primo Giudice, riteneva attendibili queste deposizioni, anche perchè non era mai stata avanzata dagli interessati domanda di restituzione, ed il loro errore era spiegabile con la fiducia riposta nei confronti del R.. Peraltro, tutte dette operazioni erano state adeguatamente documentate dalla società con la produzione dei buoni e del libretto postale. La Corte affermava quindi che detti comportamenti erano idonei a ledere il vincolo fiduciario, ancor più necessario per l’operatore di banca.

Avverso detta sentenza il soccombente propone ricorso con tre motivi.

Resiste la spa Poste Italiane con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta isolazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per avere la Corte ritenuto tardiva la sua istanza di audizione personale.

La censura non merita accoglimento, giacchè la Corte territoriale si è limitata ad interpretare la disposizione del CCNL. Sul punto è già stato affermato, in analoga controversia (Cass. n. 7145 del 09/05/2003) che “L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune spetta al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo non per vizi della motivazione o per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, nell’applicare l’art. 86, comma 6, del CCNL per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, il quale prevede il maggior termine, rispetto a quello di cinque giorni stabilito dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, di dieci giorni per la presentazione della richiesta di audizione, aveva ritenuto che il termine “presentare” equivalesse a far pervenire e non già a spedire, non potendosi fare carico al datore di lavoro di attendere indefinitamente una comunicazione spedita ma non pervenuta nel termine e gravando invece sul lavoratore il rischio volontariamente assunto del ritardo nella presentazione a mezzo spedizione.

Con il secondo si lamenta ancora la violazione della medesima norma e dell’art. 1421 cod. civ., a causa della tardi vita della contestazione, avendo la società conosciuto il fatto a dicembre 1998- gennaio 1999 ed avendoglielo contestato solo undici mesi dopo; il giudice di merito non avrebbe verificato d’ufficio la immediatezza del rilievo disciplinare; sarebbe stata violata anche la regola della specificità delle contestazioni.

Il motivo è inammissibile in quanto concerne questioni, come la tardività della contestazione e la sua specificità, che non sono state sollevate nei gradi di merito. La sentenza impugnata infatti non ne fa cenno ed in ricorso non si precisa dove e quando erano state eccepite, al contrario, si accenna, erroneamente, al fatto che le medesime avrebbero dovuto essere rilevate d’ufficio.

Con il terzo mezzo si censura la sentenza per violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2119 cod. civ., nonchè per difetto di motivazione, per avere ritenuto l’attendibilità dei testi, giacchè gli errori in cui costoro erano incorsi sarebbero veramente macroscopici. Si sostiene altresì che i comportamenti contestati non sarebbero idonei a scuotere la fiducia.

Neppure questo motivo merita accoglimento, dal momento che la sentenza impugnata ha coerentemente spiegato le ragioni che inducevano a ritenere l’attendibilità dei testi, prima tra tutte il fatto che costoro non avevano mai chiesto la restituzione di quanto loro competeva. Inoltre, nessuna incongruenza si ravvisa nel convincimento espresso dalla Corte adita sul fatto che le violazioni commesse a danno dei correntisti, riguardando i precipui compiti istituzionali dell’impiegato addetto al credito, fossero idonee a scuotere la fiducia ed il sospetto della loro reiterazione.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 10,00, oltre duemilacinquecento Euro per onorari.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

 

 

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