Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7359 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 31/03/2011), n.7359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12056-2007 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PISANELLI

4, presso lo studio dell’avvocato GIGLI GIUSEPPE, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato BERTANZETTI OSCAR, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI ROMA, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI

LECCO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 10/2006 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 01/03/2 006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.G. ha proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia depositata il 1/03/2006 che aveva rigettato il ricorso per revocazione proposto da G.G. avverso la sentenza n. 129/5/02 dep. il 13/11/2002 della medesima commissione; quest’ultima aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso del contribuente in ordine agli avvisi di accertamento per IRPEF ed ILOR per gli anni dal 1989 al 1994; la CTR, in particolare, riformando la sentenza gravata, riteneva validi gli avvisi di accertamento per gli anni 1989, 1992,1993 e 1994, escludeva la validità del condono per l’anno 1990 e riteneva validi gli accertamenti bancari per l’anno 1991.

La CTR, con la sentenza ora impugnata, aveva escluso l’errore revocatorio assunto e cioè che i dati derivanti dagli accertamenti a carico della Com Car sas di cui il G. era accomandante, benchè desunti dai conti correnti del G. andavano attribuiti alla società e poi al G. in proporzione alla quota e non imputati integralmente al G., ritenendo che il G. non avesse dato prova che quelle somme fossero attribuibili alla società, onde dovevano essere ritenute disponibili dallo stesso.

In ordine poi al motivo fondato sulla contrarietà con le sentenze n. 216/03/00 e 2/03/01 della CTR di Lecco depositate il 22/01/2001, emesse tra le medesime parti e sul medesimo PVC, con cui era stata ritenuta la illegittimità degli accertamenti perchè la autorizzazione era stata concessa nei confronti della società COM Car e non del G., osservava testualmente: “rileva il fatto che l’accertamento sia stato compiuto e autorizzato l’utilizzo dei conti correnti bancari quale strumento nei confronti di G.G. persona fisica e non nei confronti della società”.

La CTR riteneva però assorbente il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64 da cui risultava che essendo stato proposto ricorso per cassazione non era ammissibile la revocazione.

Pone il ricorrente a sostegno del ricorso tre motivi. L’Agenzia delle Entrate non ha resistito.

La causa veniva rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, comma 1 laddove la CTR aveva ritenuto che essendo la sentenza impugnabile per cassazione, come lo era stato, sarebbe inammissibile il ricorso per revocazione. Il motivo deve essere esaminato, per la stretta connessione logica e giuridica, col terzo motivo con cui il contribuente deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, comma 1 e art. 395 c.p.c., commi 1 e 4, oltre vizio motivazionale, per avere la CTR ritenuto che i redditi desumibili dalla movimentazione bancaria fossero redditi sociali poi ripartiti tra i soci, in virtù del noto principio, laddove dal PVC risultava che tali movimentazioni riguardavano l’attività personale, con ciò incorrendo la CTR in errore percettivo. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64 così statuisce: (Sentenze revocabili e motivi di revocazione).

1. Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c..

2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per i motivi di cui all’art. 395 c.p.c., , nn. 1, 2, 3 e 6 purchè la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui all’art. 395 c.p.c., n. 6 siano posteriori alla scadenza del termine suddetto.

3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.

La sentenza, sul punto impugnato, così si esprime testualmente: “E’ tuttavia assorbente rispetto alle eccezioni del ricorrente il disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, art. 64, comma 1 in quanto stabilisce che contro le sentenze delle Commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non impugnate è concessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c.. Dagli atti risulta che avverso la sentenza in oggetto sia stato prodotto ricorso in cassazione, ciò conferma che non è concessa nel caso in esame la revocazione” pur avendo esaminato, nella prima parte della motivazione) il merito della revocazione, ritenendolo infondato.

Al fine di valutare l’ammissibilità del primo motivo, occorre verificare se la decisione della CTR su tale punto sia stata emessa ad abundantiam, si da ritenere operante il principio affermato da Cass. SS.UU. n. 08087/2007 secondo cui le affermazioni contenute nella sentenza relative al merito dell’azione effettuate nella riconosciuta carenza di giurisdizione ed estranee all’unica “ratio decidendi” della sentenza, avendo natura di argomentazioni meramente ipotetiche svolte “ad abundantiam” non sono censurabili in sede di legittimità per insussistenza dell’onere e dell’interesse ad impugnare.

Richiamando quanto sopra esposto, poichè la CTR, pur avendo delibato positivamente la questione della inammissibilità della revocazione e averla ritenuta assorbente (valutazione che avrebbe, logicamente, imposto di emettere pronunzia conforme senza entrare nel merito) ha, invece, esaminato anche il merito ritenendolo infondato,ciò dimostra che la stessa non si è privata della giurisdizione e che la sua decisione sui motivi di revocazione non può ritenersi ipotetica e ad abundantiam.

Appaiono, pertanto, nella impostazione della sentenza plurime rationes decidendi, ritenute compatibili, tutte impugnate dal ricorrente.

Il motivo, ammissibile sotto tale verso, e, comunque non privo d’interesse, è però infondato atteso il chiaro disposto dell’art. 64 sopra citato che esclude la possibilità di agire in revocazione ove la sentenza impugnata involga accertamenti di fatto e sia stata impugnata (come nel caso in esame)con ricorso per cassazione.

E’ invero desumibile per tabulas che la soluzione della questione comportava accertamenti di fatto, e essendo stata la sentenza impugnata con il ricorso per cassazione, s’è consumato il diritto ad agire in revocazione. Il terzo motivo di ricorso (relativo ai sopradedotti vizi in ordine al rigetto nel merito della revocazione), in conseguenza della ritenuta inammissibilità della revocazione, è pertanto assorbito.

Diverso discorso va fatto per il secondo motivo d’impugnazione con cui il G. si duole di violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, comma 1 e art. 395 c.p.c., commi 1 e 5 oltre vizio motivazionale per avere la CTR escluso la efficacia del giudicato costituito dalle sentenze emesse in ordine agli anni d’imposta 1995 e 1996 che avrebbero accertato l’illegittimità dell’acquisizione dei dati bancari oggetto di un unico accertamento.

Essendo le sentenze passate in giudicato il 9/03/2002, prima del deposito della sentenza n. 129/02 della CTR, e non essendo stata la questione fatta valere in quel giudizio, il ricorso per revocazione è ammissibile in base al principi affermato da queste SS.UU. n. 21493/2010 secondo cui in tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita nel corso dello stesso dalla parte interessata, la sentenza d’appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione.

Questa Corte (Cass. SS.UU. n. 208/2001, n. 14714/2001) ha poi ritenuto che nel contenzioso tributario, ai fini dell’applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 5 (richiamato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 64), perchè una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che l’oggetto del secondo giudizio sia costituito dal medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo,ovvero che in quest’ultimo sia stato definitivamente compiuto un accertamento radicalmente incompatibile con quello operante nel giudizio successivo; ne consegue che – posto che, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, “ex” art. 7 (TUIR), l’imposta sui redditi è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma – non è confìgurabile il detto motivo di revocazione allorchè il precedente giudicato si riferisca ad un’annualità di imposta sui redditi diversa dal periodo d’imposta considerato nella impugnata sentenza.

Orbene nel caso in esame la parte nessun elemento fornisce, se non scarni e parziali riferimenti alle sentenze invocate, in violazione dei principi di autosufficienza del ricorso, per ritenere la superiore incompatibilità tra le predette sentenze, ove si consideri che nei motivi della decisione si parla di “conti bancari di G. G., cui afferiscono redditi che non sono affluiti alla società”e, pertanto,facendo riferimento ad una indagine sull’attività individuale del G..

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Non si provvede sulle spese non essendosi l’Ufficio difeso.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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