Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7353 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, (ud. 12/01/2017, dep.22/03/2017),  n. 7353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20993-2015 proposto da:

COMUNE di ALCAMO, in persona del Commissario Straordinario legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TOMMASO SALVINI 55, presso lo studio dell’avvocato CARLO D’ERRICO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNA MISTRETTA giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A., ST.MA.AN., ST.BA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1106/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza non definitiva resa in data 10/9/2012, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della decisione di primo grado, ha condannato il Comune di Alcamo al risarcimento dei danni sofferti da S.A., St.An. e St.Ba. a seguito dell’allagamento dei propri immobili determinati dal malfunzionamento del sistema di smaltimento delle acque piovane verificatosi in occasione di un’alluvione in data 27/9/1998.

Con la successiva sentenza definitiva del 3/7/2014, la corte territoriale ha liquidato gli importi a titolo risarcitorio dovuti dal Comune convenuto.

2. Avverso entrambe le sentenze della corte d’appello, ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Alcamo, sulla base di tre motivi d’impugnazione.

3. Nessuno degli intimati ha svolto difese in questa sede.

4. A seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il Comune ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il Comune ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 342 c.p.c., nonchè per omesso esame del primo motivo di censura avanzato dal Comune nei confronti dell’appello delle controparti.

Osserva il ricorrente come la corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di rilevare l’inammissibilità dell’appello proposto dalle controparti avverso la sentenza di primo grado in ragione dell’irriducibile genericità dei relativi motivi.

2. Il motivo è inammissibile (per contrasto con l’art. 366 c.p.c., n. 6, in difetto di idonee allegazioni a sostegno della censura avanzata) e in ogni caso manifestamente infondato.

Osserva il collegio – per quanto rilevabile dagli atti in suo possesso – come la corte territoriale, nell’esaminare l’atto d’appello proposto dagli originari attori avverso la sentenza di primo grado, abbia individuato con certezza le specifiche censure rivolte avverso la pronuncia del primo giudice, dando conto dei relativi contenuti e dimostrando di poter pervenire senza difficoltà al relativo esame e alla decisione sollecitata.

Si tratta di un percorso logico, quello seguito dalla corte territoriale, del tutto congruo e lineare, rispetto all’atto di impugnazione proposto in sede d’appello dagli attori originari, di per sè comunque sufficiente a ritenere totalmente priva di fondamento l’odierna censura del Comune ricorrente.

3. Con il secondo motivo, l’amministrazione ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2051 c.c., nonchè degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., oltre che per omesso esame di un fatto decisivo controverso, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto responsabile il Comune di Alcamo in relazione all’allagamento degli immobili di proprietà delle controparti, ribaltando l’onere probatorio (con particolare riguardo al nesso eziologico fra evento e danno) e fornendo una motivazione contraddittoria, insufficiente ed erronea nella valutazione dei fatti.

4. Il motivo è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile.

Rileva il collegio come il giudice di primo grado abbia attestato l’infondatezza delle originarie domande proposte dagli attori, sul presupposto che, pur essendo certamente identificabile, la causa dei danni dagli stessi sofferti, nell’alluvione abbattutasi sulla città di Alcamo, non vi fosse la prova del malfunzionamento del sistema di smaltimento delle acque piovane gestito dall’amministrazione comunale.

Ciò posto, diversamente qualificando le circostanze di fatto sottoposte all’attenzione del giudice, la corte territoriale, in applicazione dell’art. 2051 c.c. (in relazione alla custodia degli impianti di smaltimento dell’acqua piovana) ha spiegato come, intanto i danni agli immobili degli attori ebbero a verificarsi, in quanto, con evidenza, il normale smaltimento delle acque piovane (rimesso all’ordinario funzionamento dell’impianto custodito dal Comune) non si realizzò, senza che il Comune di Alcamo, custode dell’impianto, fosse riuscito a fornire la prova del caso fortuito (o del ricorso di eventi di carattere eccezionale) suscettibile di escluderne la responsabilità per i danni conseguenti, secondo la piana applicazione dell’art. 2051 c.c..

Si tratta di una motivazione pienamente corretta, sul piano giuridico, e del tutto congrua sul terreno dell’argomentazione logica, priva di alcuna censurabilità sotto il profilo dell’interpretazione delle norme di legge e della sussunzione dei fatti concreti nello spettro della fattispecie astratta richiamata, che le odierne doglianze del Comune ricorrente non valgono a scalfire.

Quanto alla pretesa sussistenza dei vizi motivazionali denunciati dal ricorrente, è appena il caso di rilevare come la censura sul punto sollevata dal Comune si ponga del tutto al di fuori dei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo il ricorrente totalmente omesso di indicare i pretesi fatti decisivi controversi in ipotesi trascurati dall’esame della corte territoriale (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

5. Con il terzo motivo, il Comune ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. in materia di onere della prova sul quantum debeatur.

6. Il motivo è inammissibile.

Con riguardo alla liquidazione dei danni operata dalla corte territoriale, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia conferito decisivo rilievo al giuramento estimatorio prestato dai danneggiati, a tale strumento processuale affidando la prova dell’entità del pregiudizio patrimoniale dagli stessi effettivamente subito.

Rispetto a tale discorso giustificativo della sentenza d’appello, nessuna specifica censura risulta sollevata dal Comune ricorrente, essendosi quest’ultimo limitato alla generica denuncia dell’insussistenza di prove adeguate relative al quantum debeatur senza tener conto dei termini effettivi della motivazione denunciata, peraltro in aperto contrasto con i principi di diritto fatti propri da Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016 (in motivazione).

7. L’accertamento della manifesta infondatezza del ricorso – cui la memoria successivamente depositata non ha apportato significativi elementi di valutazione di segno contrario – impone la pronuncia del relativo rigetto, con la conseguente condanna del Comune ricorrente al rimborso delle spese del giudizio.

Non vi è luogo all’adozione di alcun provvedimento in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo nessuno degli intimati svolto difese in questa sede.

PQM

Rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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