Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7353 del 14/03/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/03/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 14/03/2019), n.7353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Di VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel.Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23000/2018 R.G. proposto da:

B.M.G., rappresentato e difeso dall’Avv.

Armando Restignoli, con domicilio eletto in Roma, viale G. Mazzini,

n. 4;

– ricorrente –

contro

L.C.L., rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Calabrese,

con domicilio eletto in Roma, via D. Chelini, n. 20;

– resistente –

per regolamento di competenza avverso il decreto del Tribunale di

Milano depositato il 3 luglio 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio

2019 dal Consigliere Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Zeno Immacolata, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M.G., premesso di essere separato consensualmente dalla moglie L.C.L. con verbale dell’11 dicembre 2012, omologato dal Tribunale di Roma con decreto del 18 dicembre 2012, ha convenuto in giudizio la donna, per sentir confermare l’affidamento esclusivo della figlia A., nata dall’unione, con il collocamento della minore presso di sè, l’eventuale sospensione della madre dalla responsabilità genitoriale, la regolamentazione delle visite e la determinazione del contributo dovuto dalla L. per il mantenimento della figlia.

Si è costituita la convenuta, ed ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice italiano, sostenendo che dinanzi al Giudice degli Stati Uniti d’America pende il giudizio di divorzio, da lei promosso in data anteriore alla proposizione della domanda di affidamento, nell’ambito del quale è stato ordinato l’immediato rientro della minore nello Stato di Washington.

1.1. Con decreto del 3 luglio 2018, il Tribunale di Milano ha disposto la sospensione del processo sino alla decisione del Giudice statunitense in ordine alle domande riguardanti la responsabilità genitoriale e il mantenimento della minore proposte nell’ambito del giudizio di divorzio.

A fondamento della decisione, il Tribunale ha rilevato che, avendo il B. proposto domanda di modificazione delle condizioni della separazione dinanzi al Tribunale di Roma, la L. aveva promosso il giudizio di divorzio dinanzi al Giudice statunitense, proponendo contestualmente ricorso per regolamento di giurisdizione, in ordine al quale la Corte di cassazione, con sentenza del 5 giugno 2017, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice italiano; nel frattempo, la minore era stata condotta in Italia, e le parti si erano accordate per il temporaneo affidamento al padre, con l’adozione dei provvedimenti conseguenti; con sentenza del 26 luglio 2017, il Tribunale di Roma aveva quindi preso atto della decisione della Suprema Corte, disponendo, in via provvisoria ed urgente ai sensi del Reg. UE n. 2201 del 2003, art. 20 e della Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, che la minore rimanesse in Italia e continuasse a frequentare la scuola italiana, fino a che il Giudice statunitense non avesse adottato i provvedimenti definitivi. Successivamente, la L. aveva riassunto il giudizio di divorzio, nell’ambito del quale il Giudice statunitense aveva disposto l’affidamento prevalente della minore alla madre, ordinando al padre di ricondurla nello Stato di Washington e riaffidarla alla custodia della stessa, ed invitando le parti a presentare un progetto temporaneo di genitorialità. Tali ordini erano stati infine sospesi con provvedimenti del 4 dicembre 2017 e del 5 gennaio 2018, in cui la Corte d’appello statunitense aveva dato atto del contrasto tra i provvedimenti adottati dalle due giurisdizioni, riservandosi la decisione.

Ciò posto, il Tribunale ha ritenuto applicabile il criterio della residenza abituale della minore, previsto dalla Convenzione dell’Aja, art. 5, e dal Reg. UE, art. 8, nonchè dal Reg. UE n. 4 del 2009, art. 3, lett. d). Premesso che il procedimento in esame è stato instaurato dopo la ripresa del giudizio di divorzio, e rilevato che alla data di proposizione della domanda la minore, condotta in Italia con l’autorizzazione del Giudice americano, qui viveva da oltre un anno sulla base di una comune volontà delle parti, ed era stata iscritta a scuola in virtù di un provvedimento adottato dal Tribunale di Roma in attesa della decisione del Giudice statunitense, ha osservato che le domande proposte dal B., come quelle proposte dinanzi al Giudice statunitense, hanno ad oggetto la responsabilità genitoriale, ed ha pertanto concluso per la sussistenza di una situazione di litispendenza internazionale, idonea a giustificare la sospensione del processo ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 7, escludendo invece l’applicabilità del Reg. UE., art. 19. Ha aggiunto che i provvedimenti adottati dal Giudice statunitense ben potranno essere riconosciuti in Italia, ai sensi della L. n. 218, art. 64, lett. a), dal momento che alla data di proposizione della domanda avanzata dalla L., in riferimento alla quale dev’essere valutata la giurisdizione, la minore viveva ancora ad (OMISSIS) (Washington) con la madre. Ha fatto comunque salva la facoltà del Giudice statunitense di valutare l’applicabilità della Convenzione dell’Aja, art. 8, nonchè la possibilità di tener conto, ai fini della decisione, dell’intervenuta evoluzione della situazione della minore, anche alla luce degli accertamenti compiuti dal c.t.u. nominato nel corso del procedimento, da cui sono emersi i buoni rapporti tra A. e la madre, nonchè la disponibilità del padre ad assecondare le richieste della figlia. Ha escluso infine la necessità di adottare provvedimenti provvisori ed urgenti, in considerazione della perdurante efficacia di quelli già assunti dal Tribunale di Roma e della facoltà delle parti di raggiungere accordi in ordine alle modalità di visita della minore.

2. Avverso il predetto decreto il B. ha proposto istanza di regolamento di competenza, per due motivi, illustrati anche con memoria. La L. ha resistito con memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va ribadita l’ammissibilità del regolamento di competenza, conformemente al principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di litispendenza internazionale, secondo cui l’ordinanza con cui il giudice successivamente adito sospende il processo finchè quello precedentemente adito non abbia affermato la propria giurisdizione non implica una questione di giurisdizione, suscettibile di risoluzione in via preventiva mediante lo strumento previsto dall’art. 41 c.p.c., ma si risolve nella verifica dei presupposti di natura processuale inerenti all’identità delle cause ed alla pendenza del giudizio instaurato per primo, ed è quindi impugnabile ai sensi dell’art. 42 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., 22/12/2017, n. 30877).

2. A sostegno dell’istanza, il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 218 del 1995, art. 7, in riferimento alla medesima L., art. 64, ed alla Convenzione dell’Aja, art. 5, osservando che, nel dichiarare la litispendenza internazionale, il decreto impugnato ha erroneamente affermato che i provvedimenti del Giudice statunitense potranno avere efficacia in Italia. Il Tribunale non ha infatti considerato che, ai sensi del citato art. 5, comma 2, richiamato dalla L. n. 218 del 1995, art. 42, la competenza ad adottare misure tendenti alla protezione della persona del minore o dei suoi beni spetta, in caso di lecito trasferimento della residenza abituale del minore, all’autorità dello Stato di nuova abituale residenza. Tale disposizione, contenuta nella Convenzione dell’Aja del 19 novembre 1996, ratificata con L. 18 giugno 2015, n. 101, riproduce quella di cui alla precedente Convenzione del 5 ottobre 1961, art. 5, ma, a differenza della stessa, non prevede il perdurare della competenza previamente esistente, in tal modo escludendo la perpetuatio jurisdictionis, e rendendo quindi inapplicabile l’art. 5 c.p.c. Nella specie, pertanto, il Giudice statunitense non può ritenersi investito della giurisdizione in ordine ai provvedimenti richiesti nell’interesse della minore, dal momento che quest’ultima da tempo non risiede più negli Stati Uniti, ma in Italia, in virtù del provvedimento adottato dal Tribunale di Roma il 26 luglio 2017, con la conseguenza che deve escludersi anche l’operatività del meccanismo previsto dall’art. 8 della Convenzione.

1.1. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale ha errato anche nel ritenere che le domande proposte dinanzi al Giudice italiano siano identiche a quelle avanzate dinanzi al Giudice statunitense, non avendo considerato che, mentre egli ha chiesto l’affidamento della figlia, il collocamento della stessa, l’attribuzione esclusiva della responsabilità genitoriale e la sospensione di quella materna, la L. si è limitata a chiedere la determinazione del calendario delle visite ed il contributo per il mantenimento della figlia, senza fare riferimento al regime dell’affidamento ed alla responsabilità genitoriale, nè al collocamento della minore, ma limitandosi ad affermare che alla data della domanda di divorzio la stessa risiedeva stabilmente nello Stato di Washinqton.

2. Il ricorso è infondato.

La litispendenza internazionale è disciplinata in via generale dalla L. n. 218 del 1995, art. 7, il quale dispone che, ove nel corso del giudizio sia eccepita la previa pendenza tra le stesse parti di una domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano, sospende il giudizio. La sospensione è pertanto subordinata alla duplice condizione dell’identità tra la domanda proposta dinanzi al Giudice italiano e quella proposta dinanzi al Giudice straniero e dell’idoneità del provvedimento richiesto a quest’ultimo a produrre effetti anche nell’ordinamento italiano. In materia di rapporti familiari, la predetta idoneità è a sua volta disciplinata dalla citata L. n. 218, il quale prevede, rispetto all’art. 64, un meccanismo di riconoscimento complementare a quello previsto dall’art. 64 per le sentenze, ed allargato alla più generale categoria dei “provvedimenti”, che, pur richiedendo soltanto il concorso dei presupposti della non contrarietà all’ordine pubblico e dell’avvenuto rispetto dei diritti essenziali della difesa, postula tuttavia logicamente il requisito aggiuntivo dell’assunzione del provvedimento da parte delle autorità dello Stato la cui legge è quella richiamata dalle norme di conflitto (cfr. Cass., Sez. I, 17/07/2013, n. 17463; 28/05/2004, n. 10378).

Nella specie, la sussistenza dei predetti requisiti è stata già accertata dalle Sezioni Unite con ordinanza del 5 giugno 2017, n. 13912, con cui è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice italiano relativamente alla domanda di modificazione delle condizioni della separazione proposta dal B. dinanzi al Tribunale di Roma, a causa della precedente introduzione da parte della L. del giudizio di divorzio negli Stati Uniti d’America, dinanzi al cui Giudice era stata richiesta anche l’adozione dei provvedimenti nell’interesse della figlia A., all’epoca residente con la madre in quel Paese. Premesso che, in quanto rivolta unicamente all’affidamento della figlia minore al padre, l’azione proposta dinanzi al Tribunale di Roma riguardava esclusivamente la responsabilità genitoriale, le Sezioni Unite hanno infatti affermato che i provvedimenti che, pur incidendo sulla potestà dei genitori, perseguono una finalità di protezione del minore, rientrano nel campo di applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 42, che rinvia alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, ed hanno ritenuto pertanto applicabile l’art. 1 di tale Convenzione, che attribuisce la giurisdizione al giudice dello Stato di residenza abituale del minore, escludendo invece l’applicabilità dell’art. 4, che stabilisce la prevalenza delle misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino, in quanto la minore nella specie era dotata di doppia cittadinanza.

2.1. L’intervenuta dichiarazione della giurisdizione del Giudice statunitense in ordine all’adozione dei provvedimenti nell’interesse della minore, posta anche in relazione con la conoscenza della pendenza del giudizio di divorzio da parte dell’uomo, consente di ritenere che i predetti provvedimenti siano destinati a divenire efficaci anche nell’ordinamento italiano, con la conseguenza che, avuto riguardo alla parziale coincidenza dell’oggetto dei due procedimenti, uno dei quali (quello pendente dinanzi al Giudice statunitense) avente indubbiamente maggiore ampiezza, deve ritenersi condivisibile il provvedimento di sospensione adottato dal Tribunale di Milano. La circostanza che il procedimento instaurato dinanzi a quest’ultimo abbia ad oggetto lo stesso rapporto e sia volto a conseguire i medesimi effetti di quello precedentemente promosso dinanzi al Tribunale di Roma consente d’altronde di attribuire alla pronuncia sulla giurisdizione efficacia di giudicato, la cui predicabilità nei confronti dello straniero o dello Stato estero è stata esclusa, com’è noto, soltanto quando il successivo processo, pur inerendo al medesimo rapporto, coinvolga effetti diversi rispetto a quelli fatti valere nel primo processo (cfr. Cass., Sez. Un., 17/07/2008, n. 19600; 19/07/2006, n. 16461).

Nessun rilievo può attribuirsi, in proposito, alla circostanza, fatta valere dal ricorrente, che, a differenza della domanda proposta dinanzi al Tribunale di Roma, quella avanzata dinanzi al Tribunale di Milano non abbia ad oggetto esclusivamente l’affidamento della minore e la determinazione delle modalità di esercizio del diritto di visita, ma anche la sospensione della madre dalla responsabilità genitoriale: la L. n. 218 del 1995, art. 7, interpretato alla luce del successivo art. 64, lett. e), mira infatti ad evitare inutili duplicazioni di attività giudiziaria e ad eliminare il rischio di conflitto tra giudicati, obiettivi che sarebbero frustrati ove il giudizio nazionale e quello straniero potessero determinare risultati pratici fra loro incompatibili; è per tale ragione che, nell’individuazione dei presupposti della litispendenza internazionale, questa Corte ha da tempo abbandonato il criterio della necessaria identità del petitum immediato delle domande e del titolo specifico fatto valere, ritenendo invece sufficiente l’identità dei risultati pratici perseguiti, valorizzata nella specie anche dalla precedente ordinanza delle Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. Un., 28/11/2012, n. 21108).

2.2. Ininfluente è altresì la sopravvenienza della L. n. 101 del 2015, che ha reso esecutiva nel nostro ordinamento la Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, anch’essa concernente la materia della responsabilità genitoriale e delle misure di protezione dei minori, e stipulata in sostituzione di quella del 5 ottobre 1961, richiamata dalla L. n. 218 del 1995, art. 42. Nel disciplinare il riconoscimento delle misure adottate dall’autorità di uno Stato contraente, l’art. 23 della nuova Convenzione prevede infatti condizioni non diverse da quelle imposte dalla L. n. 218, art. 65, richiedendo che tali misure siano state assunte da un’autorità la cui competenza era fondata ai sensi delle disposizioni di cui al capitolo II della Convenzione ed il riconoscimento non sia contrario all’ordine pubblico dello Stato richiesto. Anche in tal caso, quindi, l’efficacia attribuita al provvedimento straniero è subordinata alla condizione che il giudice che lo ha pronunciato fosse dotato di giurisdizione in ordine alla controversia, con la rilevante differenza, però, che il riparto di giurisdizione tra il giudice italiano e quello straniero è disciplinato dalla stessa Convenzione, e ciò al dichiarato scopo di rafforzare la protezione dei minori, evitando, in tale materia, conflitti tra i sistemi giuridici degli Stati firmatari. L’art. 5 della Convenzione attribuisce poi la competenza all’autorità giudiziaria dello Stato di residenza abituale del minore (comma 1), disponendo però che, in caso di trasferimento della stessa in un altro Stato contraente, è competente l’autorità dello Stato della nuova residenza (comma 2), senza prevedere (almeno espressamente) la perpetuatio jurisdictionis dell’autorità dello Stato di origine. Nel contempo, tuttavia, l’art. 10 prevede la competenza concorrente dell’autorità giudiziaria dello Stato in cui sia stata proposta un’istanza di divorzio o separazione legale dei genitori, alla triplice condizione che, all’inizio della procedura, uno degli stessi risieda abitualmente in quello Stato e uno abbia la responsabilità genitoriale nei confronti del minore, che la competenza ad adottare queste misure sia stata accettata dai genitori, e che tale competenza sia conforme all’interesse superiore del minore.

Anche a voler escludere l’efficacia di giudicato della precedente pronuncia sulla giurisdizione, l’applicazione di tali disposizioni alla fattispecie in esame non consentirebbe in nessun caso di pervenire a risultati diversi: la circostanza che, nel corso del giudizio di divorzio, la minore sia stata condotta in Italia, e quivi abbia continuato a risiedere, in virtù dell’accordo intervenuto tra le parti dinanzi al tribunale di Roma e dei provvedimenti urgenti da quest’ultimo conseguentemente adottati, non permetterebbe di escludere la perdurante giurisdizione del Giudice statunitense, dinanzi al quale la causa di divorzio è stata promossa quando la minore era ancora residente negli Stati Uniti, e la cui competenza per il predetto giudizio, oltre a non porsi in linea di principio in contrasto con l’interesse della minore, non risulta sia stata in alcun modo contestata.

2.3. E’ d’altronde pacifico che il predetto accordo fu raggiunto esclusivamente in attesa della decisione del regolamento di giurisdizione allora pendente dinanzi a questa Corte, al fine di evitare che, in caso di conferma della giurisdizione del Giudice italiano, la minore, rientrata negli Stati Uniti, fosse costretta a far ritorno in Italia; mentre i provvedimenti del Tribunale di Roma, adottati ai sensi dell’art. 11 della Convenzione successivamente alla decisione delle Sezioni Unite, avevano carattere provvisorio ed urgente, e, conformemente a quanto disposto dal citato art. 11, comma 2, erano espressamente destinati a durare sino al momento in cui il Giudice statunitense non avesse assunto i provvedimenti definitivi di sua esclusiva attribuzione; sicchè sia l’accordo che i provvedimenti sono divenuti inefficaci per effetto della pronuncia intervenuta sul regolamento di giurisdizione e dei provvedimenti adottati dal Giudice statunitense in data 10 e 24 ottobre 2017, che hanno riaffidato la minore alla custodia della madre e ne hanno disposto il rientro negli Stati Uniti.

In tale contesto, alla permanenza della minore in Italia non può attribuirsi l’effetto di determinare il trasferimento della sua residenza abituale nel nostro Paese, trattandosi di una situazione di fatto che, in quanto priva di qualsiasi carattere di stabilità e risolutivamente condizionata ai predetti sviluppi processuali, deve considerarsi di per sè inidonea a giustificare l’applicazione del secondo comma dell’art. 5 della Convenzione. La circostanza che la minore sia stata trattenuta in Italia dal padre nonostante il venir meno dei titoli che ne legittimavano la permanenza ed in contrasto con i provvedimenti adottati dal Giudice munito di giurisdizione, risolvendosi nella violazione di un diritto di affidamento derivante da una decisione giudiziaria o da un accordo, appare anzi configurabile, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. a), come un’ipotesi di mancato ritorno illecito, che giustifica la conservazione della competenza da parte da parte del Giudice dello Stato di residenza abituale.

In contrario, non risulta pertinente il richiamo della difesa del ricorrente ad una sentenza delle Sezioni Unite in tema di protezione dei minori, che, ai fini dell’individuazione della residenza abituale, ha conferito rilievo alla permanenza del minore in Italia, per effetto di provvedimenti provvisori adottati dall’autorità giudiziaria italiana: come si evince dalla motivazione, infatti, tale pronuncia ha espressamente ribadito in premessa il principio di diritto enunciato da una precedente pronuncia, secondo cui l’art. 1 della Convenzione dell’Aja conferisce rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore, quale determinata in base alla situazione di fatto esistente all’atto dell’introduzione del giudizio, e non consente quindi il mutamento della competenza, in ossequio al diverso principio di “prossimità”, il quale può essere evocato soltanto in tema di competenza interna, con la conseguenza che in caso di trasferimento di un minore permane la giurisdizione del giudice di residenza abituale, ancorchè l’autorità giudiziaria adita a seguito del trasferimento abbia emesso provvedimenti interinali per ragioni d’urgenza (cfr. Cass., Sez. Un., 2/08/2011, n. 16864); da tale principio essa ha ritenuto di potersi discostare soltanto in virtù del giudicato formatosi in ordine ad un provvedimento con cui il Giudice italiano aveva negato il riconoscimento in Italia della decisione adottata dal Giudice straniero, che ristabiliva l’affidamento del minore alla madre, ostandovi l’interesse del minore stesso, a causa dell’accertato comportamento violento di quest’ultima (cfr. Cass., Sez. Un., 13/07/2017, n. 17326). Si tratta, con tutta evidenza, di una situazione assolutamente differente da quella in esame, caratterizzata invece dalla formazione del giudicato in ordine alla giurisdizione del Giudice straniero, che ha comportato la caducazione di tutti i provvedimenti precedentemente adottati nel giudizio italiano al quale si riferiva e dell’accordo provvisoriamente intervenuto tra le parti, e dalla successiva adozione dei provvedimenti richiesti al predetto Giudice, per effetto della quale hanno perso efficacia quelli adottati in via d’urgenza dal Giudice italiano.

3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019

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