Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7352 del 26/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 26/03/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 26/03/2010), n.7352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.T., F.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO

GIUSEPPE SANTE, che li rappresenta e difende, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI e PUGLISI LUCIA,

giusta procura speciale atto notar CARLO FEDERICO TUCCARI di Roma del

08/03/07, rep. 73005;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 371/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/10/2006 r.g.n. 83/01 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE;

udito l’Avvocato PUGLISI LUCIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Ravenna accoglieva, nei confronti dell’Inail e dell’Inps, le domande proposte da alcuni lavoratori dipendenti dall’A.T.M. (Azienda trasporti e mobilità) di Ravenna, dirette al conseguimento del beneficio dell’accrescimento del 50% della contribuzione utile ai fini pensionistici per esposizione, durante e a causa dell’attività lavorativa, a fibre aerodisperse di amianto.

Il Tribunale accoglieva le domande di tutti i ricorrenti, nei confronti sia dell’Inps che dell’Inail, ritenendo che non fosse richiesta la prova dell’esposizione a una concentrazione di fibre di amianto superiore a una soglia prefissata e che tutti lavoratori, svolgenti mansioni di meccanico, elettrauto, oppure magazziniere o capoofficina, avevano fatto capo allo stesso locale officina in cui erano eseguite lavorazioni comportanti la dispersione di amianto.

A seguito di appello proposto dall’Inail e dall’Inps, la Corte d’appello di Bologna accoglieva l’impugnazione dell’Inail, di cui riconosceva il difetto di legittimazione, e accoglieva solo parzialmente quella dell’Inps, che riteneva fondata con riferimento ai lavoratori L.T. e F.A., per i quali non riteneva adeguatamente provata l’esposizione all’amianto nella misura che riteneva necessaria ai sensi di legge.

La Corte d’appello, infatti, faceva riferimento, in linea di diritto, all’orientamento interpretativo secondo cui il beneficio della maggiorazione contributiva prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, presuppone che l’esposizione all’amianto superi una soglia, ricavabile dalla legislazione prevenzionale di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991 e successive modifiche, e precisamente il limite di cui all’art. 24 di 0,1 fibre per centimetro cubo nelle otto ore. E, in linea di fatto, recependo le conclusioni della disposta consulenza tecnica, mentre rilevava che per gli altri lavoratori, in considerazione della loro esposizione diretta all’amianto correlata alle operazioni compiute come meccanici o come elettrauto, nonchè della loro esposizione indiretta derivante dall’ambiente di lavoro, poteva affermarsi con adeguata sicurezza (probabilità superiore al 95%) che essi avevano subito un’esposizione media continuata all’amianto superiore alle 100 fibre/litro di aria respirata, riteneva che invece il F., capo officina, e il L., magazziniere, eseguendo mansioni che, pur svolgendosi nello stesso reparto, non implicavano contatto diretto con la sostanza nociva, o al più, per il magazziniere, comportavano la sola manipolazione o movimentazione di determinati materiali, non risultavano con adeguata sicurezza essere stati esposti in misura pari o superiore alla soglia delle 100 fibre/litro. Più precisamente, il collegio prima riferiva l’affermazione del c.t.u. che una conclusione in tal senso avrebbe avuto un livello di probabilità inferiore al 95%, poi, nelle sue valutazioni, affermava che non poteva affermarsi con ragionevole certezza che il livello di esposizione in questione fosse stato raggiunto e che, appunto, le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio dovevano essere interpretate nel senso che per il L. e il F., diversamente che per i loro colleghi, pur avendo essi svolto mansioni che potevano aver comportato in modo continuativo la loro esposizione all’amianto, soprattutto indiretta, non poteva essere affermato con ragionevole certezza scientifica che l’intensità della loro esposizione era stata in modo continuativo superiore alla soglia delle 100 fibre/litro.

Il L. e il F. propongono ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo e illustrato da memoria. L’Inps resiste con controricorso. L’Inail ha depositato procura speciale in favore di suoi difensori.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 26972727 e segg. c.c., della L. n. 257 del 1992, art. 13, del D.Lgs. n. 177 del 1991, unitamente a vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria.

Si sostiene che il giudice di appello abbia violato il criterio della ragionevole certezza scientifica, nel rigettare la domanda degli attuali ricorrenti, pur recependo la c.t.u., secondo cui i due lavoratori erano stati esposti all’amianto in misura pari o superiore alla soglia delle 100 fibre/litro con un livello di probabilità inferiore al 95% (e cioè pari o non superiore al 94%). Infatti la probabilità pari o non superiore al 94% è una probabilità altissima che non consente, in applicazione del criterio della ragionevole certezza scientifica, di escludere la probabilità di esposizione qualificata all’amianto. In tal modo, peraltro, il giudice di merito si era pronunciato contraddittoriamente su un punto decisivo della causa (non avvedendosi che il livello di probabilità pari o non superiore al 94% consente di affermare con ragionevole certezza scientifica che i ricorrenti erano stati esposti all’amianto in misura pari o superiore alla soglia richiesta dalla legge delle 100 fibre/litro).

Con il conclusivo “quesito” si chiede alla Corte di affermare che ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13 e del D.Lgs. n. 277 del 1991, “ai fini del superamento della soglia di rischio di amianto, e in applicazione dell’art. 2697 c.c., è consentita la prova attraverso il criterio di ragionevole certezza scientifica e della seria probabilità, esclusa la mera possibilità.

Il ricorso non può ritenersi fondato.

Il principio di diritto invocato dal ricorrente è stato enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento specifico alle ipotesi in cui si tratta di valutare se una malattia sia in relazione di dipendenza causale rispetto ad una certa attività lavorativa o comunque a certi eventi che hanno interessato il soggetto. Si tratta di questioni di natura prettamente medico legale, rispetto a cui il riferimento della giurisprudenza al criterio secondo cui un’adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva deve essere assunta come prova adeguata del nesso causale in discussione (cfr. Cass. n. 10004/2001, 5352/2002,10042/2004, 19047/2006, 9226/2007, 21021/2007, 15080/2009) è specificamente giustificato dal fatto che, nella maggior parte dei casi, le valutazioni medico legali di tale tipo sono formulabili solo sul piano della probabilità, e ciò non a causa della non completezza delle prove fornite riguardo ad elementi strettamente fattuali, ma per ragioni intrinseche alla variabilità e non completa prevedibilità delle reazioni dei soggetti umani ai fattori potenzialmente incidenti sul loro stato di salute e alla limitata possibilità di identificare anche ex post quale siano stati i fattori causali che concretamente abbiano operato.

Nella specie l’accertamento in linea di fatto rilevante ai fini del decidere non può ritenersi, propriamente, di natura medico legale e correlato alle problematiche a cui si è appena accennato. Si trattava infatti, di accertare l’elemento, per così dire, meramente materiale, dell’esposizione a determinate concentrazioni di fibre di amianto aerodisperse. In mancanza di rilevamenti eseguiti all’epoca dei fatti, doveva procedersi ad un tipo di accertamento basato su elementi indiziari e su valutazioni anche tecniche degli elementi di prova disponibili. Siamo cioè nell’ordinario campo dell’accertamento dei fatti e, specificamente, degli apprezzamenti circa l’idoneità probatoria di un determinato quadro indiziario, che la legge processuale demanda al giudice di merito. Certamente anche in sede di prova indiziaria sono ammissibili valutazioni di ordine probabilistico (cfr. Cass. n. 4168/2001 e 11906/2003), ma al riguardo, fermo il criterio della logicità, sussiste un margine di apprezzamento discrezionale da parte del giudice del merito. Nella specie il giudice di merito ha interpretato e valutato la relazione del c.t.u. nel senso che l’esperto aveva ritenuto di non poter affermare con ragionevole certezza scientifica che per i lavoratori attuali ricorrenti era stato superato per un periodo ultradecennale il grado di esposizione all’amianto fissato dalla legge. Il solo fatto che il consulente abbia ritenuto, in linea di principio, la soglia della certezza convenzionalmente raggiunta (solo) in caso di un grado di probabilità del 95% non è idoneo a connotare di illogicità la sentenza, in considerazione non solo della già richiamata discrezionalità delle valutazioni in materia di prova indiziaria del giudice di merito, ma anche del fatto che i giudizi conclusivi del consulente tecnico e della Corte d’appello hanno formato oggetto di una critica solo di tipo astratto e formale, senza riferimento al concreto quadro probatorio e alle eventuali valutazioni dello stesso compiute dal e,tu. in via preliminare e strumentale rispetto al suo parere conclusivo.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non deve disporsi per le spese del giudizio, ex art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, non applicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010

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