Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 735 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 735 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 28827-2012 proposto da:
ASCHETTINO GRAZIA SILVANA SCHGZS47A46E487W,
elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE
MICHELANGELO 9, presso lo studio degli avvocati FERRIOLO
GIOVAMBATTISTA, e ABBATE FERDINANDO EMILIO, che la
rappresentano e difendono, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

64kcR

Data pubblicazione: 15/01/2014

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente avverso il decreto n. 438/2012 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
16/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN
GIORGIO;
udito per la ricorrente l’Avvocato Ranieri Roda (per delega avvocati
Ferdinando E. Abbate e Giovambattista Ferriolo) che ha chiesto
raccoglimento del ricorso.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO
VELARDI che ha concluso per raccoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Grazia Silvana Aschettino ha, con ricorso alla Corte d’appello di
Perugia, proposto domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89
del 2001, del danno non patrimoniale sofferto a causa della non
ragionevole durata del giudizio di equa riparazione regolato dalla stessa
legge, introdotto nel maggio del 2004 dinnanzi alla Corte d’appello di
Roma. Giudizio che, dopo la definizione in sede di merito nel
dicembre 2004, era proseguito in cassazione sino alla emissione della

PERUGIA del 19.12.2011, depositato il 28/04/2012;

sentenza nell’aprile 2010.
La Corte territoriale, con il decreto indicato in epigrafe, ha dichiarato
inammissibile la domanda, ritenendo che il rimedio previsto dalla L. n.
89 del 2001 sia unico, e quindi non possa essere attivato in relazione
alla durata di un procedimento di equa riparazione.

Ric. 2012 n. 28827 sez. M2 – ud. 16-07-2013
-2L-\/

Per la cassazione di questo decreto la Aschettino ha proposto ricorso
sulla base di un motivo, cui resiste l’intimata Amministrazione con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nel ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L.

Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 111 Cost., osservando come
nessuna di queste norme di diritto consenta di escludere dalla sua
applicazione il procedimento di equa riparazione, quale procedimento
giurisdizionale contenzioso destinato a concludersi con una pronuncia
idonea ad avere efficacia di titolo esecutivo, al pari di ogni altro
procedimento regolato dalle norme stesse.
2. Il ricorso è fondato. Dalla ricognizione della giurisprudenza della
Corte Europea – che come noto costituisce necessario elemento di
riferimento nella interpretazione delle disposizioni della C.E.D.U. – ed
anche della giurisprudenza di questa Corte, emerge come non sia in
discussione la ammissibilità della domanda di equa riparazione per la
durata irragionevole di un procedimento di equa riparazione: del resto,
ne’ la L. n. 89 del 2001, art. 2 ne’ l’art. 6 della C.E.D.U. risultano
escludere, espressamente o implicitamente, dal proprio ambito di
applicazione tale procedimento giurisdizionale. 2.1. Discussa è
piuttosto la individuazione di quale sia la ragionevole durata di un
giudizio di equa riparazione, specie nel caso – qui ricorrente – in cui tale
giudizio si sia svolto dinnanzi alla Corte d’appello e in sede di
impugnazione dinnanzi a questa Corte. A tale riguardo, nella sentenza
29 marzo 2006 della Grande Camera, nella causa Cocchiarella contro
Italia, si è affermato che “il periodo di quattro mesi previsto dalla legge
vinto soddisfa il requisito di rapidità necessario perché un rimedio sia

effettivo. L’unico ostacolo a ciò può sorgere dai ricorsi per cassazione
Ric. 2012 n. 28827 sez. M2 – ud. 16-07-2013
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n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6.1, 13 e 41 della Convenzione

per i quali non è previsto un termine massimo per l’emissione della
decisione. Nel caso di specie, la fase giudiziaria è durata dal 3 ottobre
2001 al 6 maggio 2002, cioè sette mesi, che, pur eccedendo il termine
previsto dalla legge, sono ancora ragionevoli” (par. 99). Nella
successiva decisione della Seconda Sezione 31 marzo 2009, causa

durata di un giudizio “Pinto”, svoltosi in un solo grado dinnanzi alla
Corte d’appello e protrattosi per undici mesi. Nel caso deciso dalla
Seconda Sezione il 22 ottobre 2010, causa Belperio e Ciarmoli contro
Italia, dopo aver dato atto del contenuto della sentenza Cocchiarella, si
è ulteriormente precisato che la durata di un giudizio “Pinto” davanti
alla Corte d’appello, inclusa la fase di esecuzione, salvo circostanze
eccezionali, non deve superare un anno e sei mesi. Da ultimo, nella
decisione 27 settembre 2011 della Seconda Sezione, causa CE.DI.SA .
Fortore s.n.c. Diagnostica Medica Chirurgica contro Italia, la Corte ha
ritenuto che, in linea di principio, per due gradi di giudizio, la durata di
un procedimento “Pinto” non debba essere, salvo circostanze
eccezionali, superiore a due anni.
2.2. Nella giurisprudenza di questa Corte, si è invece ritenuto che la
ragionevole durata del giudizio di equa riparazione previsto e
disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 vada determinata in mesi quattro
dalla data del deposito del ricorso, coerentemente alla indicazione
chiaramente desumibile dall’art. 3, comma 6, della medesima legge
(Cass. n. 8287 del 2010). Il Collegio ritiene che a tale orientamento non
possa essere data continuità e che – rimandandosi alle singole
fattispecie la valutazione della durata ragionevole di una procedura ex
lege n. 89 del 2001 che si svolga solo dinnanzi alla Corte d’appello ove, come nel caso di specie, la procedura si sia svolta anche dinnanzi
alla Corte di cassazione, la durata complessiva del giudizio non possa
Ric. 2012 n. 28827 sez. M2 – ud. 16-07-2013
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Simaldone contro Italia (par. 29), si è invece ritenuta eccessiva una

comunque eccedere il termine ragionevole di due anni, tenuto conto,
da un lato, delle indicazioni desumibili dagli ultimi approdi (sopra
riassunti) della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo
in coerenza con il termine (pur avente natura meramente sollecitatoria)
di quattro mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, dall’altro della durata

di equa riparazione, non è suscettibile di estensione oltre il limite più
volte ritenuto ragionevole di un anno.
3. Il decreto impugnato è quindi cassato, e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi nel merito ai sensi dell’art.
384 cod. proc. civ.. Il giudizio è iniziato con ricorso depositato presso
la Corte d’appello di Roma nel maggio 2004 ed è stato definito con
sentenza di questa Corte nell’aprile 2010. Detratto il termine
ragionevole, stimato in due anni, e tenuto conto che l’impugnazione è
stata proposta dopo quattordici mesi dal deposito della sentenza della
Corte di merito (ben oltre il termine breve legislativamente previsto
per il ricorso per cassazione: v. Cass. n. 8287 del 2010), resta una
durata non ragionevole di due anni e undici mesi.
Ai fini della liquidazione dell’indennizzo, va fatta applicazione della
giurisprudenza di questa Corte (ex multis. n. 21840/09; n. 1893/10; n.
19054/10), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di
Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella
ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo
che consegue all’iniziale modesto superamento, mentre solo per
l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000
per ciascun anno di ritardo. Pertanto, il Ministero della giustizia deve
essere condannato al pagamento in favore della ricorrente di Euro
2188,50 a titolo di equo indennizzo per il periodo di due anni e undici
mesi di irragionevole durata. Su tale somma sono dovuti gli interessi
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ragionevole del giudizio di cassazione che, anche in un procedimento

legali dalla data della domanda, in conformità ai parametri ormai
consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte
liquidazioni.
5. Le spese del giudizio di merito e di legittimità seguono la
soccombenza e si liquidano come in dispositivo, tenendo conto,

quanto stabilito dal D.M. 20 luglio 2012 in attuazione del D.L. n. 1 del
2012, art. 9, comma 2 conv. in L. n. 271 del 2012 (in particolare dei
parametri indicati dalla Tabella A – Avvocati per lo scaglione di
riferimento, dei criteri di valutazione previsti dall’art. 4 e della
riduzione prevista dall’art. 9 del Decreto citato).
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo
nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in
favore della ricorrente, della somma di Euro 2188,50 oltre interessi
legali dalla data della domanda al saldo; condanna inoltre il Ministero al
pagamento delle spese del giudizio dinanzi alla Corte d’appello, in
complessivi Euro 775,00 – di cui Euro 445 per onorari e Euro 280 per
diritti – oltre spese generali ed accessori di legge, e di quelle dinanzi a
questa Corte, in complessivi Euro 606,25 – di cui Euro100 per spese oltre accessori di legge. Spese da distrarsi in favore dell’avv.
Ferdinando Emilio Abbate che se ne è dichiarato antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
Civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 luglio 2013.

limitatamente al giudizio di legittimità (cfr. S.U. n. 17406/12), di

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