Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7348 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. III, 07/03/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 07/03/2022), n.7348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14930/2019 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in Benevento, via

Giuseppe Manciotti n. 30, presso lo studio dell’avvocato Nicola

Marino, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Comune Benevento, rappresentato e difeso dall’avvocato Nazzareno

Fiorenza, elettivamente domiciliato presso la PEC del medesimo

studiofiorenza.pec.giuffre.it;

– controricorrente –

e contro

GE.SE.SA s.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4737/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2021 dal Cons. Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

M.D. convenne in giudizio il Comune di Benevento chiedendo il risarcimento dei danni subiti da un immobile di sua proprietà e dalla merce ivi depositata a seguito dell’allagamento causato, in occasione di un violento nubifragio, dal malfunzionamento del sistema fognario di smaltimento delle acque meteoriche;

il Comune resistette alla domanda e chiamò in causa, per l’eventuale manleva, la GE.SE.SA. s.p.a., appaltatrice del servizio di manutenzione della rete fognaria e di raccolta delle acque piovane;

il Tribunale di Benevento accolse la domanda e condannò il Comune al risarcimento dei danni nell’importo 21.181,68 Euro, rigettando la domanda di manleva;

pronunciando sul gravame del Comune, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza impugnata in punto di responsabilità per l’allagamento, ma ha rigettato la domanda risarcitoria, ritenendo non adeguatamente provato il quantum della pretesa, con compensazione integrale delle spese del doppio grado tra l’attore e il Comune;

la Corte ha affermato che:

alla perizia di parte prodotta dal M. “non è possibile attribuire alcun valore probatorio”, in quanto “i danni alla merce sono quantificati in modo assolutamente apodittico, senza alcuna illustrazione né della tipologia di danneggiamento che avrebbe rivenuto la merce, né della quantificazione dei costi. Peraltro, l’esistenza stessa della merce danneggiata non è dimostrata, se non dalla perizia in oggetto. Inoltre, trattandosi di merce destinata alla vendita, il danneggiante avrebbe potuto/dovuto dimostrare il relativo valore mediante le fatture di acquisto”;

“la perizia presenta analoga genericità di contenuto anche in relazione ai danni alla struttura ed impianti del locale”, giacché “anche in questo caso, non c’e’ un riscontro probatorio esterno che confermi che il locale subì proprio i danni indicati dall’arch. Z.”, dovendosi valutare “negativamente la mancata allegazione di foto delle strutture danneggiate”;

“né l’attore articolò mezzi istruttori per dimostrare l’an ed il quantum del danno subito” e “una CTU avrebbe una inammissibile finalità esplorativa, posto che il danneggiato non ha neppure allegato se i beni danneggiati si trovino ancora nella medesima condizione (…) o se siano stati riparati”, nel qual caso “il danneggiato avrebbe potuto dimostrare l’esistenza e l’ammontare del danno mediante la prova degli esborsi effettuati”;

“neppure è possibile procedere a liquidazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., perché questa postula il preventivo accertamento che l’impossibilità o estrema difficoltà di una stima esatta del danno dipenda da fatti oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumerne l’entità”;

ha proposto ricorso per cassazione il M., affidandosi a due motivi illustrati da memoria; ha resistito, con controricorso, il Comune di Benevento;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

la circostanza – evidenziata nella memoria del ricorrente – che il Comune abbia resistito in persona del vicesindaco non comporta inammissibilità del controricorso, alla luce del pacifico orientamento di legittimità secondo cui, “in tema di rappresentanza processuale del Comune, la causa di impedimento del sindaco a firmare direttamente la procura alle liti si presume esistente in virtù della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, restando a carico dell’interessato l’onere di dedurre e di provare l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sostitutivi, sicché è valida la procura conferita dal vice sindaco ancorché sia stata omessa l’indicazione delle ragioni di assenza o impedimento del sindaco” (Cass. n. 11962/2016; cfr. anche Cass., SU n. 598/1990 e Cas. n. 23261/2010);

il primo motivo denuncia la nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione a due distinti profili:

sub A), si contesta alla Corte di “aver omesso di pronunziarsi su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte ricorrente (artt. 112 e segg.)”, in relazione alla deduzione della mancata contestazione dei fatti e della quantificazione del danno, e di avere ritenuto non provati i danni richiesti “in luogo di porre a fondamento della domanda i fatti non specificamente contestati”;

sub B), si lamenta un “errore di percezione che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, ovvero sul demonstratum e non sul demonstrandum relativo alle fotografie allegate, ai video ed al contenuto della consulenza estimativa dei danni”;

il motivo e’, sotto entrambi i profili, inammissibile, in quanto:

va esclusa la stessa deducibilità della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al mancato esame dell’eccezione di non contestazione, poiché il vizio di omessa pronuncia è configurabile soltanto in riferimento alle domande di merito, potendo profilarsi, in relazione a questioni processuali, soltanto la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., ove sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (cfr., per tutte, Cass. n. 7406/2014 e Cass. n. 18699/2021);

l’assunto del difetto di contestazione del danno da parte del Comune risulta svolto in difetto di autosufficienza, non risultando riportati i passaggi della comparsa di risposta nel giudizio primo grado da cui emergerebbe l’asserita mancata o non adeguata contestazione;

le deduzioni concernenti il travisamento delle prove prospettano, nella sostanza, un’erronea valutazione delle stesse e mirano a sollecitare un non consentito apprezzamento di merito in sede di legittimità;

il profilo concernente la mancata ammissione di altri mezzi istruttori difetta di autosufficienza, poiché il ricorrente omette di riportare il preciso contenuto delle prove richieste a confutazione dell’affermazione (della Corte) che l’attore non aveva articolato “altri mezzi istruttori per dimostrare l’an e il quantum del danno subito”;

il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 2056 e 1226 c.c.: premesso che l’attore “aveva allegato “l’esistenza certa, ovvero altamente verosimile, di un effettivo pregiudizio”, fornendo la quantificazione del danno, corroborando il richiesto da fotografie e video, oltre che procedendo ad una analitica indicazione delle opere necessarie al rifacimento delle strutture e alla merce perita”, il M. assume che la Corte “ha errato nel non ritenere ammissibile la liquidazione del danno ai sensi dell’art. 1226” c.c., giacché “avrebbe potuto procedere ad una liquidazione equitativa del danno avendo come parametro ed indizio tutto quanto allegato e prodotto”;

premesso che l’ascrivibilità alla stessa parte danneggiata della carenza di una prova rigorosa dei danni è stata affermata dalla Corte di Appello in base ad accertamenti di fatto non implausibili, il motivo è infondato, atteso che la liquidazione equitativa del danno può ritenersi legittima nel solo caso in cui il danno stesso sia certo nella sua esistenza ontologica (cfr. Cass. n. 26051/2020 e Cass. n. 2831/2021) e postula il preventivo accertamento che l’impossibilità o l’estrema difficoltà di una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità (cfr. Cass. n. 4534/2017);

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 1.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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