Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7347 del 14/03/2019

Cassazione civile sez. VI, 14/03/2019, (ud. 21/11/2018, dep. 14/03/2019), n.7347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1941-2018 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPE IAVARONE;

(ammessa p.s.s. Delib. 14 novembre 2017 cons. ord. Avv. Napoli);

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA, NICOLA VALENTE;

– resistente –

avverso la sentenza n. 4683/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. FERNANDES

GIULIO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 6 luglio 2017, la Corte di Appello di Napoli confermava la decisione del primo giudice, di rigetto della domanda proposta da F.A. nei confronti dell’INPS ed intesa al riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità ex lege n. 118 del 1971 con condanna dell’INPS al pagamento dei relativi ratei;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la F. affidato a quattro motivi di ricorso;

che l’INPS ha depositato procura;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente con i quattro motivi deduce:

– 1) violazione dell’art. 420 c.p.c., comma 5, dell’art. 442c.p.c. e dell’art. 149 disp. att. c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte territoriale erroneamente reputato tardiva la certificazione reddituale anno 2011 prodotta in primo grado, alla prima udienza di discussione successiva al deposito in cancelleria della relazione di consulenza tecnica d’ufficio che aveva acclarato la sussistenza del requisito sanitario in corso di causa;

– 2) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in quanto il giudice del gravame aveva obliterato il mancato superamento del limite reddituale fissato dalla legge con riferimento all’anno 2014 ai fini del riconoscimento della prestazione invocata a decorrere dal 2014;

– 3) violazione dell’art. 112 c.p.c., error in procedendo, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) avendo la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sulla esistenza del diritto all’assegno di invalidità per il periodo successivo alla decisione di primo grado, come pure richiesto nell’appello;

– 4) nullità della sentenza per violazione dell’art. 134 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 437c.p.c., comma 2 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) per avere la Corte territoriale omesso di esercitare il proprio potere istruttorio ufficioso non ammettendo la certificazione reddituale prodotta F. in primo e secondo grado benchè l’insieme degli elementi probatori emergenti dal fascicolo reddituale giustificasse l’esercizio di detto potere;

che il primo ed il quarto motivo, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. Vale ricordare che, nel rito del lavoro, il potere istruttorio d’ufficio ex artt. 421 e 437 c.p.c. non è meramente discrezionale, ma costituisce un potere-dovere da esercitare contemperando il principio dispositivo con quello della ricerca della verità, sicchè il giudice (anche di appello), qualora reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati d’indagine, non può arrestarsi al rilievo formale del difetto di prova ma deve provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio idonei a superare l’incertezza sui fatti in contestazione, senza che, in tal caso, si verifichi alcun aggiramento di eventuali preclusioni e decadenze processuali già prodottesi a carico delle parti, in quanto la prova disposta d’ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile ai fini del decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo (di recente, Cass. n. 19305 del 29/09/2016; Cass. n. 22305 del 24/10/2007; Sez. U, Sentenza n. 11353 del 17/06/2004 (Rv. 574225 – 01) per tutte le numerose altre); è stato anche precisato che nelle controversie assistenziali, la produzione in primo grado della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà riferita al cd. requisito reddituale, pur non avendo valore probatorio, può costituire, nella valutazione del giudice di merito, insindacabile ove congruamente motivata, un principio di prova idoneo a giustificare l’attivazione dei poteri officiosi ex art. 437 c.p.c., comma 2 (Cass. n. 11845 del 15/05/2018; Cass. n. 22484 del 04/11/2016). Orbene, nel caso in esame, la Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione dei menzionati principi in quanto la F., nel ricorso introduttivo del giudizio aveva allegato la ricorrenza dei requisiti previsti dalla legge per l’accesso alla prestazione richiesta depositando documentazione tra cui era compresa anche una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nella quale dichiarava di non percepire alcun reddito; inoltre, alla prima udienza successiva al deposito della relazione da parte del consulente tecnico d’ufficio che aveva acclarato la sussistenza del requisito sanitario a decorrere dal settembre 2011 (epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo del giudizio), aveva depositato certificato dell’Agenzia delle Entrate attestante che per l’anno 2011 non aveva percepito alcun reddito. In altri termini, in siffatta situazione, la Corte avrebbe dovuto esercitare i poteri ufficiosi ai sensi dell’art. 437 c.p.c., comma 2 – visto che esisteva un principio di prova idoneo a giustificarne l’esercizio ed ammettere la documentazione prodotta dalla F. inerente alla prova del possesso del requisito reddituale per gli anni successivi al 2011;

che l’accoglimento del primo e del quarto motivo assorbe il secondo ed il terzo;

che, alla luce di quanto esposto, vanno accolti il primo ed il quarto motivo di ricorso, dichiarati assorbiti il secondo ed il terzo, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione che deciderà applicando i menzionati principi provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il primo ed il quarto motivo, assorbiti il secondo ed il terzo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019

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