Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7344 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. III, 07/03/2022, (ud. 29/11/2021, dep. 07/03/2022), n.7344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12175/2019 proposto da:

A.R., rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI FRAGALA’,

e domiciliata presso la Cancelleria della Corte di Cassazione Pec:

giovanni.fragala.pec.ordineavvocaticatania.it;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata

e difesa dagli avvocati LETIZIA CAROLI, ed ENRICO MARIA CAROLI, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dei medesimi in Roma Via

Fabio Massimo, 60, Pec: letiziacaroli.ordineavvocatiroma.org;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2360/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 09/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/11/2021 da Dott. MOSCARINI ANNA.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

1. La signora A.R., investita in data 15 dicembre 2009 mentre attraversava la (OMISSIS), da un’autovettura assicurata con la Fondiaria Sai (poi Unipolsai Assicurazioni) propose domanda risarcitoria davanti al Tribunale di Catania che, con sentenza resa nel marzo 2016, valutato il danno Euro 13.976,75, rigettò la domanda, atteso che l’attrice aveva percepito, per lo stesso evento dannoso, dall’Inail un indennizzo di Euro 17.144,79.

2. Avverso la sentenza la A. propose appello per sentir accertare la liquidazione anche del danno morale, quale voce autonoma del danno non patrimoniale, e la personalizzazione del biologico in ragione delle gravi sofferenze patite. Chiese che il danno morale le fosse riconosciuto autonomamente non potendo formare oggetto di compensazione con quanto liquidato dall’Inail.

3. La Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 9/11/2018, richiamati i principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte e nella dottrina in ordine all’unitarietà della liquidazione del danno e del divieto di duplicazioni risarcitorie, ha ritenuto che la danneggiata non avesse allegato e dimostrato che il danno biologico subito presentava aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici. Conseguentemente ha ritenuto che il danno morale, in ragione del principio dell’integralità del risarcimento, fosse stato ricompreso dal Tribunale nella somma liquidata e che non vi fossero i presupposti per la personalizzazione non essendosi profilati “aspetti che attengono a una specifica e particolare sofferenza interiore, che si siano tradotte in peculiari sofferenze derivate dallo sconvolgimento delle abitudini di vita”. Conseguentemente ha rigettato l’appello condannando la A. alle spese del grado.

4. Avverso la sentenza la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Unipolsai Assicurazioni SpA ha resistito con controricorso.

5. La causa è stata avviata alla trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis. c.p.c., in vista della quale la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RITENUTO

che:

1. Con il primo motivo – Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al disposto degli artt. 2056,2059,2697 e 2700 c.c. e agli artt. 113,114,115 e 116 c.p.c. (pagine 13-25 del ricorso) la ricorrente impugna la sentenza d’appello sostenendo che il giudice di merito abbia illegittimamente ritenuto che la liquidazione del danno morale potesse costituire una duplicazione risarcitoria del biologico, con ciò ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che, a partire dalle cd. sentenze gemelle del 2008 fino ai più recenti arresti, ha distinto i due aspetti della sofferenza, esteriore (ricompresa nel danno biologico) e morale ed ha escluso il diritto dell’assicuratore sociale (Inail), che abbia indennizzato il danno subito dall’assicurato, di surrogarsi al danneggiato per ottenere il danno morale, non coperto dall’assicurazione.

La ricorrente si dilunga nel sostenere che, erroneamente, il danno biologico e il danno morale non siano stati distinti, che la corte di merito non abbia ritenuto provata l’esistenza del danno morale pur in assenza di specifica contestazione, da parte della compagnia di assicurazione, della documentazione clinica dalla quale sarebbe risultata la gravità delle lesioni sofferte. Lamenta, pertanto, che la sentenza impugnata abbia illegittimamente ritenuto che il danno fosse stato “interamente risarcito” dall’Inail, pur coprendo l’indennizzo solo il danno biologico, ma non anche quello morale.

1.1 Il motivo è inammissibile.

Al di là di talune affermazioni circa la omnicomprensività del danno biologico, oggi abbandonate in ragione della ritenuta distinzione – nel computo del danno non patrimoniale – del “danno biologico” (con la relativa personalizzazione, ove ne ricorrano i presupposti) e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale rappresentati dalla sofferenza interiore (Cass., 3, n. 901 del 17/1/2018; Cass., 3, n. 7513 del 27/3/2018; Cass., 3, n. 23469 del 28/9/2018), la Corte d’Appello non ha affatto negato in iure la risarcibilità della sofferenza interiore, come si ricava chiaramente dal passaggio a pagina 9, secondo capoverso, della sentenza d’appello dove si afferma “non si sono profilati, dalle attestazioni risultanti dalle invocate cartelle cliniche, aspetti che attengono a una specifica e particolare sofferenza interiore, che si siano tradotte in peculiari sofferenze derivate dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato che siano ricollegabili alla lesione di interessi che assumano consistenza sul piano del disegno costituzionale della vita della persona”.

La Corte d’Appello ha semplicemente affermato:

a) in facto, che non vi era prova di una sofferenza anomala particolare, né di specificità del caso concreto idonee a giustificare la personalizzazione del risarcimento del danno biologico e la liquidazione del danno morale;

b) in rito, che tali particolari sofferenze non erano state “compiutamente allegate”.

Ora l’affermazione sub (a) costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità; mentre l’affermazione sub (b) non viene minimamente censurata dalla ricorrente, la quale non si preoccupa di spiegare in che termini in primo grado abbia formulato e illustrato la domanda di risarcimento del danno morale e di personalizzazione del danno biologico.

1.2 Occorre tuttavia correggere l’affermazione della impugnata sentenza “e’ inammissibile, perché costituente una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, essendo il secondo ricompreso nel primo”.

Tale affermazione, che non costituisce ratio decidendi, deve essere corretta perché la giurisprudenza di questa Corte afferma, da tempo, che, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (Cass., 3, n. 901 del 17/1/2018; Cass., 3 n. 23469 del 28/9/2018; Cass., 6-3, n. 4878 del 19/2/2019).

La sentenza, pertanto, corretta nel senso suindicato, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte la quale ha previsto che il giudice valuti rigorosamente, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (cd. danno morale) quanto il suo impatto modificativo in peius con la vita quotidiana (danno cd. esistenziale o alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), e che i due diversi danni siano autonomamente risarcibili a condizione che siano provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti.

2. Con il secondo motivo si deduce “Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 2059,2697 e 2700 c.c. e del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 138, comma 2, lett. e), nel testo modificato dalla L. 124 del 2017. Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Errata applicazione della norma invocata riguardo alla prova del danno morale subito”.

La ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione sul motivo di appello con cui si faceva valere la distinzione tra danno biologico e danno morale.

2.1 Il motivo è inammissibile. Al riguardo, va ricordato che il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante quanto alle sue ricadute in termini di diritto (cfr., ex multis, Cass., Sez. I, sent. n. 5133/2014; Cass., Sez. I, sent. n. 7983/2014; Cass., Sez. V, ord. n. 21152/2014; Cass., Sez. U., sent. n. 5745/2015); non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze ovvero il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr., sul punto, Cass., Sez. IV, sent. n. 21439/2015).

Di conseguenza, il motivo non risulta formulato in aderenza al paradigma imposto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacché non individua un preciso fatto storico, decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare, ma, nuovamente, pone in discussione la valutazione degli elementi di fatto in base ai quali, ad avviso della ricorrente, la sentenza avrebbe dovuto liquidare sia il danno morale sia la personalizzazione del biologico. Il motivo, peraltro, neppure attinge la ratio decidendi, che ha escluso, in punto di fatto, la mancata allegazione di specifiche circostanze che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni. Ne deriva che, non censurando la statuizione in rito della impugnata sentenza, secondo la quale le particolari sofferenze che avrebbero giustificato la personalizzazione non erano state neppure allegate, il motivo è inammissibile, oltre che per le ragioni qui esposte, anche per la medesima ragione di inammissibilità di cui al primo motivo di ricorso.

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 5500 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 29 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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