Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7343 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/03/2017, (ud. 22/12/2016, dep.22/03/2017),  n. 7343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 19130-2015 proposto da:

K.T., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CANTORE ANTONIO 17, presso lo studio dell’avvocato MARINA

ARMELISASSO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CASA DI CURA MATER DEI S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

MARTIRE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

UMBERTO ICOLARI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4717/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/06/2015 R.G.N. 537/15;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udito l’Avvocato MARINA ARMELISASSO;

udito l’Avvocato ROBERTO MARTIRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza del 5.5.2015 la Corte di appello di Roma rigettava il reclamo proposto da K.T. avverso la sentenza del Tribunale di Roma con la quale era stata accolta l’opposizione proposta dalla Casa di cura Mater Dei s.p.a. e rigettata la domanda del K. diretta all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti dal 20.8.2008 al 31.8.2013 con mansioni di guardia medica ginecologica.

2. A fondamento della propria decisione la Corte territoriale osservava che i testimoni assunti su istanza della società avevano confermato che i turni venivano predisposti in base alla disponibilità dei medici che in sostanza li auto-organizzavano, circostanza anche confermata dal teste M.V. direttrice sanitaria citata dal lavoratore secondo la quale i turni venivano predisposti sulla base di riunioni collettive nelle quali i medici facevano presente le loro disponibilità. Per la Corte territoriale era emerso che l’appellante insieme ad altri 10 professionisti aveva costituito un’associazione di fatto che poi aveva stipulato una convenzione con la Mater Dei per rendere unitariamente il servizio di guardia medica. Non era in definitiva emerso nè un obbligatorio orario di lavoro nè un costante potere datoriale di emanare direttive ai medici.

3. Per la cassazione propone ricorso il K. con tre motivi corredati da memoria, resiste controparte con controricorso corredato da memoria ex art 378 c.p.c. Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si allega l’omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, nn. 3 e 5, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e degli artt. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 e dell’art. 2697 c.c.. La guardia medica era organizzata e diretta da direttori sanitari e coordinatori dipendenti della Casa di cura e quindi l’associazione tra i medici, cui comunque molti non avevano aderito, svolgeva un servizio che presupponeva il coordinamento e la direzione di superiori gerarchici; l’offerta di prestazione aveva un carattere continuativo ed effettivo, il compenso era fisso e vi era un pieno inserimento dei medici nell’organizzazione aziendale.

2. Con il secondo motivo si allega l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso o decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; degli artt. art. 228-230 c.c.; dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 117 e 116 c.p.c.. Dalle dichiarazioni rese dal legale rapp.te era emerso che le modalità di svolgimento del rapporto, in ordine ai turni di lavoro, erano difformi da quelle previste in convenzione; i medici erano obbligati ad apporre anche la loro firma nei registri della Casa di cura.

3. Con il terzo motivo si allega l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso o decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c.. I testi avevano confermato la sottoposizione alle direttive di superiori gerarchici e l’assenza di rischio del lavoratore, così come erano state trascurate le modalità di retribuzione ed anche quelle concernenti le ferie. Erano presenti tutti gli indici più significativi in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

4. I tre motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi. Va ricordato come la sentenza impugnata sia stata emessa il 5.5.2015 e conseguentemente appare applicabile ratione temporis la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che non consente la proposizione del vizio di motivazione allorchè il “fatto” di cui si discute (globalmente inteso come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte a cominciare dalla sentenza del 7 Aprile 2014, sez. un. civ. n. 8053) sia già stato esaminato dal Giudice di appello, salvo il cosidetto “minimo costituzionale”. Ora è comunque pacifico che la qualificazione di un rapporto come di lavoro subordinato o autonomo spetti al Giudice di merito purchè sia adeguatamente motivata nel rispetto dei criteri offerti dalla giurisprudenza di legittimità: i Giudici di merito hanno escluso la subordinazione con motivazione congrua e logicamente coerente che ha puntualmente indicato quali elementi siano stati posti a fondamento della decisione, motivazione che appare del tutto coerente e rispettosa della giurisprudenza di legittimità posto che l’esistenza di un orario di lavoro obbligatorio e l’assenza dell’assoggettamento al potere disciplinare e direttivo di superiori gerarchici sono, da sempre, elementi centrali per la qualificazione del rapporto (cfr. anche la recente sentenza del 7 Maggio 2015 n. 76 della Corte costituzionale che offre numerosi elementi interpretativi anche per la controversia in esame). I tre motivi, anche se sollevano questioni di diritto, in realtà avanzano censure o di carenza motivazionale, o di insufficienza nella motivazione in ordine al prevalere di alcuni indici su altri – nel giudizio di qualificazione del rapporto -, o ancora censure di merito dirette ad una “rivalutazione del fatto” come tali profili inammissibili in questa sede. Pertanto, posto che la motivazione appare congrua e logicamente corretta, che fa applicazione di principi affermati da questa Corte e più recentemente dalla Corte delle leggi, che le censure appaiono palesemente eccedenti i confini entro i quali possono ancora porsi questioni di carenza o insufficienza motivazionale, deve rigettarsi il proposto ricorso.

5. Le spese di lite – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi, oltre ad Euro 4.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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