Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7343 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. III, 07/03/2022, (ud. 23/11/2021, dep. 07/03/2022), n.7343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di Sez. –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18361/2019 R.G. proposto da:

P. INVESTIMENTI S.R.L., elettivamente domiciliata in Roma,

Largo Teatro Valle 6, presso lo studio dell’avvocato Filippo Bracci,

rappresentata e difesa dall’avvocato Bruno Aiudi;

– ricorrente –

contro

S.S., e C.B., elettivamente domiciliati in

Roma, via Filippo Corridoni 15, presso lo studio dell’avvocato

Giovanni Bonaccio, rappresentati e difesi dall’avvocato Aldo

Valentini;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3032/2018 della CORTE D’APPELLO DI ANCONA,

depositata il 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/11/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– S.S. e C.B. agivano in executivis nei confronti della P. Investimenti S.r.l. in forza di due decreti ingiuntivi, divenuti definitivi in conseguenza dell’estinzione dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., avanzata dalla società;

– l’esecutata contestava il diritto di procedere ad esecuzione forzata deducendo di essere, a sua volta, creditrice dei procedenti e di opporre a questi la compensazione coi propri controcrediti; in particolare, il credito di S. e C. era costituito dal prezzo di alienazione delle quote della Hotel Augustus S.r.l., mentre la P. Investimenti opponente sosteneva di essere creditrice per esborsi relativi alla definizione di controversie pendenti tra la società ceduta e terzi, per il risarcimento dovuto in ragione del mancato rilascio di una porzione dell’hotel, per spese legali, ecc.;

– i creditori opposti si difendevano affermando l’inammissibilità della pretesa compensazione di crediti che la controparte avrebbe dovuto far valere coltivando l’opposizione al decreto ingiuntivo (nella quale erano stati già dedotti alcuni dei pretesi controcrediti) e, comunque, contestando la sussistenza delle avverse pretese;

– il Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 659 dell’11/7/2014, stabiliva che dal prezzo di cessione delle quote societarie dovessero essere sottratti alcuni importi specificamente indicati nella pronuncia, condannava gli opposti a risarcire il danno per ritardato rilascio della porzione del cespite e dichiarava il diritto degli opposti di procedere ad esecuzione forzata per la differenza;

– adita da S.S. e C.B., la Corte d’appello di Ancona – con la sentenza n. 3032 del 19/12/2018 – riformava parzialmente la decisione di primo grado, riducendo l’entità dei controcrediti opponibili dalla P. Investimenti e revocando la condanna emessa per il ritardato rilascio dell’immobile;

– avverso la suddetta sentenza la P. Investimenti S.r.l. proponeva ricorso per cassazione (affidato a otto motivi), al quale resistevano con controricorso S.S. e C.B.; le parti depositavano memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e, segnatamente, per minuspetizione in ordine all’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specifici motivi;

– col secondo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., per avere la Corte territoriale implicitamente ritenuto ammissibile l’appello nonostante la mera riproposizione, da parte degli appellanti, delle difese svolte in primo grado, senza spiegare specifici motivi d’impugnazione avverso la decisione del Tribunale;

– col terzo motivo si denuncia (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello sindacato l’esistenza di fatti estintivi o modificativi del diritto del creditore successivi alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, sebbene l’impugnazione non riguardasse tale aspetto;

– col quarto motivo si denuncia (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., per avere il giudice d’appello provveduto a correggere la motivazione della pronuncia di primo grado senza sottoporre la questione alle parti e assegnare termine per svolgere difese;

– col quinto motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per avere la Corte d’appello preso in esame, ai fini dell’eccepita compensazione, soltanto i crediti maturati successivamente alla definitività dei decreti ingiuntivi, così attribuendo ai provvedimenti monitori il valore di giudicato su ogni questione antecedente;

– col sesto motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione degli artt. 1226 e 1227 c.c., per avere la Corte di merito riformato la condanna risarcitoria contenuta nella sentenza di primo grado, omettendo di provvedere alla liquidazione equitativa del danno insito nel mancato rilascio di una porzione dell’immobile;

– col settimo motivo si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241,1242 e 1243 c.c., per avere la Corte d’appello escluso la compensazione tra i crediti, provati dalla P. Investimenti, e il credito di S. e Brunelli risultante dai decreti ingiuntivi;

– con l’ottavo e ultimo motivo si denuncia (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., per avere il giudice di secondo grado reso una decisione corredata da una motivazione laconica, insufficiente a giustificare la pronuncia di rigetto dell’appello incidentale;

– il ricorso e i singoli motivi sono manifestamente inammissibili per violazione degli artt. 366 e 360 c.p.c.:

– l’illustrazione del fatto processuale è gravemente lacunosa: persino per collocare l’azione originariamente svolta dalla P. Investimenti nell’alveo delle opposizioni esecutive si è reso necessario integrare l’esposizione con la lettura del controricorso e della sentenza; i motivi per i quali la società si è opposta all’esecuzione forzata intrapresa nei suoi confronti sono solo genericamente riportati;

– il rimando agli atti dei giudizi di merito e alla sentenza impugnata non soddisfano il requisito di autosufficienza, impedendo a questa Corte di vagliare le censure;

– il ricorrente, inoltre, omette di riportare il contenuto della decisione impugnata, di cui sono trascritte soltanto alcune frasi non idonee ad individuare la motivazione che sorregge le statuizioni del giudice di merito e anche la sentenza di primo grado è richiamata in maniera tale da precludere la comprensione del decisum;

– i motivi del ricorso non consentono di comprendere i pretesi errores asseritamente compiuti dalla Corte d’appello, sia per quanto concerne i profili di ammissibilità dell’appello (non essendo riportato il contenuto delle censure svolte dagli appellanti e delle difese dell’appellato, non è possibile esaminare i denunciati vizi di minuspetizione/ultrapetizione o di violazione dell’art. 342 c.p.c.), sia per quanto attiene alle critiche svolte per la pretesa violazione dell’art. 101 c.p.c. o dell’art. 2909 c.c.;

– inoltre, i motivi sono generici perché il richiamo alle norme regolatrici non è di per sé sufficiente a fondare una critica alla decisione del giudice d’appello in mancanza di un raffronto tra la fattispecie in esame e la statuizione e, soprattutto, della prospettazione del diverso percorso logico-giuridico che, secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto seguire;

– inoltre, il quarto motivo fa riferimento a prove documentali, oggetto di disconoscimento da parte dell’appellata, che avrebbero dovuto indurre il giudice d’appello a riconoscere il credito, come richiesto nell’appello incidentale, ma non sono stati riportati nel ricorso né il contenuto dei documenti, né quello dell’impugnazione incidentale; la ricorrente, poi, censura la sentenza per avere corretto la motivazione della decisione di primo grado oltre i limiti di quanto devoluto alla Corte d’appello e per aver agito ex officio senza concedere alle parti termine per memorie sulla questione, ma quest’ultima non è nemmeno esposta nell’atto introduttivo;

– al di là della rilevata inosservanza dell’art. 366 c.p.c. (che affligge l’intero ricorso), il sesto motivo non intercetta la ratio decidendi della sentenza impugnata, perché censura la decisione per l’omessa liquidazione del danno conseguente al mancato rilascio dell’ultimo piano dell’Hotel Augustus senza però rilevare che il giudice d’appello ha riscontrato la mancanza di specifiche allegazioni sul pregiudizio asseritamente derivato alla società e, comunque, il difetto di prova del quantum richiesto a titolo risarcitorio;

– il settimo motivo è inammissibile per plurime ragioni: i pretesi controcrediti della P. Investimenti sono solo genericamente indicati (a pag. 19 si fa un sintetico e vago riferimento a delegazioni di pagamento e a provvedimenti giurisdizionali); si afferma che gli stessi erano stati dimostrati attraverso documenti il cui contenuto non è riportato e, comunque, nel giudizio di legittimità non può essere posta come questione la valutazione del materiale probatorio da parte del giudice del merito, a ciò istituzionalmente deputato; infine, la dedotta violazione dell’art. 1243 c.c., non è articolata come critica alla decisione della Corte d’appello, la quale ha escluso la natura di sopravvenienza passiva alla stipula degli accordi tra le parti che erano stati posti a base dell’opposizione esecutiva;

– la denunciata nullità della decisione per mancanza di motivazione (ottavo motivo) non si confronta col testo della sentenza impugnata, la quale, al contrario, reca le ragioni dell’accoglimento dell’appello; la parte ricorrente, genericamente ed astrattamente diffondendosi sull’obbligo di motivazione ex art. 111 Cost., muove critica alla sentenza non già perché carente di una motivazione, bensì perché dotata di una motivazione non condivisa;

– in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, le quali sono liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo;

– va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

la Corte;

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 5.200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, qualora dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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