Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7341 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. III, 07/03/2022, (ud. 16/11/2021, dep. 07/03/2022), n.7341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18993/2019 proposto da:

COIMP s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIULIO DI GIOIA, ed elettivamente domiciliata

presso lo studio del medesimo in Roma Via Reno n. 22, Pec.

Giuliodigioia.legalmail.it;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO NAPOLITANO, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in Roma, in

Via Giuseppe A. Guattani 2/A;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2014/2019 dello CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata l’11/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/11/2021 da Dott. MOSCARINI ANNA.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

1. La società Coimp srl, utilizzatrice di una pala gommata concessa in leasing da Ubi Leasing S.p.A., avendo subito il furto del bene, e a seguito di risoluzione del contratto di leasing, dovette pagare alla concedente le residue rate. Convenne allora, davanti al Tribunale di Napoli, la compagnia di assicurazioni Generali Italia SpA, che aveva respinto la richiesta di risarcimento per il sinistro occorso al bene, per sentir accertare e dichiarare il proprio diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza del mancato indennizzo del rischio assicurato e del conseguente obbligo di pagare, in ogni caso, alla concedente le residue rate di leasing.

2. Nel contraddittorio con la compagnia, che eccepì il difetto di legittimazione attiva della società Coimp ed il suo difetto di interesse al ricorso ai sensi dell’art. 100 c.p.c., per non essere essa né contraente, né assicurata, né beneficiaria della polizza e per non potere essa far valere in nome proprio un diritto altrui, il Tribunale adito, ritenuta fondata l’eccezione di difetto di legitimatio ad causam per essere il soggetto assicurato solo il locatore del bene, dichiarò inammissibile la domanda, escludendo che la società istante potesse vantare alcun diritto ad indennizzo di sorta, non risultando neppure surrogata nei diritti del concedente ai sensi dell’art. 1201 c.c..

3. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza resa in data 11/4/2019 e notificata in pari data, ha ritenuto incontestabile (richiamando Cass., n. 10357/2017) la decisione di primo grado laddove ha affermato che il credito indennitario, scaturente dal contratto di assicurazione, spetta al concedente (parte del contratto) e non all’utilizzatore, che pertanto non ha azione diretta contro l’assicuratore; ha aggiunto che, anche a voler ritenere l’astratta ammissibilità della domanda per responsabilità extracontrattuale, la stessa risulterebbe infondata, essendo incontestato sia il mancato riconoscimento dell’indennizzo da parte di Generali sia la mancata opposizione della società Coimp alla richiesta della concedente di pagare il saldo delle rate, sia la prova documentale del fatto che la Coimp non avesse custodito il bene in conformità alle prescrizioni di polizza. Ha dunque ritenuto mancare l’elemento soggettivo del dolo e della colpa in capo a Generali, essendo il ladro della pala l’unico soggetto responsabile del danno, ed essendo ius receptum che l’utilizzatore di un bene dato a leasing sia tenuto a corrispondere al locatore i canoni previsti fino alla scadenza del contratto, anche in caso di deperimento del bene. Dovendosi ritenere sussistente, in capo al conduttore, l’obbligo di custodia, e configurandosi la diligenza come vera e propria obbligazione principale, la Corte di merito ha ritenuto che l’unica responsabile del mancato indennizzo fosse l’appellante stessa, che non aveva adeguatamente custodito il bene e che era, preliminarmente, priva di titolo per agire nei confronti di Generali Italia SpA.

4. Avverso la sentenza la Coimp srl ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.

Ha resistito Generali Italia SpA con controricorso.

La causa è stata assegnata alla trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in vista della quale la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RITENUTO

che:

1. Le eccezioni pregiudiziali di improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 1, per tardività del suo deposito e per mancato deposito della copia notificata della sentenza impugnata, vanno disattese.

Quanto alla prima, essa è infondata in quanto il ricorso è stato depositato nei termini, quanto alla seconda, risulta che il ricorso è stato notificato entro i 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza sicché questa Corte può accertarne la tempestività, indipendentemente dalla presenza in atti della copia notificata della sentenza.

2. Pur essendo procedibile, il ricorso è palesemente inammissibile.

La Coimp, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta che la Corte di merito abbia omesso di ammettere i capitoli di prova testimoniale che avrebbero consentito di accertare, in contrasto con le risultanze documentali, che essa aveva ottemperato alle condizioni di polizza, adempiendo con diligenza all’obbligo di custodia e sorveglianza del bene. Avrebbe altresì violato l’art. 2697 c.c., consentendo all’assicurato di limitarsi a provare la denuncia di furto senza richiedere la prova rigorosa della preesistenza della res assicurata nelle condizioni e nel luogo indicate dall’assicurato e la verificazione dell’evento furto.

2.1 La censura non attinge la principale ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo la quale, pur essendo configurabili sul medesimo bene più interessi distinti, appartenenti a diversi soggetti, certamente l’assicurazione sul bene, stipulata da uno di questi, non può ritenersi estendere automaticamente i propri effetti anche agli altri, ad eccezione dell’ipotesi (estranea al caso in esame), che ciò non sia espressamente previsto dal contratto di assicurazione. La ricorrente non attinge, dunque, la principale ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo la quale il credito indennitario, scaturente dal contratto di assicurazione, spetta al concedente (parte del contratto) e non all’utilizzatore, che pertanto non ha azione diretta contro l’assicuratore.

Nulla la ricorrente dice per contrastare la decisione che, pertanto, è sul punto passata in giudicato.

2.2 In ogni caso il motivo sarebbe inammissibile perché volto ad evocare un riesame del merito della causa, come reso palese sia dalla pretesa violazione dell’art. 2697 c.c., sia dalla pretesa violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Il ricorso non deduce in modo adeguato né la violazione dell’art. 2697 c.c. – in quanto non dimostra come l’ammissione della prova testimoniale avrebbe inficiato la ratio decidendi (Cass., 6-1, n. 16214 del 17/6/2019; Cass., 3, n. 18285 del 25/6/2021) né la violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c..

La violazione dell’art. 2697 c.c. è dedotta inammissibilmente, in quanto non è svolta secondo il principio di diritto predicato da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 e ribadito da Cass. n. 26769 del 2018 secondo il quale “In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c..

La violazione dell’art. 116 c.p.c., infine, può dirsi sussistente solo se il giudice di merito attribuisca pubblica fede ad una prova che ne sia priva o, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova a valutazione vincolata, come l’atto pubblico. La valutazione delle prove in un senso piuttosto che in un altro non costituisce un error in procedendo ma, a tutto voler concedere, un error in iudicando deducibile solo come vizio di omesso esame d’un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

E’ palese che il ricorso non osserva alcuna delle condizioni richieste dalla giurisprudenza di questa Corte per sollevare le richiamate censure.

3. Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 4100 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio Sezione Terza Civile, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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