Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7340 del 17/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 17/03/2020), n.7340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. Luigi – Presidente –

Dott. NONNO G. Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 5049 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

SI.MO. di S.S.P. s.a.s. (già SI.MO. di

P.F.P. s.a.s.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Nebbia per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, via Panama, n. 74, presso lo studio dell’Avv. Gianni Emilio

Iacobelli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Molise, n. 29/3/2015, depositata il giorno 21 gennaio

2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 1

ottobre 2019 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

Fatto

RILEVATO

che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la società SI.MO. di P.F.P. s.a.s., aveva presentato un’istanza di rimborso del credito Iva relativa al secondo trimestre dell’anno 2007; l’Iva chiesta a rimborso era relativa al corrispettivo versato da F.P.P. e S.P.S. (promittenti acquirenti), in favore della società Soges s.r.l. (promittente venditrice) per l’acquisto di un terreno industriale; al momento della stipula del contratto definitivo, nella quale parte acquirente risultava la SI.MO. di P.F.P. s.a.s, l’importo, già versato a titolo di caparra confirmatoria e non di acconto, era stato imputato a pagamento del corrispettivo; l’Agenzia delle entrate aveva rigettato l’istanza di rimborso e avverso il provvedimento di diniego la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, che lo aveva accolto; avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale del Molise ha accolto, in particolare ha ritenuto che: in tema d’Iva, nelle cessioni di immobili, l’eventuale pagamento, prima del passaggio di proprietà, di somme di denaro a titolo di caparra confirmatoria è soggetto all’imposta e all’obbligo di fatturazione solo nella misura in cui tali somme sono destinate, per volontà delle parti, ad anticipazione del prezzo; nella fattispecie, tenuto conto degli elementi di prova a disposizione, all’entità della somma versata a titolo di caparra al momento del preliminare doveva attribuirsi il valore di anticipazione della maggiore somma dovuta;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la contribuente affidato a quattro motivi di censura;

l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato “di costituzione”, con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, c.c., dell’art. 1385, c.c., nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6 e 30;

il motivo è infondato;

va osservato che il motivo è articolato in diverse ragioni di censura, riconducibili alla ritenuta violazione di legge, in ordine alle quali occorre procedere ad una valutazione differenziata e specifica;

in particolare, si lamenta, in primo luogo, la violazione delle regole interpretative dei contratti, di cui all’art. 1362, c.c. per non avere il giudice del gravame correttamente interpretato la volontà delle parti in ordine alla qualificazione dell’importo versato in sede di stipula del contratto preliminare, essendo indubitabile, tenuto conto della espressa volontà delle parti, che le stesse avevano inteso escludere espressamente la natura di acconto al versamento ed attribuire, invece, allo stesso la qualifica di caparra confirmatoria; in secondo luogo, si lamenta, correlativamente, la non corretta applicazione dell’art. 1385 c.c., laddove la sentenza ha ritenuto che la natura di acconto del prezzo corrisposto in sede di contratto preliminare trovava supporto nel fatto che, in sede di contratto definitivo, era stato dichiarato che il corrispettivo della compravendita era stato già precedentemente pagato;

i suddetti profili di censura non sono fondati;

va precisato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (da ultimo, Cass. civ., 29 novembre 2018, n. 30865; conf., Cass. civ., 14 febbraio 2012, n. 2109; Cass. civ. 29 luglio 2016, n. 15763), “l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto”;

pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. civ. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. civ. 11 marzo 2014, n. 5595; Cass. civ., 27 febbraio 2015, n. 3980; Cass. civ., 19 luglio 2016, n. 14715);

va quindi precisato che, ai sensi dell’art. 1362 c.c., nell’interpretazione del contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole e che, per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto;

nella fattispecie, il giudice del gravame ha, in primo luogo, precisato quale sia la diversa funzione della caparra confirmatoria rispetto all’anticipazione del prezzo, specificando, quindi, sulla base di quali elementi, desunti dal contenuto del contratto e dal comportamento delle parti, nella fattispecie l’importo versato non aveva la funzione di garanzia, propria della caparra confirmatoria, ma di un anticipo sulla maggiore somma dovuta;

in particolare, ha specificamente argomentato che la diversa qualificazione, rispetto a quella formalmente indicata dalle parti nel contratto preliminare, doveva fondarsi sui seguenti elementi: la natura personale della società acquirente; l’entità della somma versata al momento della stipula del contratto preliminare (pari ai tre quarti dell’intero corrispettivo); l’assenza di una restituzione della somma ai promissari acquirenti; l’espressa indicazione, nel contratto definitivo, che la somma corrisposta era un anticipo sulla maggiore somma dovuta;

il ragionamento ermeneutico seguito dal giudice del gravame si fonda, quindi, su quanto espressamente indicato dalle parti nel contratto definitivo sicchè ha ritenuto, in conformità con quanto previsto dall’art. 1362 c.c. (secondo cui nell’attività interpretativa deve andarsi oltre il senso letterale delle parole utilizzate) di dovere esaminare il complessivo comportamento delle parti al fine di chiarire meglio il senso e la portata della previsione contrattuale utilizzata;

l’inquadramento, quindi, operato dal giudice del gravame, nel senso della natura di acconto della prestazione eseguita al momento della stipula del contratto preliminare, è corretto, tenuto conto del fatto che, secondo questa Corte (da ultimo, Cass. civ., 8 febbraio 2019, n. 3736; conf. Cass., Sez. U., 4 febbraio 2009, n. 2634) la caparra confirmatoria “risponde ad autonome funzioni: oltre a costituire, in generale, indizio della conclusione del contratto

cui accede, incita le parti a darvi esecuzione, considerato che colui che l’ha versata potrà perdere la relativa somma e la controparte

potrà essere, eventualmente, tenuta a restituire il doppio di quanto ricevuto in caso di inadempimento ad essa imputabile; può svolgere, inoltre, funzione di anticipazione del prezzo, nel caso di regolare esecuzione del contratto preliminare, costituendo, invece, un risarcimento forfetario in caso d’inadempimento di questo, poichè il suo versamento dispensa dalla prova del quantum del danno subito in caso di inadempimento della controparte, salva la facoltà di richiedere il risarcimento del maggior danno. Il punto è che, mentre nell’ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è imputata sul prezzo dei beni oggetto dei definitivi, assoggettabili ad iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo dell’imposta, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, l’inadempimento ne propizia il trattenimento, che serve, si è visto, a risarcire il promittente venditore;

pertanto, in questo quadro ricostruttivo, la pronuncia censurata ha preso in considerazione il comportamento complessivo delle parti ed ha specificamente evidenziato i diversi profili da cui ricavare la valutazione finale che i contraenti avevano inteso attribuire al versamento dell’importo una funzione diversa da quella propria della caparra confirmatoria;

la valutazione compiuta dal giudice del gravame in ordine alla corretta qualificazione del versamento dell’importo al momento della stipula del contratto preliminare, dunque, non si pone in termini contrastanti rispetto ai principi ermeneutici stabiliti dall’art. 1360 c.c., avendo correttamente provveduto a valutare l’esatta funzione della caparra confirmatoria e ritenuto non riconducibile ad essa le specifica disciplina pattizia prevista dai contraenti;

non rileva, sotto tale profilo, la ritenuta violazione dell’art. 1385 c.c., proprio in quanto la stessa presuppone, a monte, che il corrispettivo versato è qualificabile in termini di caparra confirmatoria, circostanza esclusa dal giudice del gravame con una valutazione di merito non sindacabile in questa sede;

un terzo profilo di censura attiene, invece, alla non corretta applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 1, e art. 30;

parte ricorrente, a tal proposito, mette in luce la particolarità della vicenda in esame in cui, al momento della stipula del contratto preliminare, il soggetto che aveva versato l’importo era diverso da quello che aveva stipulato il contratto definitivo in forza della riserva di nomina di altro contraente sicchè, secondo l’assunto di parte ricorrente, il soggetto nominato, che ha stipulato il contratto definitivo, ha diritto alla detrazione dell’Iva per l’intero importo corrisposto, tenuto conto della portata retroattiva, anche ai fini fiscali, della dichiarazione di nomina;

l’assunto non è condivisibile;

va osservato, in termini generali, che questa Corte (Cass. civ., 22 febbraio 2015, n. 10606) ha precisato che l’art. 10, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, considera fatto generatore dell’imposta quello “…per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l’esigibilità dell’imposta”, e ravvisa l’esigibilità dell’imposta nel momento a partire dal quale l’erario può far valere il diritto al pagamento dell’imposta, anche se esso può essere differito e chiarisce (numero 2) che “il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi”;

ne deriva che l’imposta può diventare esigibile nello stesso tempo o dopo l’avverarsi del fatto generatore ma, salvo disposizione contraria, non prima di questo (Corte giust. 21 febbraio 2006, causa C-419/02, BUPA Hospitals Ltd, Goldsborough Developments Ltd, punto 46);

l’art. 10, n. 2, comma 2 (trasposto, nell’ordinamento interno, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4), si discosta da tale ordine cronologico, prevedendo che, nel caso di versamento di un acconto, l’Iva diventa esigibile senza che la cessione o la prestazione siano state ancora eseguite: affinchè, in tal caso, l’imposta possa diventare esigibile, occorre, peraltro, che tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, siano già noti alle parti e, in particolare, che, nel momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati (Corte giust. causa C419/02, punto 48);

ciò in quanto, ha chiarito questa Corte, nel caso di anticipato pagamento (come in quello di anticipata fatturazione dell’acquisto), il contenuto economico dell’operazione si considera già – in tutto o in parte – realizzato, dando vita al presupposto fiscalmente sufficiente per la sua imponibilità, sia pure limitatamente all’importo pagato o fatturato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27141; vedi anche 17 gennaio 1998, n. 371; 20 dicembre 1994, n. 10952 e 8 giugno 1992, n. 7056; in linea, anche 12 maggio 2008, n. 12192, relativamente al versamento di un acconto a corredo della stipulazione di un contratto preliminare di compravendita di immobile, poi risolto);

in definitiva, quando vengono incassati acconti anteriormente al fatto generatore, il loro incasso rende esigibile l’imposta, poichè i contraenti dimostrano in tal modo di voler trarre anticipatamente tutte le conseguenze finanziarie legate alla realizzazione del fatto generatore;

è, dunque, indubitabile che, seguendo l’impostazione interpretativa data dal giudice del gravame, il momento del versamento dell’acconto ha determinato il sorgere dell’obbligo di pagamento dell’imposta e, quindi, sussistendone i presupposti, del diritto alla detrazione ove colui che vi ha provveduto sia, al tempo stesso, soggetto passivo di imposta, sicchè, qualora il pagamento sia stato compiuto da altro soggetto (come nel caso di specie), non può dirsi che quel diritto alla detrazione possa essere fatto valere da altro soggetto che non ha realizzato il presupposto da cui sorge il diritto alla detrazione;

va evidenziato, in questo contesto, che non può trovare applicazione al caso di specie, quanto statuito da questa Corte con la pronuncia 15 dicembre 2017, n. 30192, ove si è ritenuto che nel contratto per persona da nominare, a norma dell’art. 1404 c.c., la nomina accettata investe l’eletto dei diritti e degli obblighi contrattuali con effetto retroattivo, sicchè, nel preliminare di vendita con riserva di nomina, il nominato acquirente va considerato fin dall’origine l’unica parte contrapposta al promittente alienante;

la suddetta pronuncia, invero, è stata resa in relazione alla specifica fattispecie esaminata avente ad oggetto la questione se l’acquirente che, al momento della stipula del contratto definitivo, ha diritto di versare l’imposta di registro in misura fissa quale società agricola, ai sensi del D.Lgs. n. 99 del 2004, art. 2, ha il correlato diritto al rimborso dell’imposta proporzionale versata sull’acconto al preliminare, anche se questa è stata anticipata dall’originario stipulante con riserva, posto che l’electus subentra in tutto all’anticipante, con effetto ex tunc;

tale soluzione, invero, è stata espressa tenuto conto del particolare legame funzionale emergente dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 10, Tariffa Parte 1, la cui nota stabilisce che l’imposta proporzionale versata sugli acconti al preliminare “è imputata all’imposta principale dovuto per la registrazione del contratto definitivo: è, cioè, il legislatore che ha espressamente previsto l’unicità del trattamento nel caso in cui sia versata l’imposta di registro come acconto al momento del preliminare;

diverso è il caso in esame, in cui il versamento dell’acconto del prezzo finale, al momento della stipula del contratto preliminare, costituisce un autonomo fatto generatore del pagamento dell’Iva, distinto da quello ulteriore che si viene a determinare al momento della stipula del definitivo, sicchè, nel caso di diversa soggettività, a ciascuno di essi si applica il regime normativa in materia di Iva; con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;

in particolare, lamenta la ricorrente che il giudice del gravame non avrebbe motivato circa l’espressa manifestazione di volontà delle parti in ordine alla natura di caparra e non di acconto della somma versata;

il motivo è infondato, atteso che, come visto in sede di esame del primo motivo di ricorso, il giudice ha argomentato in ordine alla natura di acconto e non di caparra confirmatoria del corrispettivo versato al momento della stipula del contratto preliminare, indicando espressamente su quali circostanze fattuali si fondava la valutazione della natura di acconto del suddetto importo;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 c.p.c., n. 4), e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4);

in particolare, la censura muove dalla considerazione che la pronuncia risulterebbe contraddittoria, avendo il giudice del gravame: evidenziato che la ricorrente non aveva in alcun modo dedotto che la società aveva restituito ai due promissari acquirenti la consistente somma in questione, trascurando la lettura degli atti della società contribuente, nei quali era stato dato conto della espressa formalizzazione dell’obbligo di restituzione della somma anticipata dai soci; desunto argomenti di prova dalla disposizione del contratto definitivo, secondo cui la somma corrisposta a titolo di caparra confirmatoria al momento del rogito diveniva parte del prezzo; inoltre, fatto riferimento alla natura personale della società acquirente;

il motivo è infondato;

i diversi passaggi della sentenza impugnata, presi in considerazione dalla ricorrente, sono stati atomisticamente evidenziati, senza considerare che, ciascuno di essi sono stati, invero, posti a base della complessiva valutazione compiuta dal giudice del gravame al fine di valutare la natura del corrispettivo versato al momento della stipula del preliminare;

gli stessi, invero, unitamente alla considerazione della consistente entità dell’importo versato al momento della stipula del preliminare, sono stati complessivamente valutati dal giudice del gravame, procedendo ad una interpretazione del contenuto degli atti e del comportamento tenuto dalle parti, anche successivi alla stipula del contratto definitivo;

non è quindi ravvisabile alcuna contraddittorietà della pronuncia del giudice, prospettata, con riferimento al primo profilo, non in relazione ad una contraddittorietà interna del percorso decisionale, ma in relazione a quanto contenuto nelle controdeduzioni della ricorrente, e, con riferimento al secondo profilo, in relazione all’art. 1385 c.c., comma 1, posto che, come detto, lo stesso postula che il versamento compiuto abbia natura di caparra confirmatoria, qualificazione esclusa, come visto, dal giudice del gravame;

nè può ravvisarsi una illogicità della pronuncia nella parte in cui ha fatto riferimento alla natura personale della società acquirente: anche in questo caso, si tratta di un passaggio motivazionale la cui valenza va valutata nell’ambito del complesso della intera attività interpretativa compiuta dal giudice del gravame, non sindacabile in questa sede;

con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., (sotto il profilo della corrispondenza fra chiesto e pronunciat0), e dell’art. 115 c.p.c., (sotto il profilo della disponibilità delle prove), avendo il giudice del gravame pronunciato su questioni ed attingendo a elementi di prova non prospettate dalla controparte con il motivo di appello;

il motivo è infondato;

è ravvisabile vizio di extrapetizione soltanto allorquando il giudice d’appello pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, oppure su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, mentre non è precluso al giudice del gravame l’esercizio del potere-dovere di qualificare diversamente i fatti, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell’atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al proprio esame (tra varie, Cass., 12 gennaio 2016, n. 296; 31 luglio 2015, n. 16213);

nel motivo di appello dell’Agenzia delle entrate, riprodotto dalla ricorrente, si evince che la ragione della impugnazione alla pronuncia di primo grado si fondava sulla circostanza che: è al momento del versamento dell’acconto che, rappresentando l’anticipazione del corrispettivo dovuto, sorge l’obbligo di emettere la fattura e se, anteriormente alla emissione, è stato comunque versato un acconto, è a quel momento che si è verificato il presupposto per il pagamento dell’imposta; la caparra confirmatoria, anche se prevista da una apposita clausola contrattuale, non costituiva il corrispettivo di una prestazione di servizi o cessione di beni, attesa la funzione risarcitoria; nella fattispecie, l’importo pagato dai promittenti acquirenti non poteva essere riferito ad una caparra confirmatoria in quanto, anche se inserita nel contratto di vendita, non costituiva anticipazione del prezzo; non rilevava la circostanza che i promittenti acquirenti avevano stipulato il contratto con la clausola per persona da nominare;

sicchè, la questione prospettata aveva avuto riguardo alla esatta qualificazione dell’importo versato (se avente natura di caparra confirmatoria o di acconto), in quanto fondamentale al fine di verificare se era corretta o meno la pretesa impositiva, ed è entro i suddetti limiti che il giudice del gravame si è pronunciato, pervenendo alla considerazione che, tenuto conto di diversi elementi di prova, specificamente indicati, era corretta la qualificazione data dalla Agenzia delle entrate di somma versata a titolo di acconto, quindi costituente presupposto per il pagamento dell’imposta;

nè può essere accolta la censura per violazione dell’art. 115, c.p.c., in quanto la stessa può essere prospettata solo se si alleghi che il giudice che ha emesso la sentenza abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, mentre, nella fattispecie, la ragione di censura è stata solo genericamente prospettata, senza specificare se gli elementi di prova su cui il giudice del gravame ha fondato la natura di acconto della somma versata non erano stati prodotti e, quindi, non facevano parte del materiale probatorio a disposizione; in conclusione, i motivi sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso;

nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione della intimata; si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 1 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 17 marzo 2020

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