Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7339 del 16/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/03/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 16/03/2021), n.7339

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22315-2020 proposto da:

D.N.A., RICORSO NON DEPOSITATO AL 07/09/2020;

– ricorrente –

contro

INPS, – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI

CALIULO, LIDIA CARCAVALLO, SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1248/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 17/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Lecce ha respinto il ricorso di D.N.A. che, quale erede della madre C.M.E., aveva chiesto l’accertamento del diritto di ottenere, a decorrere dall’1.11.1979, sulla pensione di reversibilità in godimento alla predetta, la corretta applicazione dei benefici previsti dalla sentenza della Corte Cost. n. 495/93 e il diritto al ricalcolo di essa mediante la perequazione automatica, ai sensi del D.L. n. 463 del 1983, art. 6, comma 3, conv. da L. n. 638 del 1983, con le percentuali previste per le pensioni integrate al minimo;

2. la Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 1248/2019, accogliendo l’appello di D.N.A., ha dichiarato il diritto del predetto al pagamento degli importi differenziali sulla pensione di reversibilità in godimento alla madre deceduta, in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 495/93 nei limiti della prescrizione decennale ed ha condannato l’INPS al pagamento delle relative differenze;

3. la Corte territoriale ha premesso che la dante causa dell’appellante era titolare di due trattamenti pensionistici, la pensione di reversibilità e la pensione diretta di vecchiaia, entrambe erogate dalla medesima gestione (commercianti);

4. ha accertato che la pensione di reversibilità, decorrente dal novembre 1979, era stata adeguata al trattamento minimo fino al luglio 1983, ma non per il periodo successivo, da ottobre 1983, in contrasto con quanto statuito dalla sentenza della Corte Cost. n. 495 del 1993 ed ha liquidato, a titolo di differenze sul trattamento pensionistico, l’importo calcolato dal c.t.u. (e ciò sebbene avesse statuito a pag. 3 della sentenza, dopo il richiamo a Cass. n. 6900 del 2004, che “spettano nella fattispecie solo gli aumenti in misura percentuale sulla pensione base…”);

5. avverso tale sentenza D.N.A. ha proposto ricorso per cassazione, cui ha resistito con controricorso e ricorso incidentale l’INPS, che ha anche depositato memoria;

6. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

7. il ricorso principale va dichiarato improcedibile, in quanto, come certificato dalla Cancelleria di questa Corte il 7.9.2020, non è stato depositato fino alla data della certificazione, con conseguente superamento del limite di venti giorni di cui all’art. 369 c.p.c.;

8. secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, attesa la perentorietà del termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., “il deposito del ricorso per cassazione dopo la scadenza del ventesimo giorno dalla notifica del gravame comporta l’improcedibilità dello stesso: detta improcedibilità è rilevabile anche d’ufficio e non è esclusa dalla costituzione del resistente, posto che il principio – sancito dall’art. 156 c.p.c. di non rilevabilità della nullità di un atto per mancato raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all’inosservanza di forme in senso stretto e non di termini perentori, per i quali vigono apposite e separate norme” (Cass. n. 24686 del 2014; cfr. anche Cass. n. 22092 del 2019; n. 15544 del 2012; n. 4919 del 2009);

9. ciò posto, deve ritenersi che anche l’omesso deposito del ricorso, ipotesi ben più grave del deposito tardivo, deve essere sanzionato dalla declaratoria di improcedibilità (Cass. n. 25453 del 2017);

10. va pertanto dichiarata l’improcedibilità del ricorso principale;

11. il ricorso incidentale proposto dall’INPS è stato notificato alla parte ricorrente in data 14.8.2020; esso tuttavia non può considerarsi tardivo in ragione della sospensione dei termini processuali disposta dai provvedimenti normativi emanati per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID-19;

12. Il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, conv. dalla L. n. 27 del 2020, ha previsto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”;

13. il D.L. n. 23 del 2020, art. 36 conv. dalla L. n. 40 del 2020, ha prorogato all’11 maggio 2020 il termine del 15 aprile 2020 previsto dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, commi 1 e 2;

14. la sospensione dei termini è espressamente prevista per “il compimento di qualsiasi atto” processuale, quindi sia per gli atti con cui si avvia un giudizio di cognizione o esecutivo e sia per gli atti di impugnazione, in qualsiasi grado; ciò in sintonia con l’orientamento espresso da questa Corte, a proposito della sospensione feriale dei termini, secondo cui “La nozione di “termine processuale”, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, espressione di un principio immanente nel nostro ordinamento, non può ritenersi limitata all’ambito del compimento degli atti successivi all’introduzione del processo, dovendo invece estendersi anche ai termini entro i quali lo stesso deve essere instaurato quando la proposizione della domanda costituisca l’unico rimedio per la tutela del diritto che si assume leso”, (Cass. n. 442 del 2016; cfr. anche Cass. n. 23638 del 2011);

15. nel caso di specie, tenuto conto della sospensione dei termini processuali nel periodo compreso tra il 9.3.2020 e l’11.5.2020, il ricorso incidentale dell’INPS deve considerarsi proposto nel rispetto del termine semestrale previsto dall’art. 327 c.p.c. per il ricorso in cassazione (oltre che nel termine di 40 giorni dalla notifica del ricorso previsto dall’art. 370 c.p.c.) e risulta quindi tempestivo;

16. di conseguenza, l’improcedibilità del ricorso principale, in quanto non depositato, non rende inefficace il ricorso incidentale proposto dall’INPS, dovendosi dare atto del deposito, in allegato al ricorso incidentale dell’Istituto, di copia autentica della sentenza d’appello impugnata (cfr. Cass. n. 16548 del 2015), nonchè del deposito, in allegato alla memoria ex art. 380 bis c.p.c., del ricorso per cassazione proposto da D.N.A.;

17. questa Corte ha precisato che “l’inammissibilità del ricorso principale per Cassazione non priva di efficacia il ricorso incidentale che sia stato proposto tempestivamente ai sensi dell’art. 371 c.p.c. e nei termini per impugnare previsti dagli artt. 325,326 e 327 c.p.c., dovendosi ritenere anzi che il ricorso incidentale in tale ipotesi tenga luogo di quello principale” (Cass. n. 3056 del 2011; n. 8446 del 2004);

18. il ricorso incidentale dell’INPS si basa su tre motivi di censura;

19. col primo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.L. n. 463 del 1983, art. 6 conv. da L. n. 638 del 1983 per avere la Corte d’appello ritenuto che una pensione ai superstiti, decorrente dal novembre 1979, potesse essere adeguata al trattamento minimo dopo l’ottobre 1983, pure a fronte della contestuale titolarità di pensione diretta pacificamente integrata al minimo;

20. col secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per essere la Corte di merito incorsa nel vizio di ultrapetizione, avendo riconosciuto il diritto dell’appellante alle differenze di trattamento pensionistico, con statuizione di condanna dell’Istituto, pur a fronte di una domanda volta all’accertamento del diritto alla liquidazione della pensione ai superstiti secondo i principi di cui alla sentenza della Corte Cost. n. 495 del 1993 e del diritto alla perequazione automatica secondo le percentuali previste per le pensioni erogate al minimo;

21. col terzo motivo la parte ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, per avere i giudici di appello, in una causa promossa dall’erede della pensionata, condannato l’Istituto al pagamento di differenze sulla pensione di reversibilità del de cuius, maturate fino al 31.3.2019, benchè la titolare della pensione di reversibilità, dante causa dell’appellante, fosse deceduta nel maggio 2011;

22. il primo motivo di ricorso incidentale è fondato e deve trovare accoglimento;

23. occorre premettere che dal ricorso in appello, trascritto in parte dall’Inps e prodotto col ricorso in esame, risulta che la sig.ra C.M.E., madre dell’attuale ricorrente principale, era titolare della “pensione di reversibilità n. (OMISSIS) a decorrere dall’1.11.1979, già cristallizzata al trattamento minimo maturato alla data del 30.9.1983”; inoltre, della “pensione di vecchiaia n. (OMISSIS), a decorrere dall’1.11.1972, integrata al trattamento minimo”;

24. la Corte Cost., con sentenza n. 495 del 1993, ha dichiarato illegittimo la L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22 per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che la pensione di riversibilità sia calcolata in proporzione alla pensione diretta integrata al trattamento minimo già liquidata al pensionato o che l’assicurato avrebbe comunque diritto di percepire, e ciò sul rilievo che “la pensione di riversibilità…assicura al beneficiario protezione dallo stato di bisogno che potrebbe derivargli dalla morte del suo dante causa,…finalità (che) non verrebbero realizzate se il calcolo della percentuale spettante al coniuge si operasse sulla pensione così detta contributiva e non già sull’importo effettivamente percepito dal defunto, comprensivo dell’integrazione al minimo…”;

25. occorre poi considerare che il D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, comma 3, nel testo risultante dalla legge di conversione 11 novembre 1983 n. 638, ha disposto: “Fermi restando i limiti di reddito di cui ai precedenti commi, nel caso di concorso di due o più pensioni l’integrazione di cui ai commi stessi spetta una sola volta ed è liquidata sulla pensione a carico della gestione che eroga il trattamento minimo di importo più elevato o, a parità di importo, della gestione che ha liquidato la pensione avente decorrenza più remota. Nel caso di titolarità di pensioni dirette ed ai superstiti a carico della stessa gestione inferiori al trattamento minimo, l’integrazione al trattamento minimo è garantita sulla sola pensione diretta, semprechè non risultino superati i predetti limiti di reddito; nel caso in cui una delle pensioni risulti costituita per effetto di un numero di settimane di contribuzione obbligatoria, effettiva e figurativa con esclusione della contribuzione volontaria e di quella afferente a periodi successivi alla data di decorrenza della pensione, non inferiore a 781, l’integrazione al trattamento minimo spetta su quest’ultima pensione”;

26. come evidente in base al tenore letterale della richiamata disposizione, il legislatore ha chiaramente affermato il principio del diritto all’integrazione una sola volta, nel caso di concorso di due o più pensioni; inoltre, nel caso di contitolarità di pensione diretta e ai superstiti a carico della stessa gestione, entrambe inferiori al trattamento minimo, ha previamente disposto il trattamento pensionistico da garantire attraverso l’integrazione al trattamento minimo, a tal fine individuando la pensione diretta (cfr. Cass. n. 14890 del 2020);

27. il medesimo art. 6 cit., al comma 5, con disposizione di chiusura, ha riconosciuto l’assoggettabilità a perequazione dei trattamenti pensionistici non integrati ai sensi delle precedenti disposizioni (recita il comma 5: “Le pensioni non integrate al trattamento minimo di cui al presente articolo sono assoggettate alla disciplina della perequazione automatica delle pensioni integrate al trattamento minimo secondo i rispettivi ordinamenti”);

28. la sentenza impugnata non si è attenuta ai principi sopra richiamati, in relazione al disposto del D.L. citato, art. 6, comma 3 in quanto ha riconosciuto il diritto della dante causa del D’Anna al ricalcolo, a far data dal 2000 (nei limiti della prescrizione decennale), della pensione di reversibilità mediante integrazione al minimo, nonostante la contestuale titolarità di una pensione diretta integrata al minimo;

29. in ragione di ciò, deve trovare accoglimento il primo motivo del ricorso incidentale, risultando assorbiti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, per un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi richiamati, oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti i residui motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2021

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