Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7339 del 07/03/2022

Cassazione civile sez. III, 07/03/2022, (ud. 10/11/2021, dep. 07/03/2022), n.7339

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. AMBROSI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13475/2019 R.G. proposto da:

COMUNE di Cosenza, in persona del Sindaco, O.M.,

rappresentato e difeso dall’Avv. Agostino Rosselli, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Tonino Presta, in Roma, via della

Giuliana n. 32;

– ricorrente –

contro

INTERNATIONAL FACTORS Italia S.p.a., “IFITALIA s.p.a.”, in persona

del direttore generale L.G., rappresentata e difesa

dall’Avv. Alberto Fumagalli, con domicilio eletto presso lo studio

dell’avv. Marina Rossi, in Roma, via Mazzini n. 96;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 363 del 2019,

depositata il 24 gennaio 2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 novembre

2021 dal Consigliere Dott. Irene Ambrosi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Cosenza e confermato la sentenza del Tribunale dell’omonima città che, a sua volta, aveva accolto la domanda con cui INTERNATIONAL FACTORS Italia S.p.a., IFITALIA, richiamato il contratto di Factoring stipulato con la Valle Crati s.p.a. relativo ad una cessione di crediti inerente al servizio di raccolta di rifiuti e depurazione di acque reflue svolto dalla predetta cedente in favore dello stesso Comune (nel periodo ottobre-luglio 2008) e condannato il Comune di Cosenza al pagamento della somma di Euro 3.534.210,12 oltre interessi, rivalutazione e spese.

Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione il Comune soccombente articolato in quattro motivi. Si è costituita con controricorso INTERNATIONAL FACTORS Italia S.p.a. “IFITALIA”. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. Parte ricorrente ha deposito memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Comune ricorrente lamenta “Violazione della L. 21 febbraio 1991, n. 52, art. 1 (cessione dei crediti di impresa) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonché all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4”. Sostiene il ricorrente che la Corte di appello, come il giudice di prime cure, ha omesso di decidere in ordine all’eccezione di nullità ed inefficacia delle convenzioni esibite nel corso del giudizio e degli atti di cessione del 15.06.2007 e del 2.8.2008 posti a fondamento della domanda introdotta dalla controparte IFITALIA s.p.a.; che della L. n. 52 del 1991, art. 1, subordina la validità della cessione del credito all’esistenza di un contratto da redigersi per iscritto ad substantiam e a pena di nullità rilevabile d’ufficio tra il creditore cedente e il debitore ceduto; risulterebbe dunque per tabulas la nullità del contratto di cessione de quo in quanto ad esso non è stato allegato il contratto tra la società Valle Crati s.p.a. – creditore cedente – ed il Comune di Cosenza debitore ceduto.

2. Con il secondo motivo denuncia “Violazione dell’art. 102 c.p.c. (litisconsorzio necessario) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, lett. (n. ndr) 3)” tenuto conto che la Corte di appello avrebbe violato l’istituto del litisconsorzio necessario non integrando il contraddittorio nei confronti del Consorzio che aveva sottoscritto le tre distinte convenzioni (31.5.2000, 15.11.2002 e 22.11.2007) assieme al Comune di Cosenza per la gestione dei locali servizi ambientali; aggiunge che alcun contratto era stato sottoscritto tra il Comune di Cosenza e la società Valle Crati s.p.a., che quest’ultima aveva ceduto “crediti” fuori dalle regole che disciplinano le obbligazioni della P.A., che l’art. 7 dell’atto di trasferimento dei servizi prevedeva espressamente che i “compensi per la prestazione dei servizi” verranno liquidati dal Consorzio “fino al completamento delle procedure tecniche amministrative necessarie al concreto trasferimento (in favore della s.p.a.) della gestione dei servizi oggetto del presente atto” e che la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del Consorzio avrebbe comportato la nullità della sentenza impugnata; in proposito, contesta quanto rilevato dai giudici di merito secondo i quali l’art. 7 dell’atto di trasferimento “limita alla sola fase transitoria della durata di sei mesi la titolarità passiva del rapporto in capo al Consorzio”. Rileva la non perentorietà del termine semestrale. Conclude nel ritenere parte necessaria del giudizio in esame anche il Commissario per l’emergenza ambientale in Calabria nominato con D.P.C.M. 12 settembre 1997, i cui provvedimenti sono stati posti a fondamento delle decisioni dei giudici di merito che hanno errato a ritenere la natura legale delle obbligazioni nei confronti della Valle Crati s.p.a..

3. Con il terzo motivo, il Comune ricorrente lamenta “Violazione del D.Lgs. n. 26 del 2000, art. 42, sulla competenza degli organi di governo del Comune (nullità e/o inefficacia delle convenzioni allegate al fascicolo di primo grado), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il ricorrente insiste in ordine all’inesistenza del negozio giuridico che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non può essere sopperita dall’atto di trasferimento delle competenze per le attività di gestione dei servizi di igiene pubblica stipulato tra il Consorzio Valle Crati e la Valle Crati s.p.a., richiamato dagli atti di cessione rogati dal notaio D.S., né dalle Convenzioni del 15.11.2001 e 22.11.2007 esibite nel corso del giudizio stipulate tra il Comune di Cosenza e il Consorzio, nessuna delle quali ha regolato validi rapporti giuridici intercorsi tra il debitore ceduto e la società per azioni posto che, il Comune di Cosenza, pur avendo aderito al Consorzio Valle Crati, non ha mai aderito alla Convenzione stipulata tra il Consorzio e la società per azioni Valle Crati per la gestione dei servizi pubblici da quest’ultima prestati. Richiama la disciplina di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 31 (c.d. Testo Unico Enti locali, Tuel) che consente la costituzione di Consorzi da parte degli Enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni, nonché la disciplina contenuta negli artt. 30,42 e 50 del medesimo Tuel che consente l’approvazione da parte dei Consigli comunali dello Statuto e della Convenzione del Consorzio. Rileva che il Comune di Cosenza ha aderito al Consorzio per volontà del Consiglio comunale con Delib. 30 novembre 1992, n. 50, nel rispetto del Tuel; L’adesione al Consorzio avrebbe comportato quindi il solo pagamento delle quote ordinarie, non anche quelle quote di esercizio relative all’utilizzazione degli impianti consortili di raccolta e smaltimento dei rifiuti e di depurazione di acque reflue la cui gestione è stata affidata dal Consorzio ad una società per azioni che esercita attività di impresa a scopo di lucro. Denuncia che l’esercizio del servizio pubblico di igiene ambientale affidato alla società Valle Crati s.p.a. è stato caratterizzato dalla “totale illegalità” dei rapporti intercorsi per il mancato reiterato rispetto della normativa, a nulla rilevando l’ingerenza del Commissario per l’emergenza ambientale nominato dal Governo con D.P.C.M. 12 settembre 1997, tenuto conto che, per espressa previsione dell’art. 42, comma 2, lett. e) Tuel, l’organizzazione, la concessione e l’affidamento dei pubblici servizi mediante convenzione appartiene alla competenza esclusiva e inderogabile del Consiglio comunale e nel caso di specie, il Consiglio comunale di Cosenza, pur avendo aderito al Consorzio, non ha mai approvato la Convenzione per l’organizzazione, la concessione e l’affidamento del pubblico servizio di rimozione e smaltimento dei rifiuti, da ciò deriverebbe l’inefficacia e l’inidoneità di tutti gli atti esibiti nel corso del giudizio di primo grado perché viziati da incompetenza e violazione di legge nonché l’insussistenza di valide obbligazioni in capo alla P.A..

4. Con il quarto motivo, il Comune ricorrente lamenta “Violazione delle norme fondamentali ed inderogabili dell’ordinamento sulla cosiddetta “evidenza pubblica”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″ e in particolare, denuncia la lesione dei principi posti a presidio dell’attività di diritto privato del contraente pubblico; da un lato, sarebbe violata la regola “prima” dei negozi iure privatorum stipulati dagli enti pubblici ovvero quella che richiede la forma scritta ad substantiam, a pena di nullità rilevabile d’ufficio (R.D. 18 novembre 1923, art. 16 e art. 87 Testo Unico del 1934); regola compresa dall’art. 1350 c.c. nella categoria residuale “degli altri atti specialmente indicati dalla legge” e non avente finalità meramente formali, posto che soltanto le pattuizioni conformi a tale schema possono costituire il momento genetico ex art. 1372 c.c., dei diritti e delle obbligazioni di ciascuna delle parti; nel caso in esame, il Comune ribadisce che alcun contratto per l’appalto di servizi di igiene ambientale è stato stipulato tra il Comune di Cosenza e la società Valle Crati s.p.a..

Dall’altro lato, sarebbe violata la seconda regola dell’evidenza pubblica (art. 284 del Testo Unico della legge comunale e province approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383) che “stabiliva” “le deliberazioni dei comuni, delle province e dei consorzi che importino spese devono indicare l’ammontare di essi e i mezzi per farvi fronte”. Il ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale e di legittimità formatasi in proposito e la successiva disciplina (introdotta dapprima dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 55 (che ha abrogato il Testo unico del 1934 e poi dalla L. 15 maggio 1997, n. 127 e dal Tuel approvato con D.P.R. 18 agosto 2000, n. 267) che ha recepito il principio sopra meglio menzionato dell’impegno di spesa e poi arricchita con ulteriori disposizioni volte ad evitare abusi nei confronti degli Enti locali soprattutto nel settore di conferimento di incarichi professionali, lavori, forniture (D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, conv. con modificazioni in L. n. 144 del 1989, previsione poi riconfermata dal D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, art. 35, ora refluita nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191). Richiama inoltre il sistema di tutela elaborato dalla giurisprudenza di legittimità al fine di recupero del senso di legalità, correttezza e responsabilità degli amministratori riassumibile nei seguenti principi: a) previsione di un innovativo sistema di imputazione alla sfera giuridica diretta e personale dell’attività contrattuale posta in essere dai funzionari e amministratori in violazione delle regole contabili in merito alla gestione degli enti locali e in materia di beni e servizi acquisiti comportante una vera e propria scissione del rapporto di immedesimazione organica tra gli agenti e la P.A. e la sostituzione de pregresso regime della nullità con quello della piena validità ed efficacia tra agente in proprio e fornitore; b) divieto per i contraenti privati di esercitare l’azione di indebito arricchimento nei confronti degli enti locali difettando il requisito della sussidiarietà e assunzione in capo al contraente privato del rischio di accettare un incarico affidatogli contra legem.

Ribadisce, nel caso di specie, che in merito ai crediti ceduti, il Comune di Cosenza non ha attivato alcuna procedura ammessa e disciplinata dall’art. 194 del Tuel di riconoscimento di debito fuori bilancio per la prestazione di servizi di raccolta differenziata posto a base della presente domanda giudiziale. Secondo il ricorrente, a nulla rileverebbero le produzioni in sede di precisazioni delle conclusioni della Det. Dirig. 13 febbraio 2008, n. 62, aventi ad oggetto l’impegno di spesa e liquidazione fatture oggetto di cessione alla società cessionaria e della copia del bilancio consuntivo 2008, “posto che la determinazione non collegata al necessario contratto deve considerarsi atto meramente interno di natura preparatoria inidoneo a impegnare l’ente (Cass. 4532/2008), mentre il bilancio consuntivo 2008 si riferisce alla regolarizzazione contabile dei pagamenti effettuati sino alla data della sua approvazione e non anche ai pagamenti richiesti dalla cessionaria in sede di precisazione delle conclusioni. Ne’ i pagamenti parziali effettuati nel corso del giudizio di prime cure possono fornire certezza dei crediti azionati dalla cessionaria senza la previa sottoscrizione del contratto di concessione del servizio di che trattasi”. A nulla rileverebbe inoltre – come ritenuto dalla difesa di controparte e dal giudice di primo grado, il pagamento di alcune delle fatture, atteso che il Comune non può ritenersi obbligato per facta concludentia. Il ricorrente sostiene la sussistenza di un rapporto di fatto, consistito nella gestione e prestazione di un pubblico servizio, senza la necessaria stipulazione inter partes di un valido contratto da redigersi nel rispetto di tutto le norme inderogabili che disciplinano le obbligazioni della P.A.. Del resto, “il riconoscimento di eventuali debiti è rimesso al prudente apprezzamento discrezionale del Consiglio comunale nel rispetto del procedimento di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 194”. Richiama in proposito la giurisprudenza di legittimità secondo cui l’indennità di cui all’art. 2041 c.c. – ammissibile soltanto in presenza di un riconoscimento formale dell’utilitas da parte del Consiglio Comunale – andrebbe liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù di un contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido e efficace (Cass. Sezioni Unite 11.9.2008, n. 23385). Osserva che nel caso in esame il Consiglio comunale, oltre a non avere approvato per iscritto il contratto di gestione del servizio di igiene ambientale, non ha mai riconosciuto alcun debito nei confronti della società gerente. Inoltre, osserva che i crediti derivanti da rapporti di fatto non essendo certi, liquidi e esigibili, non possono essere oggetto di cessione. Rilevato e denunciato tutto ciò, il ricorrente Comune eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva. Lamenta infine che la dichiarazione dello stato di emergenza non ha inciso sull’applicazione delle disposizioni normative fondamentali e inderogabili che regolano la formazione dei contratti della P.A. e cita in proposito la sentenza n. 127 del 1995 della Corte costituzionale che (pronunciando su un conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Puglia in seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza con D.P.C.M.) ha fissato i tre presupposti di legittimità del ricorso allo stato di emergenza: 1) delimitazione temporale dello stato di emergenza; 2) – predeterminazione e definizione dei poteri esercitabili dal Commissario; 3) – previa individuazione, da parte del Commissario delle norme di legge che si intendono sospendere e/o revocare. Nel caso di specie, afferma l’odierno ricorrente che “risulta per tabulas che il Consiglio dei ministri ha esercitato illegittimamente per molti anni (dal 1997 al 2002) poteri straordinari previsti per fronteggiare eventi legati alle calamità naturali in una materia ordinaria quale è quella dei rifiuti, senza il rispetto dei vincoli temporali necessari per l’applicazione analogica della normativa approvata dal Parlamento”. In sostanza, ad avviso del ricorrente, la gestione commissariale non può giustificare la mancata approvazione delle clausole contrattuali da parte del Consiglio Comunale ai sensi dell’art. 42 Tuel e, di conseguenza, ha errato la Corte di appello nel ritenere la sussistenza delle obbligazioni legali del Comune nei confronti della società Valle Crati s.p.a.. In merito ai rapporti di fatto intercorsi tra le parti, il ricorrente richiama anche le intervenute decisioni del TAR Calabria sentenza n. 1053 del 2004 e la decisione di legittimità n. 8630 del 2017 che in ordine ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso nei confronti del Comune di Cosenza nell’esaminare i rapporti intercorsi tra la P.A. ed il Consorzio Valle Crati ha escluso il debito del Comune di Cosenza applicando correttamente i principi innanzi evocati che disciplinano le obbligazioni della Pubblica amministrazione.

5. Il primo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente in ragione della loro oggettiva connessione, sono inammissibili sotto plurimi profili.

Sotto un primo profilo, va sottolineato come l’odierno ricorrente fonda il ricorso sul contenuto degli atti notarili di cessione dei crediti, ma omette di fornirne l’indicazione specifica secondo i criteri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, limitandosi ad utilizzare l’espressione per tabulas, (reiterandola per il primo e secondo motivo di ricorso). Inoltre, il Comune ricorrente evoca un’omessa pronuncia in ordine ad un’eccezione la cui sede ed i cui termini di deduzione non identifica.

Se il motivo si considera, poi, ferma la sua inammissibilità già per le due ragioni indicate, al lume della sentenza impugnata, emerge che la questione dell’esistenza dei contratti è stata ampiamente esaminata dalla corte territoriale, dopo ampie premesse comuni a quelli che la corte indica come motivi sub a e sub b, nel paragrafo 17), a partire dal quinto rigo della pagina 9. Inammissibilmente pertanto il ricorrente si limita a riproporre in termini di mera contrapposizione le proprie tesi difensive già sottoposte al vaglio del giudice del gravame e dal medesimo ritenute infondate (cfr. tra tante e da ultimo, Cass., 10/6/2021, n. 16414).

Le doglianze riproposte con i motivi in oggetto omettono di confrontarsi con l’ampia motivazione svolta dalla Corte di appello, sicché la generica deduzione di omessa pronuncia – tra l’altro, riferita anche alla pronuncia di prime cure – appare pretestuosa, quella di violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, altrettanto, ancorché neppure venga argomentata e quella di omesso esame ai sensi del n. 5 incomprensibile, là dove indica come fatto un non meglio identificato “silenzio del Tribunale”.

In proposito, il ricorrente non mostra di confrontarsi con l’ampia e dettagliata motivazione con cui la Corte territoriale ha accertato (punto 17 in motivazione) “che il Comune di Cosenza, facente parte del Consorzio Valle Crati ed avendone approvato lo Statuto, aveva anche, tra l’altro, approvato la facoltà di assegnare la gestione dei rifiuti alla società per azioni a prevalente capitale pubblico; nella specie, Valle Crati s.p.a. costituita il successivo 5.4.2000. In data 31.05.2000 il Consorzio trasferiva a Valle Crati una serie di competenze in materia di raccolta rifiuti e all’art. 5 di tale atto di trasferimento era previsto che Valle Crati s.p.a. procedesse alla tariffazione dei servizi direttamente ai Comuni utenti”.

Neppure considera quanto ritenuto dalla Corte di appello in merito all’ordinanza del 19.6.2000 del Commissario delegato – nominato in forza del deliberato stato di emergenza – con cui era stato disposto che la raccolta differenziata nei comuni dell’ambito Cosenza – Rende venisse effettuata dalla società Valle Crati e quanto ritenuto dalla stessa Corte in ordine alla successiva Delib. Giunta Comunale di Cosenza n. 363 del 2001, e cioè, che essa costituisse il “raccordo formale a quanto cristallizzato nei sopra detti atti”; difatti, in essa “veniva specificatamente precisata l’adesione al servizio della raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani effettuato dalla Valle Crati s.p.a., specificandosi, tra l’altro, che l’adesione era “obbligatoria” alla luce delle specifiche determinazioni del Commissario delegato”. Aggiunge la Corte di appello “che a seguito di tale delibera (…) veniva siglata tra il Comune di Cosenza ed il Consorzio Valle Crati la convenzione datata 15.11.2001 con la quale il Comune di Cosenza affidava al Consorzio i servizi di raccolta rifiuto ed era previsto che il Consorzio avrebbe gestito o direttamente o tramite la società mista a capitale privato e pubblico Valle Crati s.p.a.. Seguiva Convenzione integrativa in data 22.11.2007 (…)”.

Non considera inoltre le conclusioni cui giunge il giudice di appello affermando che “l’insieme delle sopra riportate delibere e delle relative convenzioni esclude in radice la contestazione dell’appellante in merito all’assenza di un documento scritto, idoneo ad impegnare l’ente pubblico”.

Alla luce delle stesse argomentazioni, risultano inammissibili le censure sul punto reiterate nel quarto motivo (dal contenuto in parte analogo a quello formulato in appello e su cui si è pronunciata la Corte territoriale, come sopra evidenziato); difatti, il ricorrente si è limitato a ricostruire più compiutamente la successione delle disposizioni normative in materia a partire dall’art. 284 abrogato, senza però mostrare, ancora una volta, di aver colto il senso della motivazione impugnata che viene soltanto evocata in misura minimale a pag. 15 del ricorso; ha reiterato infatti il richiamo a norme e a orientamenti giurisprudenziali privi di una specifica connessione con la fattispecie in esame, accennando pure a generali e generiche accuse all’indirizzo degli interventi governativi in tema di calamità naturali, ha richiamato la decisione Cass. Sez. 1 n. 8630 del 2017 resa tra il Comune di Cosenza e il Consorzio Valle Crati che però si riferisce ad una vicenda diversa da quella in esame, ove la decisione si era fondata sulla mancata adesione del Comune alla Convenzione che prevedeva in concreto le obbligazioni relative ai servizi di trattamento dei rifiuti solidi e liquidi urbani, riferibili ad un periodo precedente (anni 1997-2000).

Non coglie nel segno neppure la contestazione circa il valore delle produzioni di controparte (Det. Dirig. 13 febbraio 2008, n. 62, fatture oggetto di cessione alla società cessionaria e copia del bilancio consuntivo 2008), né la doglianza formulata secondo cui il Comune non può ritenersi obbligato per facta concludentia. In proposito, la Corte di appello di Milano ha accertato come dalla Det. dirigente del Comune di Cosenza 13 febbraio 2008, n. 62, risulta “l’impegno del Comune di liquidare in favore di Ifitalia gli importi di cui alle fatture dell’anno 2007 regolarmente cedute” (…) e ritenuto che “il Comune si fosse impegnato a stanziare i relativi fondi risulta in modo limpido dall’art. 9 della sopra citata Convenzione del 15.11.01 e da quella successiva del 22.11.2007” e avesse “in data 13.11.08” richiesto l’approvazione del piano di rateizzazione e specificato che “le somme in linea capitale erano già inserite nei bilanci di competenza; con l’ulteriore conseguenza che nell’esercizio finanziario 2009 sarebbero state inserite unicamente le somme dovute per gli interessi ” (punto 23 in motivazione).

Emerge evidente, a tale stregua, come l’odierno ricorrente inammissibilmente prospetti in realtà una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Del tutto inammissibile, nella stessa prospettiva, anche la reiterata doglianza sulla inesigibilità, incertezza e illiquidità dei crediti perché derivati da rapporti di fatto e che per ciò stesso, non potrebbero essere oggetto di cessione. La Corte di appello in ordine alla censura di indeterminatezza dei crediti ne ha, per un verso, rilevato la tardività e, per l’altro verso, ha ritenuto “utile avere riguardo alla cessione dei crediti del 15.6.07 e 2.04.08 per riscontrare come in detti atti siano puntualmente indicate le fatture complete di numero, data e relativo importo, con specificazione del relativo ente pubblico obbligato. Tanto soddisfa il requisito della L. n. 52 del 1991, art. 3. Ad ulteriore conforto, è utile rilevare come le prestazioni di cui alle fatture cedute siano state puntualmente riconosciute dal debitore, come emerge dalle missive sub doc. n. 8 di parte attorea di primo grado “(punto 18 in motivazione).

6. Si prospetta inammissibile anche il secondo motivo del ricorso.

Il Comune ricorrente, per un verso, omette qualsiasi considerazione argomentativa, al lume delle nozioni giurisprudenziali e dottrinali in materia, sulle ragioni degli asseriti litisconsorzio necessari e, per l’altro, omette ancora un volta di confrontarsi con la motivazione della Corte territoriale, della quale evoca un breve passaggio ignorando le due ultime righe della pag. 8 e le prime quattro della pagina successiva, sicché risulta per tale ragione manifestamente ed ulteriormente inammissibile, non senza doversi pure rilevare che evoca documenti di parte attrice riguardo ai quali non indica di avere prodotti e nemmeno (alla stregua dei Cass., Sez. un., n. 22726 del 2011) se prodotti dalla controparte, sicché incorre anche nella violazione dei criteri di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

7. Inammissibile in fine risulta il terzo motivo.

Esso è posto in violazione della regola imposta dall’art. 366 c.p.c., n. 6, tenuto conto che l’odierno ricorrente si limita a denunciare la violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, insistendo in ordine all’inesistenza del negozio giuridico posto a monte delle cessioni dei crediti de quibus. A fronte di tali contestazioni, pone il problema della inesistenza della adesione “nei modi e nelle forme di legge alla convenzione, etc.” ma omette di indicare se e dove la relativa questione sia stata posta e continua a non confrontarsi con la motivazione della Corte territoriale, argomentando in modo del tutto assertivo.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 18.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

L’inammissibilità del ricorso comporta la dichiarazione di sussistenza, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2022

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