Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7338 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 31/03/2011), n.7338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., P.M., P.S., P.F.,

P.C., PI.FA., PI.ST., P.

R., S.L., PI.AL., p.a.

elettivamente dom.ti in Roma, Via Luigi Luciani, n. 1 nello studio

dell’Avv. Carleo Roberto, che li rappresenta e difende, unitamente

all’Avv. Franco Coghe, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze Agenzia delle Entrate

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui

uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, sono domiciliati;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sardegna, n. 105/4/02, depositata in data 28 novembre 2002;

sentita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 2

dicembre 2010 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ennio Attilio Sepe, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

1. – Gli odierni ricorrenti, nella qualità di eredi di P. I., deceduta in data (OMISSIS), presentavano, in data 7 gennaio 1989, la denuncia di successione, cui conseguì, il 27 marzo 1992, una denuncia integrativa, relativa a beni oggetto di una proposta di donazione effettuata dalla de cuius nell’anno 1984, non accettata dall’ente religioso oblato. Veniva altresì richiesta l’applicazione dei benefici di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 53 cui fece seguito l’emissione di un nuovo avviso di liquidazione, con il quale venivano escluse le sanzioni e gli interessi.

I contribuenti impugnavano sia il primo avviso di liquidazione, eccependo la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo, sia il secondo avviso. Veniva altresì proposta opposizione, ad opera di P.A., della cartella esattoriale emessa a seguito dell’iscrizione a ruolo dell’imposta de qua.

1.1 – La Commissione tributaria provinciale di Cagliari, previa riunione di detti ricorsi, li rigettava, con sentenza che veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sardegna con la decisione del 28 novembre 2002 indicata in epigrafe.

1.2 – In data 20 maggio 2003 i contribuenti presentarono domanda di definizione della lite ai sensi della L. n. 289 del 2002, che veniva rigettata dall’Ufficio con provvedimento del 26 aprile 2006.

1.3 – Avverso tale atto di diniego, nonchè nei confronti della menzionata decisione della Commissione tributaria regionale, veniva proposto ricorso per cassazione, illustrato con memoria e sorretto, quanto al primo atto, da tre motivi, con formulazione dei relativi quesiti, e, quanto alla sentenza di merito, da due motivi.

Le parti intimate resistono con controricorso, parimenti illustrato con memoria.

Diritto

2. – L’esame dell’impugnazione dell’atto di diniego della domanda di definizione della lite è pregiudiziale per la soluzione della lite.

In proposito deve rilevarsi che l’eccezione, sollevata nella memoria dell’Agenzia delle Entrate, circa l’incompetenza di questa Corte rispetto all’impugnazione del provvedimento di diniego della definizione della lite, non può essere condivisa, trattandosi di atto emesso successivamente alla pubblicazione della decisione di secondo grado, la cui impugnabilità, anche sotto il profilo della tempestività, è subordinata alla positiva valutazione dell’impugnazione avverso il diniego stesso (cfr. in motivazione, Cass., Sez. Un., 25 luglio 2007, n. 16412).

2.1. Con il primo motivo viene denunciata la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 sostenendosi che il provvedimento di diniego non sarebbe adeguatamente motivato.

La censura è infondata.

In realtà la concisione che caratterizza il provvedimento impugnato deve intendersi, in qualche maniera, coessenziale alla sua intrinseca natura, in quanto si trattava di porre in evidenza, come, in effetti, si afferma nell’atto in esame, la non riconducibilità della lite, avuto riguardo alla sua natura, alle previsioni contenute nella L. n. 289 del 2002, art. 16.

2.2 – Del pari inassecondabile è il rilievo, contenuto nel secondo motivo, concernente la violazione della citata L. n. 289 del 2002, art. 16 per essersi affermata, la parziale definizione della lite, con riferimento a taluni aspetti, senza che fosse interessato il giudizio nella sua interezza. Appare del tutto evidente che i contribuenti, nel momento in cui censurano un provvedimento nella parte ad essi favorevole, propongono una questione rispetto alla quale risultano totalmente carenti di interesse, dal momento che l’alternativa al rigetto parziale della domanda di definizione (che, a ben vedere, comporta un’implicita rinuncia, in parte qua, alla pretesa impositiva) sarebbe costituita, in ogni case, dal rigetto tout court della domanda stessa.

2.3 – Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16 per essersi esclusa la natura impositiva dell’atto impugnato.

Tale deduzione è infondata, in quanto contrastante con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui non è ravvisabile “lite pendente”, suscettibile di definizione a norma della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3, quando l’atto impugnato si risolve in una mera liquidazione di imposta, secondo criteri predeterminati dalla legge ed attraverso semplici operazioni contabili, alla stregua di quanto dichiarato dallo stesso contribuente, come nel caso di avviso di liquidazione dell’imposta sulla base di dichiarazione di successione formalmente regolare proveniente dagli eredi (ancorchè successivamente emendata per supposti errori di fatto e di diritto), in quanto in tali ipotesi non può parlarsi di atto impositivo nè di importo, che formi oggetto di contestazione, al quale parametrare una somma da corrispondere per la chiusura della lite, atteso che la valutazione dell’asse viene necessariamente a corrispondere alla richiesta formulata dal soggetto obbligato al pagamento dell’imposta sui valori da lui stesso dichiarati, nè può parlarsi di lite effettiva – e non meramente apparente – concernente, cioè, l’accertamento dell’esistenza e dell’entità dei presupposti per l’imposizione (Cass., 25 febbraio 2010, n. 4566). Tale principio, che il Collegio condivide, ed al quale intende dare continuità, costituisce l’esplicazione del principio dell’imputazione diretta degli effetti della liquidazione al dichiarante, anche con riferimento ad altri tributi (imposta comunale sulla pubblicità, Tosap, Tarsu), che può considerarsi un principio generale del sistema tributario (cfr. Cass., 30 luglio 2001, n. 10349; Cass. 7 settembre 200:., n. 11511; Cass., 16 maggio 2002, n. 7164; Cass. 27 agosto 2004, n. 17159; Cass., 6 dicembre 2004, n. 22867; Cass., 6 maggio 2005, n. 9433; Cass., 1 ottobre 2007, n. 20646).

2.3 – Il rigetto dell’impugnazione avverso il menzionato provvedimento di diniego inibisce il ricorso avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Sardegna, per effetto della evidenziata pregiudizialità, essendo del tutto evidente che, in presenza di lite non definibile, non opera la sospensione dei termini per impugnare.

2.4 Il regolamento delle spese processali, che si liquidano come in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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