Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7337 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/03/2017, (ud. 13/12/2016, dep.22/03/2017),  n. 7337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18954/2014 proposto da:

T.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MONTE BIANCO 75, presso lo studio dell’avvocato GAETANO LAURO

GROTTO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI ALFINITO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO GESTIONE SERVIZI DELLA PROVINCIA DI SALERNO (C.G.S.)

S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 49, presso

lo studio dell’avvocato GAETANO DI GIACOMO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1360/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 16/04/2014 R.G.N. 104/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato ANGELO POMPEI per delega Avvocato GAETANO DI

GIACOMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 19 gennaio 2011 T.P. adiva il Tribunale di Salerno per sentir accogliere le seguenti conclusioni: “Dichiarare la illegittimità del licenziamento irrogatole in data 23.11.2009, ordinando l’immediata reintegra nel posto di lavoro, con condanna della resistente Consorzio Gestione Servizi Salerno s.r.l. (d’ora in avanti “C.G.S.”) al pagamento in favore della ricorrente del risarcimento dei danni in misura pari alla retribuzione globale di fatto relativa al periodo dal giorno del licenziamento all’effettiva reintegra e comunque in misura non inferiore a 5 mensilità”.

A fondamento della propria domanda la ricorrente deduceva di essere stata collocata in C.I.G.S. con comunicazione del 30.12.2008, e che in data 23.11.2009 le era stata comunicata la risoluzione del rapporto di lavoro con decorrenza dal 16.12.2009.

Rammentava che in data 10.9.2008 il Consorzio resistente aveva avviato, ai sensi della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, una procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale con la quale aveva informato le OO.SS. della necessità della messa in mobilità di 23 unità su un organico complessivo di 81 dipendenti.

Lamentava che la suddetta comunicazione di avvio non era idonea a far ritenere assolti gli obblighi di informativa di cui alle citate disposizioni legislative, poichè in essa si era fatto ricorso a mere clausole di stile e si era operato un richiamo ad un non meglio precisato piano industriale, sì da impedire alle OO.SS una cognizione piena ed esaustiva della situazione organizzativa e occupazionale dell’impresa.

Sottolineava, poi, che con comunicazione del 30.12.2008 erano stati indicati i livelli di inquadramento delle 23 unità interessate e che le parti si erano incontrate il 2 e 23 ottobre del 2008, non raggiungendo alcuna intesa.

Rilevava, ancora, che, in sede di esame congiunto con le oo.ss., era stato concordato che: 1) l’esubero sarebbe stato di 23 unità; 2) in alternativa ai criteri indicati alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, i potenziali destinatari dei provvedimenti espulsivi sarebbero stati individuati esclusivamente con applicazione dei seguenti parametri: a) manifestazione della volontà di non opposizione al recesso; b) possesso dei requisiti soggettivi previsti dalle vigenti normative per l’accesso al pensionamento durante il periodo di permanenza nella lista di mobilità.

Asseriva, inoltre, che con comunicazione del 30.12.2008, vari dipendenti, tra cui essa ricorrente, erano stati posti in CIGS senza rotazione.

La T. esponeva ancora che l’azienda, ritenendo insufficiente l’utilizzo della CIGS, con nota del 7.9.2009 aveva comunicato di voler procedere ad una nuova riduzione del personale di 12 unità.

Da ultimo, affermava che le tesi enunciate nelle richieste di mobilità erano contraddette da comportamenti successivi in quanto: a) un dipendente Asl era stato distaccato presso il C.G.S. con mansioni tecniche successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro; b) all’inizio del 2010 erano stati assunti altri lavoratori, dimessisi dopo alcuni giorni di lavoro; c) dopo la procedura erano stati erogati cospicui aumenti ai lavoratori superstiti ancora in servizio. La ricorrente denunciava, quindi, tre vizi che avrebbero comportato la illegittimità della procedura: 1) la inadeguatezza della comunicazione di avvio della mobilita del 7.9.09; 2) la disapplicazione nei suoi confronti del criterio della non opposizione al licenziamento enunciato nella suddetta nota; 3) la contraddittorietà tra quanto addotto dal C.G.S. nella nota di avvio ed i comportamenti successivi.

Si costituiva il Consorzio chiedendo il rigetto delle domande.

Il Tribunale rigettava il ricorso.

Avverso tale sentenza proponeva appello la lavoratrice, deducendo che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto che l’omessa indicazione dei criteri di scelta dei dipendenti da collocare in mobilità, con i relativi punteggi e la valutazione comparativa dei licenziandi, non era stata ritualmente dedotta. Resisteva il Consorzio, insistendo in particolare su tale ultima circostanza.

Con sentenza depositata il 16 aprile 2014, la Corte d’appello di Salerno rigettava il gravame, compensando le spese.

Riteneva la Corte che la ricorrente, nel ricorso introduttivo, aveva fatto riferimento a due procedure di mobilità: una avviata il 10.9.2008 (relativa a 23 unità lavorative in esubero) ed un’altra avviata il 7.9.2009 (relativa a 12 unità lavorative); che la stessa si dolse unicamente della seconda procedura, conclusasi col licenziamento che la interessò del 23.11.2009, senza lamentare per essa la mancata indicazione dei criteri di scelta e la loro concreta applicazione, ciò facendo solo nelle note autorizzate conclusive, e dunque tardivamente, confermando così la pronuncia del Tribunale.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la T., affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste il Consorzio con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 420 e 414 c.p.c..

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che la ricorrente solo nelle note autorizzate, e dunque tardivamente, propose la questione della mancata indicazione (e modalità di applicazione) dei criteri di scelta dei licenziandi, senza considerare che non trattavasi di “mutatio libelli”, essendo rimasta identico il “petitum” (la declaratoria di illegittimità del licenziamento) nonchè la “causa petendi” (la violazione dell’obbligo di informazione anche quanto ai criteri da seguire nella scelta dei licenziandi).

Il motivo è infondato.

Premesso che non può dubitarsi che nella specie vi siano state due distinte procedure di riduzione di personale (una avviata il 10.9.2008 e relativa a 23 unità lavorative in esubero, ed un’altra avviata il 7.9.2009 e relativa a 12 unità lavorative), deve ritenersi che, con riferimento alla seconda, vi sia stata quanto meno una “emendatio libelli”, essendo stata introdottaì solo nella memoria autorizzata, una causa petendi (relativa alla mancata comunicazione dei criteri di scelta e loro applicazione) non dedotta col ricorso introduttivo del giudizio, laddove la ricorrente ben poteva denunciare tale violazione (come del resto almeno in parte fatto con riferimento alla prima procedura di mobilità), a maggior ragione se, avvenuta la comunicazione di inizio della (seconda) procedura e quella finale di comunicazione dei licenziamenti, essa, come deduce, lamentava di ignorare i criteri di scelta adottati e le modalità della loro applicazione.

Deve quindi evidenziarsi che l’art. 420, comma 1, ultimo periodo, consente alla parte l’emendatio libelli alla duplice condizione (rilevabile d’ufficio in quanto rispondente ad esigenze di ordine pubblico processuale, cfr. da ultimo Cass. 29.7.2014 n. 17176) che ricorrano gravi motivi e che la modifica sia stata autorizzata dal giudice. Nella specie non risulta sussistere alcuna delle due condizioni.

Deve a questo punto rimarcarsi che la complessa procedimentalizzazione della riduzione di personale prevista dalla L. n. 223 del 1991, nel testo applicabile “ratione temporis”, rende l’impugnativa del relativo singolo licenziamento diversa da quella prevista per i licenziamenti individuali in base alla L. n. 604 del 1966, art. 1, ove, per il disposto dell’art. 5, al lavoratore è sufficiente impugnare il licenziamento invocandone l’illegittimità, spettando al datore di lavoro dimostrare la legittimità del licenziamento.

Come già osservato da questa Corte, infatti, il lavoratore, il quale voglia far valere l’inefficacia o l’annullamento del licenziamento intimatogli, giusta quanto disposto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, comma 3 e art. 24, comma 1, in materia di “iter” procedurale per la messa in mobilità o per la riduzione del personale, è tenuto – a fronte dei numerosi adempimenti imposti dalle suddette norme – ad indicare le specifiche omissioni e le specifiche irregolarità addebitate e su cui fonda il “petitum”, in osservanza del disposto dell’art. 414 c.p.c., ed in ragione dei criteri caratterizzanti il processo del lavoro. Solo quando il lavoratore che propone l’impugnativa abbia sufficientemente allegato i fatti costitutivi della pretesa azionata in relazione alla contestazione della mancata osservanza dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità grava sul datore di lavoro l’onere di indicare e provare le circostanze di fatto poste a base dell’applicazione dei suddetti criteri (Cass. 8.8.2005 n. 16629). Nello stesso senso Cass. 19.5.2005 n. 10591, secondo cui è pacifico che nel giudizio di impugnativa di un licenziamento intimato a conclusione della procedura di mobilità ai sensi della L. n. 223 del 1991, il giudice di merito non può (per non incorrere nel vizio di extrapetizione) prendere in considerazione eventuali ulteriori ragioni di illegittimità della procedura stessa, in difetto di specifiche censure, in applicazione del principio di carattere processuale secondo cui la parte che chiede al giudice un determinato provvedimento è tenuta ad allegare tutte le circostanze e gli elementi di fatto che giustificano la proposizione della domanda, principio che, in caso di deduzione dell’illegittimità di un licenziamento, comporta la necessità di indicare i vizi di forma o di sostanza che lo inficiano, fermo restando che il datore di lavoro è onerato della prova dell’osservanza delle prescrizioni di legge. Il principio è stato recentemente ribadito da questa Corte con sentenza 12.10.2015 n. 20436.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, sempre con riferimento all’osservanza dei criteri di scelta, oltre all’omesso esame del relativo fatto decisivo.

Il motivo è infondato, oltre che per le considerazioni sopra svolte, anche per la sua contraddittorietà. Deve infatti considerarsi che il denunciato omesso esame non sussiste, avendo la Corte di merito ampiamente esaminato la questione del se la violazione dei criteri di scelta e la relativa comunicazione fosse stata ritualmente proposta. La violazione dell’art. 4, non è per il resto supportata da alcun pertinente sviluppo argomentativo. La censura risulta poi insanabilmente contraddittoria in quanto per un verso afferma che l’omessa indicazione dei criteri di scelta (e loro applicazione) era stata proposta come doglianza al primo punto del ricorso (che tuttavia non è prodotto nè riprodotto in questa sede), per altro verso afferma invece che solo dopo la costituzione del C.G.S. in primo grado aveva potuto dolersi del mancato rispetto dei criteri di scelta (e loro applicazione).

3.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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