Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7336 del 22/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/03/2017, (ud. 07/12/2016, dep.22/03/2017),  n. 7336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21478/2011 proposto da:

G.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FABIO MASSIMO 107, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPA

FINANZE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIANFRANCO FOCHERINI,

FRANCESCO TAFURO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della CARTOLARIZZAZIONE CREDITI INPS

S.P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, ENRICO

MITTONI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1016/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 11/03/2011 R.G.N. 483/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza depositata l’11.3.2011, la Corte d’appello di Bologna, in accoglimento del gravame proposto dall’INPS e in riforma della sentenza di prime cure, rigettava l’opposizione proposta da G.C. avverso le cartelle esattoriali con cui gli era stato ingiunto di pagare all’INPS i contributi dovuti alla Gestione commercianti per la di lui moglie D.R., ritenuta familiare coadiutore nell’ambito dell’impresa commerciale di cui egli era socio accomandatario.

Contro tali statuizioni ricorre G.C. con tre motivi di censura. Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 434 c.p.c. per avere la Corte di merito dato ingresso all’appello proposto dall’INPS nonostante difettasse di specifici motivi d’impugnazione, non avendo l’Istituto idoneamente contestato l’affermazione del primo giudice circa la mancata prova dell’abitualità e della prevalenza dell’attività svolta dalla propria coniuge nell’ambito dell’impresa.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2, della L. n. 1397 del 1960, art. 1, della L. n. 45 del 1986, art. 3, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 203 e 206, nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto che la di lui coniuge dovesse essere iscritta presso la Gestione commercianti, quale familiare coadiutore, senza tuttavia accertare il carattere di prevalenza del suo apporto nell’ambito dell’attività d’impresa, che il primo giudice aveva escluso in ragione del rilevante numero di dipendenti operanti presso quest’ultima.

Con il terzo motivo, infine, il ricorrente si duole di omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione del credito per contributi, che era stata riproposta in appello in relazione alla circostanza che, essendo stato il verbale di accertamento prodromico alle ingiunzioni contenute in cartella inviato non a lui personalmente, ma a “La Bella Napoli s.a.s.” c/o D.A. e a D.R. personalmente, nessun atto interruttivo della prescrizione poteva dirsi posto in essere nei suoi confronti anteriormente alla notifica delle cartelle esattoriali opposte, con la conseguenza che i contributi ivi richiesti si sarebbero nelle more pro parte prescritti.

Ciò posto, il primo motivo è infondato.

Come risulta dal tenore dello stesso ricorso per cassazione, l’INPS ha preso atto che il primo giudice aveva definito “abituale” la prestazione della coniuge dell’odierno ricorrente e ha focalizzato la propria censura nei confronti del decisum sulla circostanza che, avendo la L. n. 662 del 1996 superato il concetto di piccola impresa commerciale di cui alla L. n. 613 del 1966, l’iscrizione del familiare coadiutore era dovuta a prescindere dal numero dei dipendenti. E poichè l’onere di specificità dei motivi di appello deve ritenersi assolto quando, anche in assenza di una formalistica enunciazione, le argomentazioni contrapposte dall’appellante a quelle esposte nella decisione gravata siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico (cfr. da ult. Cass. n. 18307 del 2015), non pare dubbio che codesta censura, appuntandosi sull’irrilevanza del presupposto normativo e di fatto sulla cui scorta il primo giudice aveva motivato la propria decisione, sia tale da privare quest’ultima per l’appunto del proprio fondamento.

Parimenti infondato è il secondo motivo: questa Corte, infatti, ha già avuto modo di chiarire che la L. n. 613 del 1966, art. 2, (a norma del quale “si considerano familiari coadiutori il coniuge, i figli legittimi o legittimati ed i nipoti in linea diretta, gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, che partecipano al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, semprechè per tale attività non siano soggetti all’assicurazione generale obbligatoria in qualità di lavoratori dipendenti o di apprendisti”), va interpretato nel senso che l’obbligo di iscrizione per il familiare coadiutore sussiste allorchè la sua prestazione lavorativa sia abituale, in quanto svolta con continuità e stabilmente e non in via straordinaria od eccezionale (ancorchè non sia necessaria la presenza quotidiana e ininterrotta sul luogo di lavoro, essendo sufficiente escluderne l’occasionalità, la transitorietà o la saltuarietà) e prevalente, in quanto resa, sotto il profilo temporale, per un tempo maggiore rispetto ad altre occupazioni del lavoratore (così Cass. n. 9873 del 2014), restando conseguentemente esclusa ogni valutazione concernente la prevalenza del suo apporto rispetto agli altri occupati nell’azienda, siano essi lavoratori autonomi o dipendenti.

E’ invece fondato il terzo motivo.

Va al riguardo disattesa la preliminare censura d’inammissibilità, formulata dall’INPS per avere parte ricorrente sollevato (solo) in appello l’eccezione d’inidoneità degli atti depositati in primo grado ad interrompere la prescrizione nei suoi confronti: diversamente da quanto argomentato dall’INPS, secondo il quale l’odierno ricorrente avrebbe dovuto proporre al riguardo una “controeccezione” già all’udienza ex art. 420 c.p.c., va qui ribadito che, rispetto ai documenti prodotti o comunque acquisiti in giudizio, esiste a carico della parte solo un onere di eventuale disconoscimento nei casi di cui all’art. 214 c.p.c. o di proporre – se del caso – querela di falso ex art. 221 c.p.c., mentre la loro significatività o valenza probatoria può essere oggetto di discussione fra le parti in ogni momento, così come può essere autonomamente valutata dal giudice (Cass. n. 18046 del 2014).

Ciò posto, dato atto che la Corte di merito nulla ha detto circa l’eccezione di prescrizione dei contributi, va ricordato che il precetto di cui alla L. n. 613 del 1966, art. 10, che pone a carico del titolare dell’impresa commerciale l’obbligo del pagamento dei contributi dovuti per i familiari coadiutori (salvo rivalsa), si giustifica in funzione del rilievo secondo cui si può essere familiare coadiutore di uno o più soci iscritti, ma non certo di una società, e che pertanto responsabile del pagamento dei contributi per il coadiutore familiare può essere soltanto il socio iscritto negli elenchi (così Cass. nn. 27824 del 2009 e 21970 del 2010).

Segue da quanto sopra che la Corte di merito, prima di rigettare l’opposizione proposta dall’odierno ricorrente avverso le cartelle esattoriali, avrebbe dovuto valutare se la notifica del verbale di accertamento (compiuta – come anzidetto – nei confronti di “La Bella Napoli s.a.s.” c/o D.A. e di D.R. personalmente: cfr. pag. 22 del ricorso per cassazione e ivi il rinvio al luogo del fascicolo processuale in cui tali documenti sono reperibili) fosse idonea a interrompere la prescrizione nei suoi confronti, giacchè, mentre è vero in generale che la notifica alla società di persone di un atto interruttivo concernente un debito sociale interrompe ex art. 1310 c.c. la prescrizione nei confronti dei soci, il debito sociale essendo per definizione debito anche dei soci (v. da ult. Cass. n. 16712 del 2016), non è vera la reciproca, non potendo di norma ricollegarsi alcun effetto interruttivo ad una richiesta di pagamento inoltrata ad un soggetto diverso dal debitore, salvo il caso che costui sia rappresentante o comunque, benchè privo del potere rappresentativo, abbia agito in tale qualità, qualora risulti applicabile il principio dell’apparenza (Cass. nn. 12617 del 2003, 25984 del 2011, 5208 del 2015).

Conseguentemente, in accoglimento del terzo motivo, la sentenza va cassata e la causa rinviata per il doveroso esame dell’eccezione di prescrizione alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2017

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