Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7333 del 17/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2020, (ud. 10/07/2019, dep. 17/03/2020), n.7333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24786-2015 proposto da:

B.E., B.M.G., elettivamente domiciliati in

ROMA VIA TARO 35, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MAZZONI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO

RONDELLO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE VIA (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE

PROVINCIALE DI (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 560/2015 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 24/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

Fatto

RILEVATO

In contribuenti conducono attività di ristorazione in forma di SAS, di cui ciascuno è socio al 50% e ove è conferito anche un immobile. Procedevano a rivalutazione di partecipazione societaria e L. n. 244 del 2007, x art. 1, comma 91, soggetta ad imposta sostitutiva del 4%.

I contribuenti si avvalevano del beneficio di divisione in tre rate: giugno 2009, luglio 2009, pagata con ravvedimento operoso nell’agosto 2009 e terza rata che andava a scadenza nel giugno 2010, ma che non veniva pagata, donde iscrizione a ruolo della somma non corrisposta ed ulteriore cartella a ciascun socio in proporzione alla quota di partecipazione, che venne avversata nei gradi di merito, principalmente affermando che successivamente alla scadenza del pagamento fosse entrat in vigore il D.L. n. 70 del 2011, (“decreto sviluppo”), novella più favorevole nel calcolo delle rivalutazioni, donde si afferma la non debenza della terza rata non pagata, vizi procedurali perchè al mancato pagamento di una cartella doveva seguire avviso di accertamento e non nuova cartella.

Entrambi i gradi di merito sono stati sfavorevoli alla parte contribuente che ricorre affidandosi a quattro motivi, cui replica l’Avvocatura con puntuale controricorso.

In prossimità dell’udienza la parte contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Con il primo motivo si prospetta nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione e conseguente violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 112 c.p.c., in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Viene dedotto come error in iudicando (art. 360, n. 3), un error in procedendo (art. 360 n. 4). Pur convertito il vizio, il motivo è infondato. La commissione territoriale dichiara di condividere la sentenza di primo grado, di cui richiama i punti fondamenti che fa propri. Siamo quindi fuori dai limiti circoscritti da questa Corte entro cui si concreta l’omissione di pronuncia.

Infatti, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purchè resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. Civ., 8 gennaio 2015, n. 107; Cass. Civ., 6 marzo 2018, n. 5209, 21978, 17403; Cass. Civ., 14 febbraio 2003, n. 2196). Deve, poi, considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. Civ., 22022 del 2017).

Di questi principi ha fatto buon governo la sentenza qui impugnata, il motivo è quindi infondato e va disattesa.

Con il secondo motivo si prospetta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Nella sostanza, il mancato pagamento di una rata scaduta e non pagata per la novellazione della materia fuoriesce dall’ambito dei controlli meramente formali di cui all’art. 36 bis, e richiederebbe – in tesi – l’avvio di un confronto procedimentale con esito, al più, in un nuovo avviso di accertamento.

L’assunto non può essere condiviso. Preme segnalare, invece, che la novella invocata è intervenuta con D.L. 13 maggio 2011, n. 70, quasi un anno dopo la scadenza della rata pattuita, il cui mancato pagamento legittima iscrizione a ruolo della somma non pagata, senza ulteriore avviso alcuno, trattandosi di ipotesi diversa da quelle della giurisprudenza citata dalla ricorrente.

Il motivo è dunque infondato e va disatteso.

Con il terzo motivo si prospetta violazione di legge in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2, che consentirebbe – in tesi – di sostituire l’importo dovuto in base alla prima rivalutazione con l’importo più favorevole risultante da una seconda rivalutazione. La possibilità di accordo al ribasso con compensazione e rimborso del già pagato è disciplinata dalla novella in esame. Non di meno, essa si applica al momento della sua entrata in vigore e non ai debiti tributari convenuti e già scaduti da un anno. Altrimenti detto, la parte contribuente non può avvalersi di una disciplina favorevole intervenuta assai dopo la scadenza del suo debito e che non può essere applicata retroattivamente per scalfire un obbligo tributario ormai consolidato.

Specificamente, questa Corte ha statuito che l’imposta sostitutiva in esame è, pertanto, un’imposta “volontaria”, in quanto è frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene, con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata; in cambio (per così dire), l’Amministrazione finanziaria riceve un immediato introito fiscale.

La questione che è posta all’esame della Corte consiste nello stabilire cosa accade nel casò in cui il contribuente, dopo aver effettuato la prima rivalutazione, sia ancora in possesso, in tutto o in parte, del bene e ne chieda una nuova rideterminazione del valore in virtù della legge sopravvenuta.

Va premesso che la facoltà di richiedere una nuova valutazione in applicazione delle disposizioni di legge sopravvenute è senz’altro ammessa, non esistendo alcuna ragione perchè ciò non debba essere consentito.

Ciò posto, va in primo luogo rilevato che la possibilità di operare la detrazione, “dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione”, dell’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata”, cioè di effettuare la compensazione tra la nuova e la precedente imposta, è stata introdotta soltanto con il citato D.L. n. 70 del 2011, art. 7, (conv. dalla L. n. 106 del 2011), laddove, in precedenza, doveva ritenersi ammesso soltanto il diritto al rimborso, il quale, pur se non esplicitamente previsto dalla legge, deriva dal principio generale del divieto di doppia imposizione.

Nè può ritenersi che la norma del 2011 abbia portata retroattiva, in assenza di espressa previsione, o che comunque la compensazione fosse in ogni caso già possibile in virtù della previsione della L. n. 212 del 2000, art. 8, (statuto dei diritti del contribuente), il quale recepisce per l’obbligazione d’imposta i generali canoni del codice civile sull’estinzione per compensazione (comma 1), ma al contempo prende atto dell’applicabilità del relativo istituto, secondo la normativa tributaria in vigore, solo nei casi specificamente contemplati, e rinvia gli effetti dell’innovazione a decorrere dall’anno d’imposta 2002, previa emanazione di apposita disciplina di attuazione (comma 8), così inequivocamente confermando che l’estinzione per compensazione del debito tributario si determina allo stato della legislazione tributaria solo se espressamente stabilita: e nella disciplina in esame ciò è avvenuto, come detto, solo nel 2011, dovendosi così intendere che prima l’istituto non fosse contemplato (Cass. nn. 14579 del 2001, 15123 e 22872 del 2006, 4246 del 2007, 12262 del 2007, 8716 e 17001 del 2013).

Ne deriva una prima conclusione e cioè che, quanto meno all’epoca dei fatti di causa, non era ammissibile omettere il versamento integrale, anche se rateizzato, dell’imposta sostitutiva dovuta a seguito della prima rivalutazione, la quale, pertanto, andava interamente pagata: del resto, il rimborso presuppone il versamento e solo a seguito della seconda rivalutazione si verifica il presupposto della doppia imposizione (cfr. Cass. n. 24057/2014).

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge in parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione 112 c.p.c., e per omesso esame di un fatto decisivo in ordine al dovere di motivazione delle cartelle, da cui anche 360 cit. codice di rito civile, comma 1, n. 5.

Trattasi in realtà di cartella, quella che ha dato origine al presente giudizio, che scaturisce dall’accertato mancato pagamento di rata convenuta, la cui debenza riposa nell’atto di “rivalutazione” societaria con adesione alla tassazione ad aliquota 4% sul valore proposto dal contribuente ed accettato dall’Ufficio. Non c’è quindi motivazione carente sul fondamento della pretesa tributaria pattiziamente convenuta fra contribuente ed Ufficio.

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

Il ricorso è in definitiva infondato e va rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in Euro cinquemilaseicento/00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2020

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